Capra camosciata delle Alpi

camosciata delle alpi Federico e capretteFin da bambino, grazie all’amore per gli animali trasmesso da mia madre, ho avuto a che fare con caprette tibetane e saanen che producevano una discreta quantità di latte per il fabbisogno familiare. Vivendo in Piemonte, ho avuto modo di avvicinarmi ad una razza di capra molto bella e rustica che proviene dei monti Svizzeri: la capra camosciata delle Alpi. E’ una capretta di dimensioni medio/grandi, curiosa e domestica, adatta sia per la pianura che in montagna. E’ una grande produttrice di latte a tal punto che durante la lattazione, le primipare ne producono in media 300 litri, le pluripare fino a 500 litri… Molto apprezzata nel suo Paese di origine, si è diffusa anche in Francia e in Germania. In Italia è molto diffusa al nord.

Caratteristiche morfologiche e produttive

Taglia: medio-grande. Testa: relativamente piccola, leggera e fine, barba nei maschi. Orecchie: lunghe, oblique in avanti mai pendenti. Tronco: torace ed addome ampi, mammelle di tipo piriforme e capezzoli ben sviluppati. Vello: fulvo con varie tonalità, pelo corto, con riga mulina. Estremità degli arti e unghielli neri, caratteristica maschera facciale. Pelle: sottile, pigmentata in nero; lingua, palato ed aperture naturali scure. Altezza al garrese: Maschi a. cm. 86 – Femmine a. cm. 74 Peso medio: Maschi a. Kg. 100 – Femmine a. Kg. 70 Produzioni medie latte: primipare lt. 324 – pluripare lt. 507 Fertilità: 95% Peso medio dei capretti alla nascita 3,5 kg, a 60 giorni 12,5 kg. Prezzo indicativo a capo: tra i 150 euro e i 250 euro

Proprietà del latte di capra

Il latte di capra, decisamente poco utilizzato da noi rispetto al latte vaccino, trova invece notevole utilizzo in altri paesi, come la Francia, nella produzioni di prodotti caseari. In effetti il latte di capra, poco conosciuto e poco gradito dai consumatori italiani, è ricco di proprietà benefiche che lo dovrebbero far preferire al latte che quotidianamente consumiamo. Tanti sono i benefici che si traggono dall’assunzione del latte di capra. Innanzi tutto il latte di capra è più digeribile, dato che la catena dei suoi grassi è di natura completamente diversa rispetto al latte vaccino. Le proteine presenti in questo latte sono sostanzialmente dello stesso gruppo e livello di quelle presenti nel latte vaccino, con in più la taurina, un aminoacido che svolge una funzione di primaria importanza nella sintesi degli acidi biliari. Inoltre è caratterizzato dalla assoluta mancanza di potere aterogeno, quello che innesca il processo aterosclerotico così pericoloso per la salute delle arterie e del cuore. Il latte di capra si contraddistingue per il contributo in calcio e fosforo ottimo per le ossa, e per la sua ricchezza di vitamine. Dopo quello di asina, è il più simile al latte materno, ideale per i bambini. In primavera, quando nasceranno i capretti, avremo il primo latte con il quale faremo formaggi freschi e stagionati, tranquilli, faremo anche le foto e vi diremo come farli al meglio! Continuate a seguirci! Federico Lavanche

Il Paradosso Legato al Consumo di Carne: Come Possiamo Amare gli Animali e al Contempo Mangiarli?

amare animali Steve Loughnan,Boyka Bratanova e Elisa Puvia University of Kent, e Université Libre de Bruxelles. bistecca-alla-fiorentinaLa relazione tra esseri umani e animali è moralmente complessa. Tale complessità deriva dal nostro comportamento ambivalente nei confronti degli animali ed è esemplificata al meglio nel consumo di carne. Mangiare carne è moralmente problematico perché contrappone il nostro desiderio di non far del male agli animali con il nostro appetito per le loro carni. Questa tensione – amare gli animali e consumare carne – rappresenta l’essenza del paradosso legato al consumo di carne. La carne costituisce una parte importante della dieta dei paesi occidentali. Un italiano medio consuma all’incirca 90 kg di carne l’anno, con un incremento di circa il 200% dagli anni ’60 (WRI, 2010). Per soddisfare questa crescente richiesta è necessario produrre una gran quantità di carne. Prendendo in considerazione la sola produzione interna, nel 2001 l’Italia ha prodotto 4.1 milioni tonnellate di carne (WRI, 2010). La produzione di questa muccagran quantità di carne richiede la macellazione di un gran numero di animali. Nei soli Stati Uniti il numero di animali uccisi ha raggiunto il tetto di 9 miliardi di animali per anno (Joy, 2010). Questa cifra non comprende il consumo dei paesi europei, il crescente consumo di carne nei paesi non-occidentali e l’allevamento e consumo di pesce. In breve, mangiamo sempre più carne e questo significa che un maggior numero di animali è destinato a essere ucciso. i-gattti-preferiscono-le-donne-618x412Queste statistiche potrebbero indurci a pensare che viviamo in un epoca in cui non ci si cura affatto degli animali. Macelliamo un numero sempre crescente di animali per soddisfare il nostro crescente appetito di carne. Tuttavia, ci sono buone ragioni per sostenere che la società in cui viviamo mostra un interesse sempre crescente per il benessere degli animali. Secondo la American Pet Association, un terzo degli americani possiede un cane (39%) oppure un gatto (33%) e i proprietari di animali da compagnia spendono complessivamente 43 miliardi di dollari l’anno per i loro animali (APPA, 2009). Possedere un numero crescente di animali fa si che in generale ci si prenda maggiormente cura di loro. In Italia, atti di crudeltà nei confronti degli animali possono portare a una condanna fino a tre anni di reclusione (Gazzetta Ufficiale, 2004). Il fatto che il possesso di animali sia così diffuso e la presenza di leggi così severe contro atti di crudeltà nei loro confronti, sembra contrastare con il nostro crescente consumo di carne. Come può una società da una parte uccidere miliardi di animali per cibo e dall’altra farli entrare nelle proprie case e approvare leggi per proteggerli? Come possono le persone amare al contempo gli animali e le loro carni? In altre parole,come fanno le persone a gestire il paradosso legato al consumo di carne? Voi, cosa ne pensate? Non voglio aprire una diatriba tra vegetariani, vegani o tra i convinti consumatori di carne ma semplicemente sapere la vostra opinione a riguardo. Grazie.

Tenia nel gatto: cos’è, il contagio, sintomi, diagnosi, prevenzione e trattamento

tenia-02La tenia (o cestode) è un verme, color bianco-crema, un parassita intestinale che può arrivare a raggiungere i 15-60 cm. E’ abbastanza comune nei gatti anche se le tipologie più frequenti sono essenzialmente due: il Dipylidium canium e la Taenia taeniaeformis. Per il contagio questi parassiti hanno bisogno di un ospite intermedio e di uno finale (che nella fattispecie è il vostro gatto domestico). Il Dipylidium alberga in forma di larva nelle pulci dei mici ( e dei cani) che vengono involontariamente ingerite dall’animale durante la normale toelettatura. Si agganciano all’intestino tenue del felino, e diventano tenie adulte che nell’arco di 2-3 settimane sono in grado di rilasciare uova. A differenza di altri vermi intestinali la tenia tenie riesce a eliminare le uova nelle feci di gatto, attraverso dei segmenti mobili (proglottidi) che escono dall’ano. Sembrano chicchi di riso, ed una volta essiccati assomigliano a semi di sesamo. E’ buona norma prestare attenzione all’individuazione di tali segmenti in giro per la casa e soprattutto nell’area anale del gatto. L’ospite intermedio della taeniae taeniaeformis è caratterizzato dai piccoli roditori (topolini che vengono mangiati dal gatto). I sintomi della tenia nel gatto La tenia nel gatto non è pericolosa, non almeno come la filaria. Il sintomo più noto (anche per assimilazione alla tenia che colpisce l’essere umano) è la perdita di peso: il verme infatti assimila le sostanze nutritive direttamente dal suo ospite. Questo accade però ad uno stadio molto avanzato dell’infestazione e si accompagna anche ad una debolezza generale (dovuta a carenza nutrizionale) e ad un manto arruffato e stressato. Si può assistere ad alterazioni della motilità intestinale, con episodi di diarrea alternati a costipazione, oltre che un intenso prurito anale, dovuto al movimento e alla fuoriuscita degli stessi parassiti. Come si fa la diagnosi di tenia nel gatto? E’ chiaro che (come per gli ossiuri nei bambini) basta osservare la zona anale con attenzione per vedere ad occhio nudo i parassiti, ma è più opportuno un controllo dal medico veterinario che, dopo l’osservazione diretta potrebbe richiedere anche un’analisi al microscopio delle feci del gatto. E’ buona norma tenere sotto controllo anche la zona in cui il micio dorme. Esiste una cura per la tenia nel gatto? E la prevenzione? Ovviamente sì. E’ un verme, e si può utilizzare un vermifugo capace di uccidere il parassita all’interno dell’organismo del micio che poi verrà assorbito direttamente dall’intestino col cibo ed eliminato con le feci. La prevenzione consta essenzialmente nel tenere lontani gli ospiti intermedi: “abbastanza semplice” per la t. taeniformis (i roditori), più complesso con le pulci, ma sicuramente possibile. Una disinfestazione (da pulci e ratti) dell’ambiente dovrà necessariamente combinarsi alla terapia farmacologia antiparassitaria. Questo parassita per contagiare un altro gatto o l’essere umano necessita sempre e solo l’ingestione degli animali ospiti. Una storia vera, tenia del gatto Buongiorno, vi scrivo per avere maggiori chiarimenti in merito alla tenia. Avevo notato delle cose strane in casa: sul divano ho rinvenuto dei cosi del tutto simili a piccolissimi chicchi di riso, sia per forma che per consistenza… e mi domandavo che diavolo fossero…. e poi anche sul copriletto dove dormono al pomeriggio. Ieri sera ho avuto una brutta sorpresa: mi si siede in braccio la gatta e siccome ero in calzoncini corti sento il suo sederino bagnato, così la alzo per spostarla e sorpresa! trovo un vermicino bianco tipo quelli delle ciliegie. Insomma che stamane chiamo il veterinario che mi conferma che è tenia: io nemmeno immaginavo che dei gatti adulti potessero avere “i vermi” perchè ero convinta che dopo esser stati svermati da cuccioli fossero protetti per tutta la vita… e invece.. Il Dott. mi dice che possono averla presa ingoiando pulci (che non hanno visto che stanno solo in casa) o feci contenenti la tenia: ora mi domando come sia stato possibile il contagio? ..un mistero! Ora mi ha detto di somministrargli del Droncit e poi altra mezza pasticca per il richiamo tra 21 gg. Domande: 1. non sono sicura che ce l’abbiano tutti e 4 i gatti con cui vivo e il vet. dice di fare comunque la profilassi a tutti che tanto non gli fa male: voi che ne dite? 2. è una cosa “grave”? che conseguenze può avere? 3. con che cosa devo pulire la casa onde evitare il ricontagio? Conegrina, alcool o amoniaca? Grazie in anticipo per la cortese risposta. Valentina Risposta di Paola Cavana Buongiorno, l’infestazione da tenia solitamente non è una cosa grave. I farmaci somministrati per eliminare le tenie sono generalmente ben tollerati dai gatti e la tenia, una volta eliminata, non lascia conseguenze. Quanto a come i suoi gatti abbiano potuto contrarre la tenia vivendo in casa, come già le è stato detto, è probabile che la causa sia da ricercare nella presenza di qualche pulce e che si tratti quindi di una tenia chiamata Dipylidium caninum: il gatto, durante le normali operazioni di toelettatura, ingerisce la pulce infestata dalla tenia (è la larva della pulce che si infesta con la tenia) che dopo aver raggiunto l’intestino del gatto si sviluppa e diventa adulta iniziando a produrre le uova che vengono eliminate nell’ambiente nelle cosiddette proglottidi (che sono quelle che lei ha identificato come chicchi di riso o vermicino delle ciliegie). Come prevenzione, per evitare nuove infestazioni, è necessario utilizzare regolarmente un prodotto antipulci anche se i gatti vivono in casa (vanno bene le pipette spot-on da mettere mensilmente sulla cute in mezzo alle scapole: ad esempio, il Frontline Combo spot-on, ma comunque si faccia consigliare dal suo veterinario il prodotto più adatto ai suoi gatti). Per quanto riguarda la casa non occorre usare particolari disinfettanti: le consiglierei di lavare i pavimenti e di compiere le normali pulizie per eliminare le eventuali larve di pulce presenti. E’ consigliabile somministrare il farmaco contro la tenia a tutti i gatti conviventi ed effettuare a tutti la profilassi antipulci mensile. droncitDRONCIT:
Azienda:
Bayer S.p.a.
Data pubblicazione:
08/11/2013
Categoria:
Medicinale Veterinario
AIC – Codice EAN:
100388038
Confezione:
Confezione da 6 compresse
Indicazioni:
Droncit è efficace contro: Echinococcus granulosus * Echinococcus multilocularis Taenia ovis Taenia hydatigena Taenia multiceps Hydatigena (Taenia) taeniaeformis Dipylidium caninum Mesocestoides corti Taenia pisiformis Diphyllobothrium (Spirometra) erinacei * Echinococcus granulosus: Il cane, portatore della tenia echinococco, s’infesta tramite l’ovino, bovino o suino e può trasmettere anche all’uomo l’echinococcosi (idatidosi, forma cistica), grave malattia sociale delle regioni con allevamento ovino. L’intervento terapeutico e/o profilattico con Droncit (possibilmente programmato su vasta scala) interrompe il ciclo biologico del parassita ed evita la trasmissione all’uomo.
Posologia:
Dosaggio consigliato La dose base per cani e gatti è di 5 mg/kg p.v. Quindi: 1 compressa fino a 10 kg p.v. 2 ” da 11 a 20 kg 3 ” da 21 a 30 kg Contro il Diphyllobothrium (Spirometra) è necessaria la dose di una compressa per 2,5 kg p.v. Eventuali sovradosaggi fino al doppio della dose consigliata non sono pregiudizievoli soprattutto nei casi di intervento contro massive infestazioni da tenia echinococco. Modalità d’uso Droncit viene tollerato molto bene. Il trattamento va effettuato a digiuno e gli animali debbono essere tenuti sotto controllo subito dopo la somministrazione in modo da poter ripetere il trattamento nel caso di eventuale rigetto delle compresse. Droncit può essere somministrato direttamente o avvolto nella carne, oppure frantumato nell’alimento.
Regime dispensazione:
Senza obbligo di prescrizione
Gruppo Anatomico ATCvet:
QP – 52 – Antielmintici
Somministrazione:
Orale
Specie:
Cani, Gatti
Principi attivi:
Nome/Concentrazione
praziquantel (FU)
50 mg

Recinti elettrici per animali, funzionamento, uso e tipologie.

recinzioni elettrificate

Cos’è la recinzione elettrificata?

La recinzione elettrificata è una barriera psicologica per il controllo degli animali domestici e selvatici.

Quali sono i principali componenti recinzione elettrica

elettrificatoreI principali componenti della recinzione elettrificata sono:

  • L’elettrificatore che eroga gli impulsi elettrici
  • I cavi di collegamento per collegare l’elettrificatore alla recinzione ed al sistema di messa a terra, per collegare tra loro diversi paddock, per passaggi interrati sotto cancelli e strade, ecc.
  • La recinzione vera e propria che deve contenere gli animali. Composta a sua volta da pali, isolatori, fili conduttori, ecc.
  • Il sistema di messa a terra composto da uno o più pali di messa a terra collegati tra loro.

Come funziona?

L’elettrificatore lancia impulsi elettrici lungo i fili della recinzione. L’impulso elettrico, se non ci sono grosse dispersioni, si esaurisce sulla recinzione. Quando l’animale tocca la recinzione chiude il circuito, come fosse un interruttore, e l’impulso elettrico attraversa l’animale e, attraverso il terreno, fluisce verso il sistema di messa a terra e ritorna all’elettrificatore. Quando l’animale tocca la recinzione elettrica riceve una scossa che gli causa dolore.

Quando la recinzione è efficace?

Affinché l’animale rispetti la barriera, è necessario che la paura che l’animale ha della recinzione sia superiore alla voglia che ha di oltrepassarla. Per imprimere questa paura è indispensabile che l’animale prenda una scossa dolorosa ogni volta che tocca la recinzione. Questo è particolarmente vero durante il periodo d’addestramento ma, per mantenere vivo il rispetto della barriera, è indispensabile che la recinzione elettrica sia sempre efficiente.

Come progettare una recinzione efficace?

recinto elettrico per cinghialiPer prima cosa è indispensabile avere un’idea chiara di quello che si vuole. Una buona progettazione consente di raggiungere più facilmente gli obbiettivi prefissati. Aiutandosi con un disegno è opportuno rispondere alla maggior parte delle seguenti domane non necessariamente in questo ordine:

  • Che animali devo controllare. Animali alti, bassi, che saltano, bovini, cavalli, ecc.
  • È una recinzione mobile (da spostare di frequente), permanente (da non spostare mai) o semi permanente (da spostare ogni tanto o da installare solo in certi periodi dell’anno).
  • Quanto è lunga la recinzione
  • Quanti e quali conduttori utilizzare?
  • Come movimento e gestisco gli animali?
  • Quanti sono i paddock o i recinti da realizzare?
  • Quanti ingressi o passaggi ci sono? Quanto sono larghi?
  • Quanti e quali pali si vogliono utilizzare?
  • Che tipo di elettrificatore si vuole utilizzare (9V,12V,220V, solare) e dove sarà installato?

Le prestazioni complessive del circuito dipendono dalla qualità dei singoli componenti e sono fortemente limitate dalle prestazioni del componente più scadente. Se, ad esempio, utilizzo un ottimo apparecchio e dei buoni conduttori ma realizzo un sistema di messa a terra inadeguato, la scossa percepita dall’animale sarà poco dolorosa. Più grande è la recinzione e maggiore deve essere l’attenzione nella scelta dei componenti e nella realizzazione della recinzione. Ecco alcuni consigli su come scegliere i componenti più adatti. Restiamo a vostra completa disposizione per assistervi nella scelta allo 0363 938700.

L’elettrificatore:

elettrificatoreL’elettrificatore è il cuore del sistema e da esso dipende, in gran parte, l’efficacia della recinzione. Scegliere l’elettrificatore adatto è estremamente importante per realizzare una barriera efficace, adatta alle proprie esigenze, che richieda limitati interventi di manutenzione e, non ultimo, con adeguati costi d’acquisto e di mantenimento.

È opportuno valutare gli elettrificatori in base alle seguenti caratteristiche:

  • Alimentazione (9V, 12V, 220V, Solare): Gli elettrificatori possono essere alimentati da pile non ricaricabili a 9V, da batterie ricaricabili a 12V o dalla rete elettrica a 220V. Gli elettrificatori alimentati a 12V possono essere collegati a pannelli solari che ricaricano la batteria. Esistono in commercio elettrificatori che possono essere alimentati, tramite appositi adattatori, sia da batterie che dalla rete elettrica.
  • Energia Caricata (valore espresso in Joule): è il valore che, solitamente, viene utilizzato per identificare la potenza in quanto è l’unico dato certo e che non cambia in base alle condizioni della recinzione. Può essere più realisticamente paragonato alla cilindrata di un motore.
  • Energia erogata a 500 Ohm (valore espresso in Joule): L’energia effettivamente erogata dall’elettrificatore cambia in base alle condizioni della recinzione. Per poter comparare le prestazioni di elettrificatori diversi si utilizza, per convenzione, l’energia erogata su un circuito con impedenza di 500 Ohm. Più alto è il valore in Joule e più performante è l’apparecchio.
  • Voltaggio erogato a 500 Ohm (valore espresso in migliaia di Volt = KV): Come per l’energia anche il voltaggio dell’impulso varia in base all’impedenza del circuito ed è per questo che , per comparare le prestazioni, si misura il voltaggio degli elettrificatori al valore convenzionale di 500 Ohm. Il voltaggio di picco, ovvero il voltaggio dell’impulso emesso da un elettrificatore non collegato alla recinzione, è un dato assolutamente irrilevante ed è paragonabile ai giri di un motore non soggetto ad alcuno sforzo.
  • Consumo di corrente (valore espresso in Ampere o in Watt): È importante per conoscere la durata o la frequenza di ricarica delle batterie. Gli elettrificatori a rete hanno, generalmente, un consumo molto basso quantificabile in pochi euro all’anno.
  • Grado di impermeabilizzazione ed altre caratteristiche costruttive: La qualità dei materiali e le caratteristiche costruttive sono importanti per la sicurezza e la durata dell’apparecchio. Tutti gli elettrificatori, in particolare quelli a rete 220V, per poter essere istallati all’aperto devono avere un adeguato grado di impermeabilizzazione (IP).
  • Funzioni di controllo e dispositivi di segnalazione guasti: I moderni elettrificatori dispongono di funzioni di controllo della recinzione che consentono, avvisando in caso di guasti, di limitare gli interventi di manutenzione.

Come scegliere l’elettrificatore più adatto?

Trovare l’elettrificatore giusto significa trovare il giusto mix tra potenza, consumi, mobilità, prestazioni e, non ultimo, il costo. I consigli che posso dare sono i seguenti:

  • Per recinzioni permanenti o semi permanenti scegliere:
    • Apparecchi a 220V se la rete elettrica è nel raggio di qualche decina di metri. Sono più performanti, non dipendono dalle condizioni della batteria, hanno costi d’acquisto e di mantenimento più bassi, richiedono meno manutenzione.
    • Apparecchi a 12V con o senza pannello solare in aree remote. Hanno ottime prestazioni e modesti costi d’esercizio.
    • Apparecchi a 9V solo per recinzioni molto piccole in aree remote.
  • Per recinzioni mobili scegliere:
    • Apparecchi a 12V con cassetto porta batteria per grandi recinzioni. Attenzione che il peso dell’elettrificatore inclusa la batteria può facilmente superare i 20Kg
    • Apparecchi a 9V per recinzioni piccole
  • Se scegliete un elettrificatore a 220V potete sovradimensionarlo per aumentare l’efficacia della recinzione e ridurre gli interventi di manutenzione.
  • Se scegliete un elettrificatore a batteria fate attenzione ai consumi per limitare la frequenza di ricarica delle batterie (apparecchi a 12V) o ridurre i costi di mantenimento (apparecchi a 9V).
  • Se possibile scegliete apparecchi con funzioni di controllo della recinzione. Le informazioni fornite aiutano ad individuare il malfunzionamento prima che gli animali siano evasi e a programmare meglio gli interventi di pulizia e manutenzione.

Qual è la potenza necessaria?

Non è facile stabilire quanto che potenza deve avere l’elettrificatore adatto ad una cera recinzione perché i fattori che influiscono sulle prestazioni dell’apparecchio sono molteplici. Le distanze in km dichiarate dai produttori sono teoriche e, molto spesso, lontane dalla realtà.

La seguente tabella vi aiuta a scegliere l’apparecchio più adatto alle vostre esigenze tenendo conto dei principali fattori che influenzano le prestazioni dell’apparecchio. Moltiplicando i fattori corrispondenti alle diverse componenti della recinzione si ottiene il valore della potenza minima (energia caricata) richiesta all’apparecchio per elettrificarla efficacemente. Il valore ottenuto è, in genere, molto conservativo ma consente di scegliere apparecchi che garantiscono il funzionamento della recinzione anche in condizioni molto difficili. Scegliere un apparecchio con un valore di energia caricata almeno uguale o superiore al prodotto ottenuto dalle moltiplicazioni.

NB. Se la recinzione supera i 500 mt di perimetro è importante utilizzare fili conduttori ad alta conducibilità.

E

X

A

X

L

X

C

X

N

=

Tipo di Elettrificatore

Specie Animale

Lunghezza della Recinzione

Tipo di Conduttori

Numero di Conduttori

A 220 V

1

Bovini

1

500 metri

0,5

Fili Zinco-Alluminio Ø 2,5 mm

1

un conduttore

1,25

A batteria 12V

0,4

Ovini

1,5

1.000 metri

1

Fili Zinco-Alluminio Ø 1,6 mm

1,5

due conduttori

1

A batteria 9V

0,2

Equini

0,9

1.500 metri

1,5

Filo Equiwire

1

tre o più conduttori

2

Conigli

1,5

2.000 metri

2

Filo PowerLine

3

Rete elettrificata

3

Polli

1,5

2.500 metri

2,5

Filo TurboLine

1,5

Maiali

1,5

Ecc.

Fettuccia PowerLine

3

Selvatici

1,5

Fettuccia TurboLine

1,5

Corda PowerLine

3

Corda TurboLine

1,5

Es.: Recinzione per cavalli lunga 1200 metri con 3 fettucce Turbo. Elettrificatore a 220V.

Apparecchio a 220V

1,0 X

Recinzione per Cavalli

0,9 X

Lunghezza 1,2 km

1,2 X

Fettuccia TurboLine

1,5 X

Recinzione a 3 fettucce

2,0 X

_____

Potenza min. richiesta

3,24 =

Dove usare i cavi di collegamento

I cavi di collegamento servono per collegare l’elettrificatore alla recinzione ed al sistema di messa a terra. Gli elettrificatori alimentati a batteria necessitano di cavi di modesta lunghezza, di solito in dotazione, in quanto si installano, abitualmente, vicino alla recinzione. Gli elettrificatori a rete devono, per motivi di sicurezza, essere installati al coperto e, spesso, lontano dalla recinzione. Per questo motivo, per collegarli alla recinzione, sono necessari cavi speciali che devono essere isolati per almeno 10.000V ed avere un’adeguata conducibilità elettrica (I normali cavi ad uso civile non sono abbastanza isolati per queste applicazioni). Lo stesso tipo di cavo isolato deve essere utilizzato anche per collegare l’elettrificatore al sistema di messa a terra, per passare sotto i cancelli e in ogni altra situazione che richieda un collegamento isolato. Per una maggiore protezione è opportuno infilare il cavo a doppio isolamento in una guaina protettiva.

Utilizzare il cavo a doppio isolamento con diametro 1.6mm per collegare elettrificatori con potenza inferiore ai 5J, per bypass sotto i cancelli, per brevi collegamenti e per i collegamenti tra i fili. Il cavo a doppio isolamento da 2.5mm di diametro è indicato per elettrificatori con potenza superiore a 5J, per lunghi cablaggi, attraversamento di strade, fossi, torrenti, ecc.

Come deve essere realizzato il sistema di messa a terra

Il sistema di messa a terra è una delle parti più importanti della recinzione ma anche una delle più sottovalutate e trascurate. Quando la messa a terra non è adeguata si produce un effetto “collo di bottiglia” che riduce il flusso di corrente sul circuito e, di conseguenza, la scossa percepita dall’animale è meno dolorosa.

Il sistema di messa a terra deve essere realizzato seguendo i seguenti punti:

  • Con apparecchi a batteria collegati a recinzioni mobili installare almeno un picchetto da un metro.
  • Con apparecchia batteria collegati a recinzioni permanenti usare le stesse indicazioni degli elettrificatori a 220V
  • Con gli elettrificatori a 220V installare almeno un picchetto di messa a terra lungo due metri per ogni 5 J di energia caricata dall’elettrificatore (es: un picchetto per un apparecchio da 3J, 2 picchetti per uno da 6J, 3 picchetti per uno da 12J, ecc.)
  • Installare il sistema di messa a terra ad almeno 10 mt di distanza da qualsiasi altro sistema di messa a terra, cavo elettrico o telefonico interrato.
  • Installare il sistema di messa a terra in un posto sempre umido o utilizzare lo speciale kit con bentonite (un picchetto installato con in kit bentonite equivale a 3 picchetti normali).
  • Installare i picchetti di messa a terra ad almeno 3 metri di distanza uno dall’altro.
  • I picchetti devono essere di ferro zincato e non devono essere arrugginiti.
  • Il cavo a doppio isolamento proveniente dall’elettrificatore deve essere collegato ai picchetti con morsetti adeguati e ben stretti.

In terreni poco conduttivi, sassosi o rocciosi è possibile realizzare un sistema alternando fili attivi, collegati all’elettrificatore, a fili di messa a terra, collegati al sistema di messa a terra e a l terminate di messa a terra dell’elettrificatore.. Quando l’animale tocca sia il filo attivo (+) che quello terra (-) chiude immediatamente il circuito e percepisce la scossa. Per migliorare ulteriormente il sistema è consigliabile installare lungo la recinzione, a distanza di 100-200 metri uno dall’altro, picchetti di messa a terra collegati al filo di messa a terra. Per maggiori informazioni chiedere al nostro servizio assistenza allo 0363 938700

Quali sono le caratteristiche principali della recinzione?

La recinzione è l’insieme dei fili conduttori, sui quali corre l’impulso elettrico erogato dall’elettrificatore, è la barriera fisica che impedisce l’ingresso o l’uscita degli animali. Per realizzare una recinzione, oltre ai fili conduttori, agli isolatori e ai pali, possono essere necessari anche connettori, tenditori, cancelli ed altri dispositivi.

Le recinzioni possono essere classificate in permanenti, semipermanenti e. Le recinzioni permanenti devono essere robuste, durevoli ed efficaci nel tempo. Tutti i materiali utilizzati per la realizzazione devono avere elevata qualità proprio per garantire una notevole durata nel tempo ed una ridotta manutenzione. Le recinzioni mobili, invece, devono essere facili da installare e da rimuovere. I materiali utilizzati per le recinzioni mobili devono essere leggeri e facili da trasportare ma sempre di elevata qualità per assicurare durata nel tempo ed efficacia della recinzione. Le recinzioni semi permanenti sono un mix di queste caratteristiche; un po’ più robuste delle recinzioni mobili ma più facili da installare e rimuovere di quelle permanenti.

Indipendentemente dal fatto che la recinzione sia mobile o permanente, le caratteristiche che deve avere sono le seguenti:

  • Elevata conducibilità dei fili conduttori in particolare su recinzioni che superano i 500 mt di lunghezza.
  • Fili ben isolati grazie ad isolatori adeguati. Nastro isolante, tubo di gomma ecc non assicurano un sufficiente isolamento della recinzione.
  • Collegamenti ben fatti. In molti casi un semplice nodo non è sufficiente per assicurare un buon passaggio di corrente.
  • Struttura adeguata all’animale da controllare. Altezza, numero dei fili e spaziatura dei fili devono essere studiati in modo che l’animale non abbia la possibilità di infilarsi sotto, attraverso o sopra la recinzione senza prendere la scossa.
  • I fili devono sempre essere ben tesi in modo da non lasciare varchi o facili passaggi per gli animali.
  • La recinzione deve seguire il profilo del terreno ma essere anche elastica. I pali devono, quindi, essere posti ad una adeguata distanza ma non troppo fitti. (4 metri su terreni molto ondulati, 8-10 metri su terreni pianeggianti)
  • Per migliorare la conducibilità elettrica del circuito tutti i fili della recinzione devono essere collegati in parallelo all’inizio e alla fine di ogni tratta di recinzione.
  • Realizzare sempre un by pass sotto i cancelli per evitare che un cancello aperto interrompa il flusso di corrente sulla recinzione.

I fili conduttori

recinzioni-elettriche per animaliLa conducibilità elettrica dei fili conduttori è un fattore estremamente importante per massimizzare le prestazioni dell’elettrificatore e l’efficacia della recinzione. La conducibilità elettrica è misurata in Ohms ed è una scala inversa ossia valori bassi indicano un’elevata conducibilità mentre valori alti indicano una scarsa conducibilità elettrica. Anche il numero dei fili metallici presenti nel conduttore è molto importante; più fili ci sono e più possibilità ha l’animale di prendere la scossa. Un numero elevato di fili metallici, inoltre, assicura una maggior durata nel tempo.

La visibilità della recinzione è importante, soprattutto per evitare che persone o veicoli possano travolgerla. Per questa ragione è importante che lungo le strade e vicino ai cancelli, sia ben evidenziata e segnalata con gli appositi cartelli. Gli animali, invece, sono più prudenti e vedono molto meglio degli esseri umani e travolgono la recinzione solo se spaventati. È possibile, aumentare la visibilità delle recinzioni realizzate con filo zinco alluminio integrando delle fettucce da 12 mm o piazzando dei fiocchi di nastro colorato ad intervalli periodici. Lo sventolio dei fiocchi contribuisce a richiamare l’attenzione degli animali, in genere, molto sensibili al movimento.

I pali

Per realizzare recinzioni permanenti consigliamo l’utilizzo di pali robusti, durevoli e ben piantati nel terreno. Per le recinzioni mobili consigliamo l’utilizzo degli appositi paletti in plastica, fibra di vetro o metallo già pronti all’uso e con gli isolatori alle altezze giuste. È possibile utilizzare anche pali in ferro ma bisogna far attenzione ai cortocircuiti che possono rendere la recinzione completamente inefficace. Sui pali di cemento è difficile fissare gli isolatori. È importante installare i pali alle distanze consigliate per evitare lavoro e costi inutili.

Gli isolatori

Per realizzare una buona recinzione possiamo aver bisogno di isolatori di testa, d’angolo e di linea. Gli isolatori di resta si mettono all’inizio ed alla fine di ogni tratta di recinzione, sono molto robusti e ben fissati al palo per consentire la trazione dei fili conduttori.

Anche gli isolatori d’angolo sono robusti e ben fissati ai pali e devono essere installati su tutti gli angoli che superano i 15-20° ossia dove la trazione del filo tende a rompere gli isolatori di linea.

Gli isolatori di linea si installano sulle tratte diritte ma, in alcuni casi, possono essere utilizzati per gli angoli facendo passare il filo dietro al palo.

Numero di fili e distanze

E347_MEDDe seguenti tabelle danno un’indicazione del tipo, numero e spaziatura dei fili e della distanza tra i pali. Naturalmente questi sono dati indicativi che devono essere adattati alle diverse situazioni ambientali. La distanza tra i pali, ad esempio, si riferisce a terreni pianeggianti e deve essere ridotta su terreni ondulati affinché la recinzione segua il profilo del terreno.

Recinzioni Permanenti

Conduttori

Animale

Tipo

Numero

Altezze cm

Distanza tra i pali

Bovini – Vacche Filo zinco-alluminio 2,5 mm

2

50-95

10m

Bovini – Manze Filo zinco-alluminio 2,5 mm

3

50-80-110

10m

Bovini da carne Filo zinco-alluminio 2,5 mm

3

50-80-110

10m

Cavalli Fettuccia 40 mm

3

65-100-135

5-7m

Cavalli Equifence

3

65-100-135

9m

Maiali Filo zinco-alluminio 2,5 mm

4

15-30-50-70

8-10m

Pecore/Capre Filo zinco-alluminio 2,5 mm

5

15-30-45-65-90

10m

Pecore/Capre Filo zinco-alluminio 2,5 mm

6

15-30-45-60-80-110

10m

Cinghiali (esclusione) Filo zinco-alluminio 2,5 mm

3

15-35-55

8-10m

Cervi (esclusione) Filo zinco-alluminio 2,5 mm

7

20-40-60-80-100-125-150

8-10m

Orsi (esclusione) Filo zinco-alluminio 2,5 mm

5

30-55-80-105-130

8-10m

Lupi (esclusione) Filo zinco-alluminio 2,5 mm

7

20-40-60-80-100-125-150

8-10m

Recinzioni Mobili

Conduttori

Animale

Tipo

Numero

Altezze cm

Distanza tra i pali

Bovini – Vacche Filo Vidoflex 3 mm*

2

50-95

8-10m

Cavalli Fettuccia 12 mm o 20mm

2

65-130

8-10m

Maiali Filo Vidoflex 3 mm*

2

30-50

8-10m

Pecore/Capre Filo Vidoflex 3 mm*

4

15-35-55-90

8-10m

Pecore/Capre Rete per Ovini
Cinghiali (esclusione) Filo Vidoflex 3 mm*

3

15-35-55

8-10m

Cervi (esclusione) 3x Filo Vidoflex 3 mm 2x Fettuccia 12 mm

5

20-50-80-100-130

8-10m

Orsi (esclusione) Filo Vidoflex 3 mm*

5

20-50-80-100-130

8-10m

Lupi (esclusione) Filo Vidoflex 3 mm*

5

20-50-80-100-130

8-10m

* è possibile utilizzare anche lo SmartFence T4100

Qual è la procedura per l’installazione dell’elettrificatore?

A Batteria 9-12V

A 220V

Collegare la batteria Installare l’elettrificatore sulla parete.
Collegare il pannello solare (se disponibile)
Installare il picchetto di messa a terra Installare il sistema di messa a terra
Collegare l’elettrificatore al picchetto di messa a terra usando il cavetto in dotazione Collegare l’elettrificatore al sistema di messa a terra usando il cavo a doppio isolamento
Collegare l’elettrificatore alla recinzione usando il cavetto in dotazione Collegare l’elettrificatore alla recinzione usando il cavo a doppio isolamento
Accendere l’elettrificatore Infilare la spina dell’elettrificatore nella presa di corrente ed accendere l’apparecchio
Controllare con un tester il regolare funzionamento dell’impianto Controllare con un tester il regolare funzionamento dell’impianto

Qual è la procedura per l’installazione della recinzione?

Terreni pianeggianti e con profilo regolare Terreni ondulati e con profilo irregolare
Installare i pali di testa e d’angolo. Installare i pali di testa e d’angolo.
Installare gli isolatori sui pali di testa e d’angolo Installare gli isolatori sui pali di testa e d’angolo
Stendere i fili fissandoli sugli isolatori di testa e d’angolo. Installare i pali di linea con i relativi isolatori
Tendere almeno un filo Stendere i fili senza farli scorrere negli isolatori di linea per evitare di danneggiarli.
Installare i pali di linea seguendo la linea tracciata da filo teso Fissare i fili sugli isolatori di linea, di testa e d’angolo.
Installare gi isolatori sui pali di linea e fissare i fili negli isolatori Tendere i fili e farei collegamenti.
Tendere i fili e fare i collegamenti.

Manutenzione della recinzione elettrificata

Se è stato installato un buon elettrificatore e la recinzione è ben progettata la la manutenzione si limita ad una pulizia periodica per massimizzarne le prestazioni.

E’ importante verificare il buon funzionamento della recinzione settimanalmente o ogni volta che si sospetta un malfunzionamento.

Con l’apposito tester verificare che sulla recinzione ci siano almeno 3.000 volt e se, anche dopo l’intervento di pulizia, resta basso seguire passo passo le seguenti istruzioni fino all’individuazione del guasto.

Le cause di basso voltaggio possono essere:

  • 1. Elettrificatore troppo piccolo
  • 2. Elettrificatore guasto
  • 3. Messa a terra inadeguata
  • 4. Cortocircuiti o dispersioni (vegetazione)
  • 5. Alta resistenza del circuito (cavi di connessione inadeguati, connessioni fatte male, fili arrugginiti, ecc)

1) Come si capisce se l’elettrificatore è guasto?

Scollegare l’elettrificatore dalla recinzione

Accenderlo.

Se l’elettrificatore funziona correttamente ed eroga un voltaggio adeguato all’apparecchio passare al punto 2, altrimenti, se non si accende o si accende ma non eroga impulsi procedere alle seguenti verifiche:

A) Come si verifica l’alimentazione?

  • Assicurarsi che l’apparecchio sia correttamente alimentato.
    • Se l’apparecchio è alimentato dalla rete elettrica assicurarsi che ci sia la corrente e che la presa funzioni correttamente collegando un’altra apparecchiatura.
    • Se l’apparecchio è alimentato a batteria assicurarsi che la batteria sia carica misurandone il voltaggio o provando a sostituirla con una nuova certamente carica. Alcuni elettrificatori hanno spie o indicatori di carica della batteria.
  • Verificare che il cavo di collegamento alla presa 220V o alla batteria siano integri.

Se il problema non è risolto continuare nella verifica dell’elettrificatore passando al punto B.

B) Come si verifica l’elettrificatore

Con l’apparecchio scollegato dalla recinzione

  • Se l’apparecchio non da segni di vita,
    • Richiedere assistenza tecnica.
  • Se l’elettrificatore funziona, con l’apposito tester, misurare il voltaggio dell’apparecchio direttamente sui terminali d’uscita (rosso) e di messa a terra (verde).
    • Se il voltaggio è molto inferiore a quello normale (misurato in fabbrica e riportato sull’etichetta interna dell’apparecchio) l’elettrificatore è guasto. Richiedere assistenza tecnica.
    • Se il voltaggio è normale significa che l’apparecchio funziona correttamente. Ricollegare la recinzione e proseguire nelle verifiche.

Se dalle precedenti verifiche si è riscontrato che l’elettrificatore funziona correttamente ma il voltaggio sulla recinzione è troppo basso, procedere alle seguenti verifiche:

2) Come si verifica il sistema di messa a terra?

Con l’apparecchio acceso e collegato dalla recinzione

  • Con il tester controllare il voltaggio della messa a terra.
    • Se supera i 200V controllare i cavi di collegamento, stringere i morsetti e, se necessario, aggiungere altri picchetti di messa a terra. Leggere il manuale per informazioni più dettagliate su come realizzare un buon sistema di messa a terra.
    • Un alto voltaggio della messa a terra, in combinazione con un basso voltaggio della recinzione, è un indicatore certo di corto circuiti e/o forti dispersioni sulla recinzione che devono essere trovate ed eliminate.

3) Come si verificani i cavi di collegamento?

È possibile chi i cavi che collegano l’elettrificatore alla recinzione siano deteriorati o non adatti all’utilizzo con elettrificatori (isolamento dei cavi inferiore ai10.000V)

  • Avvicinarsi al punto in cui i cavi di collegamento si connettono alla recinzione.
  • Scollegare i cavi di collegamento dalla recinzione.
  • Misurare con il tester il voltaggio del cavo di collegamento.
    • Se il voltaggio resta basso significa che il cortocircuito è sui cavi di collegamento. Sostituirli con gli appositi cavi a doppio isolamento.
    • Se il voltaggio torna normale significa che il problema è sulla recinzione. Passare al punto 4

4) Come si verifica la recinzione?

A questo punto il problema può essere solamente sulla recinzione che deve essere ispezionata accuratamente alla ricerca di:

  • Fili rotti o aggrovigliati
  • Corto circuiti tra i fili della recinzione e parti metalliche non isolate.
  • Alberi o rami caduti sopra la recinzione
  • Connessioni allentate o arrugginite
  • Isolatori rotti o molto sporchi
  • Vegetazione intensa
  • Interruttori danneggiati

Suggerenti:

Ascoltare i “click” causati dalle dispersioni

Fare particolare attenzione dove i fili elettrificati passano vicino a parti metalliche non isolate (reti , pali, attrezzi, ecc) ed in particolare vicino a cancelli, angoli variazioni di livello, ecc. Un solo punto di contatto può azzerare completamente il voltaggio della recinzione.

Se la recinzione è costituita da diverse tratte, scollegarle progressivamente per capire in quale tratto c’è il guasto.

Utilizzare gli interruttori per dividere la recinzione in diversi settori.

Utilizzare lo Smartfix

Se il voltaggio cala progressivamente man mano che ci si allontana dall’elettrificatore, significa che i fili utilizzati hanno una scarsa conducibilità elettrica e vanno sostituiti con conduttori migliori.

Se, dopo tutti questi controlli, il voltaggio resta basso è possibile che l’apparecchio non sia adeguato alle dimensioni della recinzione.

Altre informazioni: distanza tra i fili, esempio recinto e voltaggi: vedi FILE pdf:

funzionamento recinto elettrico per animali

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Tartaruga ferita dal taglia erba

fr_606_size880 Il binomio “giardino” e “tosaerba” non può esistere senza un altro importante soggetto: la tartaruga di terra. E’ un animale tranquillo, rustico, di poche pretese che anima il nostro giardino tra piante e fiori per decine di anni. La mia me la regalarono da bambino ed è rimasta con la nostra famiglia fino ad oggi, sono passati ormai 30 anni… Quando taglio l’erba, faccio sempre attenzione a dove si trova la tartaruga in modo da prevenire incidenti. La scorsa domenica era tranquilla in un punto del giardino ma, tempo di spegnere la tosa erba, fare il rabbocco di benzina, si è spostata e si è nascosta al di sotto di alcune fronde. fr_686_size880Purtroppo non l’ho vista spostarsi ma quando sono andato a tagliare quelle fronde piuttosto alte ho dovuto alzare la macchina sulle ruote posteriori… Subito dopo ho sentito un rumore assordante, un po’ come aver preso un ceppo o una radice superficiale… Non era nulla di tutto ciò ma era la mia cara tartaruga…. fr_685_size880La lama le ha completamente asportato la parte superiore del carapace provocandole un buco. Al di sotto si vedeva il tessuto rosso vivo con una lieve perdita di sangue.Il tessuto faceva su e giù con la respirazione dell’animale. I sensi di colpa mi hanno distrutto… Con l’aiuto di mia moglie abbiamo provveduto subito a pulire l’apertura dai numerosissimi frammenti di erba sparsi sul tessuto molle. Avevamo della soluzione fisiologica con all’interno una piccola percentuale di Betadine. Aspirando il liquido con una siringa, lo spruzzavamo poi direttamente sulla ferita aperta. La tartaruga veniva tenuta in posizione leggermente inclinata in modo che il liquido in eccesso scolasse via. Subito dopo le abbiamo cosparso direttamente sulla ferita altro Betadine e poi del normalissimo zucchero bianco, diffuso uniformemente su tutta la ferita. Lo zucchero ha potere anti batterico e cicatrizzante. Dopo di ciò la abbiamo fasciata accuratamente con una garza e poi con un tessuto per fasciature elastico e al tatto umido che aderisce perfettamente al carapace. Bisogna fasciarla in modo che non le dia fastidio se cammina in modo che non riesca a prenderla con le zampe. tartaruga e tosaerbaBisogna fare molta attenzione perchè la ferita, essendo aperta, oltre ad essere soggetta ad attacchi batterici, è anche aperta alle mosche….che ci possono depositare sopra le uova….causando un disastro assolutamente da evitare! La tartaruga fasciata non deve neanche essere bagnata ma va ricoverata in una zona asciutta. Il sole è fondamentale per la guarigione e per la cicatrizzazione, i rettili ne hanno davvero una grande necessità. Dopo due giorni le abbiamo tolto la fasciatura, ripulita nuovamente e le abbiamo asportato un coagulo di sangue, poi altro Betadine e l’abbiamo richiusa con la fasciatura nuova. Abbiamo provveduto ad una copertura antibiotica con Ampicillina iniettabile con una normale siringa da insulina in dose da 0,2 ml ogni 2 giorni. La puntura va fatta intramuscolare. Noi l’abbiamo fatta all’interno delle zampette posteriori. Conviene trovare il punto prima con tartaruga e tosaerbail dito per sentire il muscoletto ma è una operazione che va fatta in due. Uno trattiene la tartaruga e la zampina tirata in fuori, l’altra persona trova il punto e fa l’iniezione. La cosa che ci ha sollevato da subito è che, nonostante il trauma, facesse incetta di cubetti di pomodoro che le riponevamo davanti dopo ogni trattamento. Al terzo trattamento, pulita come al solito la lacerazione, le abbiamo spruzzato su tutta l’apertura del Trofodermin spray, antibiotico locale e cicatrizzante. Vedendo la ferita migliorare sempre più, abbiamo deciso di farle la puntura di antibiotico ogni 2 giorni e la medicazione ogni 4. Carlos, così si chiama la nostra cara tartaruga, sta in giardino durante le belle giornate di sole e vine riparata quando minaccia pioggia. Posso dire che se le è davvero vista brutta ma per fortuna sta bene, è attiva e mangia regolarmente. Per questo motivo ho deciso di scrivere questo articoletto per offrire la nostra esperienza. Ho scoperto anche che non sono l’unico a cui è capitato questo incidente e spero di poter essere di aiuto a qualcuno. Federico Lavanche

Pollo razza Marans

marans“E’ un pollo elegante, robusto, con ossatura assai fine, e assai rustico”. Così la prof.ssa Giavarini definisce la razza Marans nel suo libro “Le razze dei polli” (Edagricole, 1983). Di categoria medio pesante, ottimo pascolatore, il pollo Marans è molto rustico e non teme gli sbalzi di temperatura e le condizioni meteorologiche più disagevoli. La gallina depone dalle 160 alle 180 uova annue, grandissime e di un colore rosso ruggine molto carico o rosso fegato, più o meno uniformi o macchiettate. Basterebbe questo a motivare l’interesse degli allevatori, amatoriali e non, verso la Marans, ma questa antica razza francese ha ancora molte frecce al suo arco.Le origini Le radici più lontane, dal punto di vista genetico, risalgono addirittura al XII-XIV secolo, periodo di intensi traffici commerciali tra Francia e Inghilterra. I combattimenti tra galli erano allora già diffusi e molto praticati, anche a bordo delle navi mercantili che facevano la spola tra la Cornovaglia ed il porto di La Rochelle, nei pressi della cittadina di Marans. I galli reduci dai combattimenti, sbarcati, ebbero modo di incrociarsi con i polli locali, di origine del tutto ignota, allevati diffusamente nel marais costiero ed abituati a prosperare in un ambiente difficile. Da questo primo rimescolamento di geni nasce una razza locale di polli rurali estremamente rustici, piuttosto variabili nella colorazione, visto che i combattenti erano selezionati per la forza e l’aggressività, non certo per il colore, di corporatura relativamente robusta e deponenti un uovo rossiccio. Ben poco cambia fino alla seconda metà del 1800, quando vengono importate in Europa le razze giganti cinesi, in particolare la Langshan, che verrà allevata verso il 1880 da L.Rouillè poco lontano da Marans, e di cui si apprezzavano molto la stazza, la carne, l’uovo grande e rosso. Dall’incrocio dei Langshan acquistati dagli allevatori del marais con i soggetti locali, nascono i primi Marans più propriamente detti, simili alla versione odierna. Animali che hanno colorazione molto variabile, ma presentano per il resto caratteristiche sufficientemente uniformi di rusticità e struttura fisica, deponendo inoltre un uovo piuttosto grande e fortemente colorato. Bisognerà attendere il 1920 perchè si inizi una selezione rigorosa ad opera di M.me Rousseau ed il 1928-1929 per una presenza un po’ più diffusa alle esposizioni ed i primi riconoscimenti ufficiali. Nel 1929 viene anche fondato il Marans Club de France con lo scopo di tutelare e diffondere la razza, definita inizialmente “Marandaise” e poi semplicemente”Marans”, dal nome del luogo di origine. Lo standard viene approvato nel 1931 e si trasforma successivamente senza troppe modifiche in quello attuale. L’aspetto La struttura fisica suggerisce l’idea di un pollo rustico, di altezza media, piuttosto massiccio ma non appesantito, con piumaggio abbondante ma aderente al corpo, come si conviene ad un degno erede di razze combattenti, il che maschera in qualche modo il suo peso reale, che secondo lo standard francese, è di 3,5-4 Kg per il gallo e di 2,6-3,2 Kg per la gallina. Il corpo risulta piuttosto allungato anziché rotondeggiante, con petto ampio e ben formato, spalle larghe e con ali corte e portate alte e strette al corpo. Dorso anch’esso largo e piatto con sella ben guarnita di lancette. Il collo è lungo e robusto, fornito di una ricca mantellina che copre anche le spalle. Tende tipicamente a flettersi all’apice, verso il cranio, soprattutto nella femmina. Faccia, cresta, bargigli ed orecchioni sono rosso vivo, la cresta è semplice e portata dritta nel gallo, mentre nella femmina può anche presentarsi piegata. I dentelli sono bene incisi e separati, il lobo posteriore non tocca la nuca. L’occhio è di colore rosso aranciato, vivo e ardito, ed il becco robusto, un po’ ricurvo, color corno. Nel complesso, la testa trasmette un’impressione di forza e di fierezza, ma non di grande aggressività, come capita nelle razze combattenti. La coda è piccola e corta sia nel maschio che nella femmina, portata con un angolo non superiore ai 45°. I tarsi e le dita sono impiumati più o meno leggermente, solo sulla parte esterna, chiara eredità lasciata dal progenitore Langshan. Il loro colore è bianco rosato, tranne che nelle femmine di varietà nera e nero ramata, in cui sono grigi. La misura dell’anello di identificazione, rilasciato dalle associazioni avicole nazionali (per l’Italia lo distribuisce la Federazione Italiana Associazioni Avicole FIAV) e indispensabile per presentare i soggetti nelle manifestazioni che prevedono il giudizio, è di 22mm per il gallo e 20mm per la gallina. L’uovo, grande, rotondeggiante e molto colorato, caratterizza la razza Marans in modo inconfondibile ed esclusivo. L’uovo uovo maransL’uovo è forse il motivo principale di interesse verso questa razza. Ha un aspetto assolutamente spettacolare ed un colore rosso unico, tanto che vedendone per la prima volta uno di buona qualità, viene spontaneo esclamare: “Ma è stato colorato!?!”. In effetti è proprio così, l’uovo è dipinto, ed il maestro pittore che produce tanta meraviglia è la gallina stessa, che è dotata, a circa dieci centimetri dalla fine dell’ovidotto, di un tessuto spugnoso in grado di secernere il pigmento colorante rosso fegato. Inoltre il muco che ricopre l’uovo può conferirgli un certo grado di lucentezza. Una volta che l’uovo è stato deposto e si asciuga, il colore si fissa sul guscio e non si altera più, a meno che venga lavato via intenzionalmente. La quantità di pigmento che si deposita sul guscio dipende da moltissimi fattori, tra cui il tempo di attraversamento impiegato dall’uovo, la quantità di pigmento secreto dal tessuto spugnoso, la quantità di uova deposte, il periodo dell’anno, le condizioni fisiche dell’ovaiola, la grandezza, e quindi la superficie esterna dell’uovo stesso. E’ quindi normale che la stessa gallina deponga uova anche molto diverse tra loro, soprattutto se esse vengono deposte in sequenza: le prime saranno più scure e diventeranno via via più chiare fino al giorno fisiologico di riposo, in cui non viene deposto l’uovo, per poi riprendere con il colore base. Nello stesso modo, ad inizio deposizione le uova sono generalmente più scure che verso la fine. In generale, comunque, ogni gallina tende a mantenere una sua tipologia nella disposizione delle chiazze o dei puntini scuri sulla superficie del guscio, così come del grado di lucentezza dell’uovo, quindi in un certo senso ogni gallina ‘firma’ le sue creazioni, per l’occhio attento dell’allevatore. Esistono uova molto uniformi, in cui il pigmento si spalma su tutta la superficie senza irregolarità, uova puntinate, che hanno un fondo più chiaro ma ricoperto di una fitta rete di puntini più scuri e uova maculate, spruzzate di macchie di una certa grandezza, di cui talvolta si riesce anche a percepire lo spessore. Il Marans Club de France ha messo a punto una scala colorimetrica per la misurazione del colore dell’uovo. La gradazione parte dal valore 1 per l’uovo bianco, fino a 3 per l’uovo rossiccio di tipo industriale. Il valore 4 è il minimo accettato per la Marans, dal 5 al 7 si progredisce nel grado di colore, avvicinandosi alla tonalità cioccolato, i gradi 8 e 9 sono riservati alle uova eccezionali, in cui il pigmento si presenta praticamente puro, e che di solito vengono prodotti come eccezione anche dalle stesse campionesse di razza. In Francia si tengono normalmente concorsi in cui le uova vengono sottoposte a giudizio come gli esemplari vivi, in base al complesso delle loro qualità. Nella sua forma più tipica, l’uovo di Marans non è allungato, ma rotondeggiante e globoso, tanto che spesso è difficile distinguere il polo acuto da quello ottuso. La lucentezza è qualità desiderabile. Il peso dell’uovo si attesta rapidamente tra i 70 e gli 80 grammi (si pensi per confronto che un uovo di Livorno pesa attorno ai 55 grammi), ma nella gallina ormai adulta e a fine deposizione, o al secondo anno, non sono affatto rare medie attorno ai 100 grammi. Una volta aperto, l’uovo mostra l’interno inaspettatamente bianco candido, per cui rammenta tantissimo le note uova di cioccolata con sorpresa di cui vanno pazzi i bambini, e non solo loro. Va detto inoltre che per il suo guscio con spessore più alto del normale, e per la particolare resistenza delle membrane testacee interne, l’uovo di Marans risulta più conservabile, meno o per nulla soggetto a contaminazioni esterne (es: salmonella) e meno soggetto a rotture, caratteristiche molto interessanti sul piano industriale. Le varietà Come si è detto, la Marans possiede un patrimonio genetico estremamente variegato, che inevitabilmente ha dato origine a molte varietà di colorazione; alcune storiche, ben affermate e fissate e pertanto riconosciute dallo standard, altre in corso di omologazione, altre ad oggi ancora oggetto di selezione da parte di allevatori e amatori avanzati, che non rinunciano al tentativo di estrarre dal grande serbatoio genetico nascosto nella Marans delle livree sempre nuove. Si deve ribadire a questo proposito (cfr. paragrafo sulla selezione) che la necessità di mantenere le eccezionali caratteristiche dell’uovo rende impossibile la ricerca di nuove colorazioni attraverso incroci extra-razza, per cui in effetti non si tratta di creare nuove varietà, quanto piuttosto di portare alla luce, nel fenotipo, qualche caratteristica già contenuta nel genotipo della razza. Lo standard italiano riconosce ufficialmente ad oggi soltanto le colorazioni bianca, nera, nera argentata, nera ramata, dorata frumento, fulva a coda nera, sparviero argentata. Per la corretta interpretazione della descrizione delle varie colorazioni che segue, i termini ‘sparviero’ e ‘cucù’ sono da considerare sinonimi, così come i termini ‘frumento’ e ‘dorata frumento’. Cucù Dorato, Cucù (o Sparviero) Argentato La prima è ancora relativamente rara, mentre la seconda è piuttosto diffusa ed è stata la varietà principale per molti anni. Lo splendido piumaggio sparviero si distribuisce secondo una barratura grossolana e irregolare, che non forma striature precise. La mantellina, le lancette e le spalle sono rispettivamente dorate ed argentate e formano uno splendido effetto. Inoltre, come succede nelle colorazioni di questo tipo, i maschi sono molto più chiari delle femmine, fenomeno che si spiega con il fatto che la barratura chiara del maschio ha altezza doppia rispetto a quella scura, mentre nella femmina i due colori si equivalgono. Questa caratteristica, legata al sesso, rende i pulcini autosessanti, in quanto la differenza di piumaggio è evidente molto presto. Alla nascita il piumino è nero con ventre bianco argentato o giallastro ed una macchia dello stesso colore sulla testa. Nero, Blu, Bianco Splash La varietà nera pura, dominante rispetto a tutti gli altri colori, è quasi scomparsa ed anche le altre due sono relativamente rare. Specificamente per la livrea nero puro, ma anche più in generale nella Marans, non e’ richiesto né desiderabile che le parti di piumaggio nere presentino abbondanti riflessi verde lucente, indice di alta produzione di melanina, ma piuttosto devono avere riflessi verdi e violacei non particolarmente scintillanti. Di fatto il nero, il bianco ed il blu sono strettamente correlati tra loro. Il blu non è che un nero ‘diluito’, mentre il bianco splash, o chiazzato, è un lavanda molto molto chiaro in cui alcune piume si presentano marcate di blu, un po’ come i piccioni ‘arlecchino’. Si deve notare che l’incrocio di nero e bianco splash genera il blu, mentre l’accoppiamento di soggetti blu genera un 25% di nero, un 50% di blu e un 25% di bianco splash. Questo indica che in pratica il bianco splash è in realtà il colore blu omozigote, che quando si presenta nel genotipo in combinazione con le altre colorazioni, agisce come ‘diluitore’ delle parti di piumaggio nere, le quali diventano appunto blu nel fenotipo. Nero Ramato, Nero Argentato, Blu Ramato, Blu Argentato La prima è ad oggi la varietà più diffusa, di cui si conoscono stirpi che producono uova tra le più colorate. Le altre sono numericamente molto meno rappresentate, ma ugualmente affascinanti. Si tratta in definitiva di variazioni sul tema della livrea totalmente nera tranne che per la mantellina e, nel gallo anche il dorso e le spalle ramati, con tonalità che possono andare dal rosso ruggine al rosso mogano sostenuto. Il nero può essere diluito e diventare blu, il ramato può essere sostituito dal carattere argentato, generando appunto le varianti citate. Si tratta in ogni caso di soggetti molto appariscenti ed apprezzati. Bisogna fare attenzione a non confondere esemplari nero ramato che presentano eccesso di nero, e quindi dal piumaggio completamente nero, con esemplari realmente nero unito (rarissimi). Anche se i fenotipi possono essere identici, dal punto di vista genetico le due colorazioni appartengono a gruppi diversi con livelli di dominanza diversi (il nero unito domina), e questo non mancherà di essere evidente appena si tenterà di riprodurre i soggetti, ottenendo risultati inaspettati. Frumento (o Dorata Frumento) E’ anch’essa una varietà molto diffusa oggigiorno. La livrea del maschio è molto simile a quella del gallo nero ramato, da cui si distingue per il piumino grigiastro più chiaro nel frumento e dal triangolo dell’ala color cannella anziché nero. Anche i riflessi delle parti nere tendono più al violaceo e meno al verde scarabeo. La femmina è completamente diversa, possiede una livrea colore del chicco di grano, con dorso fulvo chiaro, mantellina più scura, parte inferiore del corpo color crema e coda e remiganti nere. La somiglianza del maschio di questa varietà con quello nero ramato e con quello salmonato ha causato in passato parecchia confusione, in quanto gli abbinamenti per la riproduzione potevano avvenire, inconsapevolmente, tra varietà diverse, è quindi necessario prestare la massima attenzione ai dettagli identificativi. I pulcini della varietà frumento sono gialli, al contrario dei nero ramato, che sono neri, e dei salmone, che hanno delle strisce sul dorso come i polli di colorazione selvatica. A tre settimane, poi, i galletti si distinguono nettamente dalle femmine perché hanno già le copritrici dell’ala nere, mentre le pollastre le hanno color frumento. La colorazione frumento è recessiva rispetto al nero ramato e dominante (tranne eccezioni rarissime che non è il caso di approfondire qui) rispetto al salmonato. Salmone Dorato, Salmone Argentato. Sono varietà poco diffuse, di cui si conoscono ceppi dall’uovo splendido ma con esemplari di massa ancora troppo leggera. La colorazione è quella che più si avvicina a quella selvatica del gallus Bankiva e ricorda, per intenderci, quella della Livorno collo oro. La pettorina salmone dorata o argentata e la mantellina oro o argento delle femmine hanno valso alle due varietà il loro nome. Il maschio assomiglia molto al nero ramato e soprattutto al fumento, ma ha pettorina leggermente più chiara, un po’ più grigiastra. I pulcini hanno piumino giallo e recano sul dorso le strisce tipiche dei piccoli selvatici. Essendo inoltre anche qui come nel frumento il triangolo dell’ala color cannella, bisogna essere molto accorti se si intende procedere alla selezione in purezza. Ermellinato Anche questa varietà è molto rara. Si era quasi estinta, ma qualche appassionato sta cercando con pazienza di recuperarla. Il piumaggio è bianco ermellinato, cioè con fiamme nere sulla mantellina e sulle lancette e coda e punta delle remiganti nere. La testa resta bianca. Esiste anche, ma ancora più rara, una versione fulva dell’emellinato in cui le parti bianche vengono sostituite dal colore fulvo. Fulvo a Coda Nera Numericamente poco rappresentata, questa bellissima e capricciosa varietà rammenta come colorazione la New Hampshire, ed è vicina, per certi versi, alla Marans frumento. La femmina è di un colore fulvo sostenuto il più possibile uniforme, non come nella frumento che ha mantellina scura e pettorina chiara, mentre il gallo presenta la parure ramata, ma il ventre resta di un bel colore fulvo, mentre il gallo frumento ha il corpo nero. La coda e parte delle remiganti sono nere. Bianco Questa colorazione ha avuto in passato molto seguito, essendo stata utilizzata a scopo industriale. Successivamente semi-abbandonata, è stata invece recuperata ed è ad oggi abbastanza diffusa. Il bianco totale si può presentare nella Marans con diverse modalità: come colore-non-colore, che maschera gli altri colori presenti nel genotipo manifestandosi da solo nel fenotipo, ed in questo caso risulta dominante, oppure come colore bianco recessivo, che scompare dal fenotipo al primo incrocio. Di solito si incontra il bianco del secondo tipo, che si manifesta solo se omozigote e che, sotto l’influenza di altri geni, tende a presentare su dorso, spalle e mantellina, dove sarebbe stata presente la parure, dei riflessi paglierini che infatti sono ammessi dallo standard di colorazione. Un tempo il colore delle uova era più debole, ma oggi si conoscono ceppi con uovo molto ben colorato. Nana Esiste anche una varietà nana, o piuttosto semi-nana o miniatura, anche se non è molto diffusa. La taglia dovrebbe essere circa la metà di quella grande, mentre il peso circa il 30%, quindi attorno al Kg. Le colorazioni e tutti gli altri parametri di riferimento sono identici a quelli adottati per la razza di taglia normale. L’uovo è di solito di colore meno scuro di quello della Marans grande e necessita ancora di selezione. Altre varietà Nonostante l’enorme numero di varietà già presenti, o forse proprio per il fatto di disporre di così tanto materiale, alcuni allevatori evoluti si cimentano nella creazione di nuove colorazioni. Per esempio, l’allevatore olandese sig. P.Verwimp ha creato il cucù giallo, in cui la barratura si applica non al classico colore grigio, ma piuttosto ad un bel fulvo-limone, con risultati a dire poco spettacolari. L’allevatore francese sig. E.Mèon ha dato di recente notizia dei suoi primi risultati nella creazione di una varietà di argentato che non ha ancora nemmeno un nome ufficiale. La testa ed il collo, come la parte superiore della pettorina restano bianche, mentre il resto del corpo presenta delle barrature a fiocchi molto attraenti. L’insieme rammenta, ad esempio, la Braekel. L’allevatore francese sig. M.Martinod sta lavorando su un gruppo di ermellinate e bianco splash portatrici di ramato e di argentato con risultati vagamente simili al Faverolle. Varietà in via di creazione (foto Marans Club de France) Caratteri generali e comportamento Come abbiamo visto, questo pollo è originario della zona paludosa prossima alla foce della Loira, esposta ai gelidi venti invernali che discendono dall’Artico attraverso l’Atlantico, ma con estati torride e relativamente asciutte. Non stupisce, di conseguenza, la sua estrema rusticità e la sua attitudine di pascolatore, che lo rende capace, in ambiente adatto, di ricavare buona parte del proprio nutrimento giornaliero razzolando qua e là. Prospera nei grandi spazi, allontanandosi anche parecchio dal pollaio, se ne ha la possibilità. Ciò non toglie che sia capace di adattarsi anche alla vita in ambienti contenuti, purchè vengano rispettate le normali condizioni di densità (circa quattro soggetti per m2 di superficie dei ricoveri). Entrambi i sessi sono piuttosto confidenti e addomesticabili, personalmente li ho abituati a prendere il mangime dalle mie mani e non posso entrare nel pollaio senza che mi sciolgano le stringhe delle scarpe tirandole con il becco. Probabilmente le scambiano per succulenti lombrichi. Le femmine sono sempre piuttosto tranquille, mentre i galletti si rivelano abbastanza battaglieri, soprattutto quando il gruppo di appartenenza non possiede una gerarchia stabile e ben definita. Non ho mai osservato direttamente, invece, alcun eccesso di aggressività né dei maschi verso le femmine, né viceversa, né verso gli umani, e non ho mai notato alcun accanimento verso animali più giovani. Talvolta anche le femmine sviluppano, con l’età, dei piccoli speroni, spesso su un tarso solo. Probabilmente questa è una eredità proveniente dagli avi combattenti, ma lo standard non la contempla e quindi è da evitare. La femmina può chiocciare, ma non è detto che lo faccia, dipende soprattutto dal ceppo di appartenenza. Quando cova, comunque, è una buona madre e si prende cura senza problemi della sua prole. Le caratteristiche dell’uovo (grandezza, spessore del guscio) ostacolano in qualche misura la nascita del pulcino, il che si traduce talvolta in percentuali di schiusa leggermente inferiori alla norma. Per questo è importante selezionare per la cova le uova di peso medio, da 70 a 80 grammi, ben formate, senza asimmetrie e difetti visibili. L’impennamento e la crescita del pulcino sono generalmente rapidi, anche se ogni tanto ne capitano alcuni che tendono a rimanere di corporatura più piccola del normale o ad impennarsi tardivamente, cosa che obbliga ad escluderli dalle linee di riproduzione. In diverse varietà di colorazione, come abbiamo visto, i pulcini sono autosessanti. Di regola il peso di 2,5-3kg circa viene raggiunto dai maschi poco dopo il quarto mese, il che dimostra la buona attitudine alla produzione di carne dalle ottime qualità organolettiche (il sapore rammenta la faraona). Tutti i tessuti sono particolarmente consistenti e fermi, la pelle, bianca per tutte le colorazioni di piumaggio, è abbastanza resistente alla lacerazione anche nell’animale giovane, come ben sa chi ha provato a spiumarne qualcuno a mano. La selezione I principi di selezione sono relativamente semplici, ma la selezione in sé è abbastanza laboriosa, complicata dal fatto che per apprezzare correttamente le qualità di un riproduttore, si dovrebbe attendere la produzione di uova della sua prole e valutarne il colore, il che non è sempre possibile e/o agevole. Inoltre, l’insieme di geni che originano l’uovo extra-rosso è talmente complesso che ogni inquinamento proveniente da incroci fuori razza produce immediatamente uova troppo chiare. Questo fornisce una prima, importantissima regola da seguire: nessun incrocio fuori razza è ammissibile. Per quanto non si conosca il meccanismo in dettaglio, almeno una parte dei geni “uovo rosso” è legato al sesso, lo testimonia il fatto che viene trasmesso dal gallo in maniera doppiamente forte rispetto alla gallina, come hanno dimostrato incroci sperimentali condotti ad hoc. Un’altra regola di selezione, quindi, sarà la scelta di riproduttori, soprattutto galli, nati da uova molto scure. A questo proposito è anche opportuno, nel valutare il grado di colore dell’uovo, tenere ben presenti tutti i principi di variabilità della sua colorazione già enunciati, allo scopo di evitare di dare la preferenza, per esempio, a uova di una mediocre ovaiola, che essendo deposte più di rado sono di regola più scure, rispetto a quelle di una buona ovaiola, che magari ne produce di altrettanto scure, ma in maggior numero, o più grandi, per cui al momento risultano un po’ più chiare. In ogni caso, anche se le prime due regole vengono osservate, è sempre possibile che una pollastra deponga uova brutte o non sufficientemente scure, dunque sarà necessario escludere comunque dalla selezione le femmine che producono uova non nello standard e anche quelle che ne producono troppo poche, visto che non si deve dimenticare l’origine rurale ed utilitaristica di questo pollo. Oltre a questo, dovranno essere preservate la velocità di crescita e di impennamento così come il piumaggio aderente al corpo e ben conformato nelle ali, cosa che garantisce che gli animali siano perfettamente capaci di volare. Come per tutte le razze, la selezione dovrà poi mirare al mantenimento delle caratteristiche dichiarate come desiderabili nello standard, quindi: mantenimento del peso, della silhouette, della costituzione fisica, del portamento previsti, mantenimento del colore e dell’impiumatura dei tarsi e infine miglioramento della colorazione del piumaggio in termini di rispondenza a quello previsto per la varietà di appartenenza. Il primo e più importante punto da curare, comunque, resta la deposizione di un uovo extra-rosso, tanto che è preferibile eventualmente ‘allargare’ i parametri di selezione per qualche altro carattere, da migliorare in un secondo tempo, pur di mantenere costantemente alto quanto possibile il livello qualitativo dell’uovo. L’insieme dei geni responsabili delle sue caratteristiche, una volta disperso, potrebbe non essere più riproducibile. Bibliografia – S.Deprez-C.Herment – La Marans – Ed. Rupella, 2000 (in lingua francese) – I.Giavarini – Le Razze dei Polli – Ed. Edagricole, 1983 – F.Focardi – Il colore delle uova nella Marans – Avicoltura/Avicoltura n.11 Lug.-Set.2004 – www.marans.eu – sito ufficiale del Marans Club de France curato da C.Herment (anche pagine in italiano) – www.marans.be – sito sulla Marans curato da C.Veltenaar (anche pagine in italiano) – www.fiav.info – sito ufficiale della Federazione Italiana Associazioni Avicole curato da S.Tonetto Paolo Rasoini abita in provincia di Pisa ed alleva polli a livello amatoriale da molti anni. Fa parte dell’Associazione Toscana Avicoltori e dal 2003 si interessa della Marans collaborando anche con il Marans Club de France di cui è socio. E-mail: prasoin@tin.it

La Brambilla vuole chiudere i delfinari: «Una barbarie contro animali intelligenti e sensibili»

immaginiDelfinarioRimini_Delfinario_3 immaginiDelfinarioRimini_Delfinario_4L’ex ministro presenta una «proposta di legge per vietare in Italia la detenzione e l’addestramento dei cetacei» L’ex ministro del Turismo, Michela Vittoria Brambilla, lancia un appello chiedendo di «non visitare i delfinari». «Costringere i mammiferi marini, creature intelligenti e sensibili, a vivere in vasche e ad esibirsi per il divertimento della folla è pura barbarie – spiega l’ex ministro Brambilla – Per questa ragione ho presentato una proposta di legge che vieta nel nostro paese la detenzione e l’addestramento di cetacei e porterebbe, se approvata, alla chiusura dei delfinari esistenti». «NO AI DELFINARI» – Balene e delfini sono «animali molto intelligenti – ricorda la parlamentare del Pdl – che vivono in gruppi sociali complessi ed hanno bisogno Delfinario-Sonora-03di relazioni» e «separarli ancora piccoli dalle loro famiglie vuol dire infliggere loro un trauma gravissimo, in molti casi insuperabile». Da sempre in prima linea per la difesa dei diritti degli animali, Michela Vittoria Brambilla aggiunge: «Come se non bastasse questi poveri animali devono imparare ed eseguire “numeri da circo” di fronte a spettatori paganti. Non c’è da stupirsi se lo stress mentale, emozionale e fisico indebolisce il delicato sistema immunitario dei cetacei, li porta spesso alla malattia e alla morte. L’elevato indice di mortalità alimenta nuove catture in tutto il mondo, a volte con metodi particolarmente crudeli». Come dire: «La loro casa è l’oceano, non certo una vasca di 400 metri quadri per cinque esemplari e 100 metri quadrati per ogni esemplare aggiuntivo – sottolinea Brambilla – lo standard minimo fissato dalla normativa italiana, considerata “generosa”». delfinarioINTERVENGA LA POLITICA – Ricorda inoltre l’ex ministro Brambilla che «i delfinari sono a tutti gli effetti imprese commerciali e non dovrebbero ottenere permessi di importare cetacei, neppure vantando presunti “scopi scientifici” che al dunque si rivelano inesistenti». Eppure, continua la deputata animalista, «il regolamento europeo 338/1997 vieta l’importazione di cetacei nell’Unione per scopi prevalentemente commerciali». «Per questo – conclude Michela Vittoria Brambilla – faccio appello a tutte le forze politiche affinché sostengano la mia proposta di legge che vieta nel nostro paese la detenzione e l’addestramento di questi meravigliosi animali». fonte: corriere.it Voi, cosa ne pensate?

Caccia alle balene illegale, L’Aja ordina lo stop al Giappone

caccia alle balene Finora la “finalità scientifica” era usata come un pretesto, ma la Corte internazionale chiude il contenzioso decennale. Il Paese ha sempre difeso la sua “tradizione secolare”, ma lo scorso anno 6000 tonnellate di carne di balena sono andate sprecate: eccessivi i livelli di mercurio ANSA Una nave giapponese impegnata nella caccia alla balena ILARIA MARIA SALA Non vi sono “fini scientifici” nella pesca alla balena giapponese, ha deciso la Corte internazionale di giustizia (CIG) all’Aja, e dunque il Giappone non potrà più continuare a pescare balene con questa scusante: la CIG infatti ha disposto la sospensione della pesca dei cetacei per fini “scientifici”, portato avanti da Tokyo dal 1988 – ovvero, dopo che la caccia alle balene era stata dichiarata illegale. Prima del verdetto Tokyo aveva annunciato che avrebbe rispettato il volere della CIG, ma nel corso degli anni la posizione giapponese ha mostrato di essere arroccata sulla questione della pesca dei cetacei per motivi quasi inspiegabili, se non da una testardaggine che sfiora nel nazionalismo, dato che il consumo della carne di balena è spesso descritto come “tradizione” giapponese, su cui, dunque, gli stranieri non dovrebbero pronunciarsi. Eppure, anche i giapponesi sembrano ormai guardare a questa spuria “tradizione” con un certo sospetto, in particolar modo a causa dell’enorme potenziale tossico della carne di balena. Come tutti i pesci di grossa pezzatura, infatti, anche la balena accumula nel suo corpo, in particolare nelle molecole grasse, tutti i veleni che oggi si trovano nel mare, in particolare i metalli pesanti. Così, secondo uno studio del Journal of Environmental Science and Technology del 2003 mostrava come, già allora, la carne di balena contenesse livelli “allarmanti” di mercurio. Da allora, l’inquinamento marino è solo peggiorato, e la presenza di metalli pesanti nei cetacei – come nelle carni di molti altri pesci – non ha fatto che aumentare. Ma il Giappone, da tempo, ha ormai perso il piacere di consumare carne di balena, vuoi per l’evolversi della dieta nazionale, vuoi per i pericoli associati al mercurio: e così, lo scorso anno il Giappone aveva in magazzino 6000 tonnellate di carne di balena, di cui, rari esperimenti scientifici a parte, non sapeva davvero cosa farsene. Questo rappresenta un costo considerevole per il Giappone, la cui dimostrazione scientifica nel cacciare balene, voleva provare anche che questa fosse una pratica sia ecologicamente che commercialmente sostenibile: invece, ora che si appronta ai notevoli costi del riparare la Nisshin Maru, la baleniera nazionale, il Giappone deve affrontare anche il crescente numero di genitori arrabbiati per la pratica di rimpinguare i pasti scolastici dei bambini aggiungendo carne di balena nelle mense nazionali, per cercare di liberare un po’ dei depositi debordanti. Operazione commerciale fallimentare, dunque, fonte di tensioni sociali e scacco totale rispetto alle relazioni pubbliche internazionali: e se il Giappone approfittasse del verdetto all’Aja per smettere di cacciare balene e delfini? fonte: lastampa.it

Il 28 aprile arriva la “Festa del cane”

Come per la donna, il papà, la mamma, gli innamorati ed i nonni, esiste il giorno solenne del cane, notoriamente miglior amico dell’uomo. Anche nel 2014 la Festa del cane  si celebrerà il 28 Aprile.  festa del cane Una festa dedicata agli amici a quattro zampe festa del cane3Dopo la trentaquattresima edizione della festa del cane bastardino e la rassegna di concerti canini, tenutesi nel mese di Febbraio rispettivamente ad Empoli e Catania, si avvicina una data cara agli estimatori di quest’animale, considerato oramai da decenni, il miglior amico dell’uomo. Anche quest’anno infatti, il 28 Aprile è stato scelto come anniversario delle celebrazioni degli amici a quattro zampe. La Festa del Cane è un evento relativamente recente, fortemente rivendicato ed acclamato dagli animalisti di tutto il mondo, desiderosi di vedere finalmente riconosciuti e tutelati i diritti di una specie che è entrata a far parte della nostra quotidianità.   L’importanza di questa data festa del cane2La ricorrenza annuale, che riunisce cinofili provenienti da tutte le regioni d’Italia e non solo, cade nel giorno della liberazione dei Beagle di Green Hill, un successo senza precedenti nel panorama delle battaglie antivivisezione sostenute dagli animalisti di tutto il mondo. Una vittoria importante quella contro l’organizzazione, che allevava animali destinati alla sperimentazione in laboratorio, al fine di testare farmaci, pesticidi ed altri prodotti chimici altamente nocivi. Più di duemila esemplari sono stati letteralmente salvati con l’ultima sentenza della Corte di Cassazione, cifre che val la pena di evidenziare, ma soprattutto ricordare con un’apposita giornata. Così a dispetto delle altre date proposte, tra cui spiccavano il primo Dicembre, per la costellazione del Cane Maggiore, il 30 Aprile, compleanno di Pluto, ed il 3 Novembre, per la missione della cagnetta Laika nello spazio, la data della liberazione dei Beagle, ha raccolto maggiore consenso. Chi aderisce Ad aderire all’iniziativa del 28 Aprile, tutti coloro che abbiano deciso d’impegnarsi concretamente a favore dei cani, rispettandoli per ciò che sono, ossia esseri viventi bisognosi di cure e di attenzioni come chiunque altro. Diverse associazioni di volontariato per l’adozione dei cuccioli abbandonati, e rivenditori specializzati che da anni si battono per la tutela dei diritti degli animali, faranno sentire la propria voce su tutto il territorio nazionale, con attività ludiche, workshop e conferenze dedicate. ll ritrovamento di un animale in difficoltà, il modo in cui approcciare al cane e dargli la giusta considerazione, i temi più caldi in programma. Nel frattempo, chi fosse interessato a prendere parte alle iniziative o volesse proporre un evento, potrà trovare molteplici spunti consultando siti specializzati come http://animalmania.it/blog/. L’idea comune è che la Festa del cane debba essere innanzitutto una giornata di speranza, da vivere serenamente insieme ai propri fidati amici animali. Valentina Barretta

Anatra

L’anatra è un uccello dell’ordine degli Anseriformi, classe Anatidi. anatra muta 2Le specie di anatra allevate in cattività sono molte, e alcune di esse sono state addomesticate. Vengono utilizzate soprattutto per scopo alimentare, per produrre uova, per la carne e per il fegato, ma possono anche essere impiegate per la caccia e per scopi ornamentali. Le anatre allevate discendono da due specie selvatiche, la Chairina moschata, la famosa anatra muta o muschiata, detta anche anatra di Barberia, e il Germano reale o anatra selvatica (Anas platyrhynchos), che ha dato origine a tutte le anatre domestiche, spesso chiamate anatre comuni.

Allevamento dell’anatra

anatra mutaL’anatra presenta alcuni vantaggi rispetto al pollo. Non razzolando, non danneggia i giardini e libera la vegetazione e il terreno da larve, insetti (anche zanzare), molluschi, essendo instancabile nella ricerca del cibo; il piccolo di anatra non ha bisogno né del caldo artificiale, né di quello materno già dopo pochi giorni di vita; la sua alimentazione è molto più semplice, la crescita molto rapida; è meno sensibile alle intemperie, quindi si ammala di meno e necessita di ricoveri meno protettivi. L’anatra domestica è diventata negli ultimi anni una forte concorrente dei polli nella produzione di uova, che sono più grandi (circa 70 g), e vengono utilizzate soprattutto in pasticceria e nella produzione di pasta. Le anatre da carne sono solitamente macellate intorno alle 7-8 settimane di vita. L’anatra muta è utilizzata per la produzione di carne di eccellente qualità e del fegato, che è adatto per produrre foie gras (fegato grasso).

L’anatra in cucina

anatra muta cucinaLa classica ricetta a base di carne di anatra prevede l’uso dell’arancia, che ben si sposa con l’aroma caldo e intenso di questo animale. C’è da dire che le carni degli animali allevati in modo intensivo non hanno aromi e sapori particolarmente spiccati e quindi possono essere gradite a tutti coloro che non amano carni dai sapori forti. L’anatra è un uccello volatore e quindi il suo petto contiene mioglobina, rendendo la sua carne di colore rosso. Il petto di anatra si presenta come una grossa bistecca con la pelle da un lato, va cotto brevemente, lasciandolo rosato all’interno, e la pelle va utilizzata per liberare il grasso da utilizzare in cottura, che rende questa carne magrissima più tenera e succosa. La coscia di anatra può essere utilizzata per preparazioni in umido, come quella del pollo, mentre l’anatra intera può essere preparata arrosto alla stregua del pollo. Il germano reale (anatra selvatica), ha carni scure dall’aroma molto intenso e va in genere preparato in umido con l’aggiunta di spezie (ginepro, chiodo di garofano, cannella), con un soffritto di odori (sedano, carota, cipolla) sfumati nel vino che poi vanno frullati per preparare la salsa di accompagnamento.

La Francia dice sì alla caccia al lupo rischio invasione in Piemonte

Sono circa 200 gli animali che vivono sulle Alpi al confine tra i due paesi e cinque branchi si spostano tra le valli francesi e quelle di Susa e Chisone. L’allarme dei pastori del Torinese

lupoLa Francia ha deciso: il lupo si potrà cacciare, e le operazioni di prelievo partiranno proprio dalle regioni confinanti con il Piemonte: Rhone Alpes e Paca. Lo ha annunciato il ministro dell’Agricoltura Stéphane Le Foll, durante un convegno, pochi giorni fa nella cittadina di Drome. Il ministro ha spiegato di aver scritto una lettera ai prefetti, con il responsabile del dicastero dell’Ecologia, Philippe Martin, in cui si autorizzano le operazioni di prelievo per i cacciatori addestrati, nei boschi francesi che confinano con la montagna torinese. Ad esempio a ridosso della Val Susa e Val Chisone, ma senza dimenticare la zona delle Alpi Marittime. L’elevata concentrazione di branchi (si stima la presenza di circa 200 lupi in tutta la Francia) unita ai continui attacchi agli allevamenti di ovini e bovini, ha convinto i francesi a una scelta drastica, per tutelare l’economia montana. Ovviamente la caccia al predatore delle Alpi dovrà rispettare le prescrizioni della direttiva Habitat, essendo il lupo un animale protetto a livello europeo. “Nel 2013, su 24 abbattimenti autorizzati, ne sono stati effettuati solo tre – ha spiegato il ministro – i nostri mezzi non sono sufficienti e per quello chiederemo il supporto dei cacciatori locali”. Il provvedimento francese avrà delle ripercussioni anche in Piemonte, proprio perché alcuni dei branchi che saranno colpiti, sono quelli definiti “transfrontalieri”. Ce ne sono cinque di questo genere, di cui due nella provincia di Torino: tra Bardonecchia e Nevache in Val Claree, e tra l’Haute Maurienne e la Val Cenischia, al Moncenisio. Ma occorre citare anche il branco della Valle Ripa, con lupi che si spostano tra Cesana e il Monginevro. Nella provincia di Torino, altri branchi sono presenti in Val Germanasca, Val Chisone, nel Gran Bosco di Salbertrand e nel parco Orsiera, e dall’estate scorsa anche nelle Valli di Lanzo. Un totale di 2530 lupi, mentre in tutto il Piemonte si è stimata la presenza di circa 40 esemplari. Ma in futuro sarà più difficile monitorarne la presenza: la Regione ha infatti deciso dopo 13 anni di tagliare il progetto di ricerca partito nel 1999.  Intanto sale la protesta tra gli allevatori piemontesi: “Solo quest’anno mi hanno massacrato oltre trenta pecore, non si può più andare avanti – dice sconsolato Silvano Galfione, che ha l’alpeggio in Val Chisone – sono venuti anche in queste ultime due notti”. Secondo gli allevatori non si può permettere ad un predatore simile di riprodursi senza controlli: “La Francia fa bene a permettere la caccia controllata – aggiunge – ma noi pastori non contiamo nulla, i politici sono senza palle, e temono di perdere voti perché il lupo piace ai cittadini, è bello da vedere nelle foto”. Della stessa opinione Silvia Fiore, con alpeggio a Venaus: “Siamo esasperati, coi tempi che corrono, non possiamo più permetterci di pagare un guardiano notturno per sorvegliare gli animali e contro i branchi non basta un cane da guardia”. Iniziando la caccia in Francia, i lupi cercheranno un rifugio sicuro nelle vallate piemontesi? La ricercatrice Elisa Avanzinelli tranquillizza gli animi: “Non c’è rischio di invasioni, ma non è abbattendo i lupi che si risolvono i problemi della pastorizia. Solo la prevenzione può tutelare gli allevatori: installando recinzioni elettrificate, non lasciando incustoditi le greggi, e rinforzando la sorveglianza con guardiani e cani”.

Procione – Procyon lotor

Procyon lotorNome comune: PROCIONE

Nome scientifico: Procyon lotor Famiglia: Procionidi Ordine: Carnivori Classe: Mammiferi CARATTERISTICHE: ProcioneLa dimensione del procione ricorda quella della volpe. La lunghezza testa-corpo è di 40-70 cm e l’altezza alla spalla è di 23-35 cm. Il peso varia dai 4 ai 9 kg. La testa è rotonda e il muso allungato; le orecchie sono tondeggianti e bordate di bianco. La folta pelliccia del procione è caratterizzata da tonalità del grigio. Distintiva è la mascherina sul muso di colore nero e bordata di bianco. Le zampe presentano delle “dita” piuttosto lunghe provviste di artigli taglienti. Un’altra specie è il procione granchiaiolo che ha il corpo più lungo rispetto agli altri, sebbene abbia una coda leggermente più corta; i denti sono, inoltre, più spessi e robusti e la pelliccia è più corta, di colore grigio scuro con macchie gialle. VITA ED ABITUDINI: procione (1)I procioni conducono una vita solitaria, anche se nel periodo invernale si possono creare delle aggregazioni più o meno numerose. Questi animali non difendono un territorio in modo particolarmente marcato, tanto che le aree familiari si possono sovrapporre. Generalmente il periodo riproduttivo cade tra gennaio e marzo. Durante questa fase i maschi visitano le tane delle femmine e si accoppiano, quindi non si creano dei legami di coppia stabili. Tra aprile e maggio vengono alla luce 2-8 piccoli completamente ciechi e dal peso di 60-70 gr. Il legame tra la madre e la prole s’interrompe con il successivo periodo riproduttivo. A questo punto i giovani creano dei gruppi, prima di cercare individualmente un proprio territorio. orsetti-lavatoriIl procione è una specie onnivora, che si adatta a qualsiasi disponibilità alimentare. Si nutre di frutta, ghiande, avena, mais, lombrichi, insetti, micromammiferi, uccelli e uova. E’ un ottimo scalatore e un eccezionale nuotatore. Spesso utilizza vecchie tane (per trascorre il giorno, per allevare la prole e per ibernare) costruite dalla volpe o dal tasso, oppure delle cavità naturali. Occupa diversi habitat, anche se preferisce le zone agricole e le foreste miste procioni (3)ricche di aree umide. Lo possiamo incontrare ai margini delle città, nei parchi e nei frutteti. Il suo attuale areale di distribuzione comprende gli Stati Uniti, il Canada, l’Europa centrale e l’Asia. La pelliccia dei procioni, pur essendo ruvida, è molto bella; quella della specie nordamericana, in particolare, è apprezzata fin dal XVII secolo e ancora oggi viene utilizzata per confezionare berretti e altri capi di vestiario. La caccia al procione è molto praticata negli Stati Uniti meridionali e avviene di notte utilizzando i cani, che stanano questi mammiferi nei pressi delle paludi e dei corsi d’acqua. NON TUTTI SANNO CHE: Il procione, prima di ingerire il cibo lo manipola ripetutamente con le zampe anteriori, dando l’impressione che desideri lavarlo, ciò gli è valso il nome di orsetto “lavatore”.

IL PROCIONE IN ITALIA:

Raccoon_(Procyon_lotor)_2Sono così carini, simpatici, sono tanto amabili gli orsacchiotti dalla maschera bianca e nera, quelli che lavano nell’acqua il cibo prima di mangiarlo! Peccato che l’intero genere dei Procyionidae, cui appartiene il Procione o anche Orsetto lavatore, non può essere allevato in cattività in quanto è inserito nell’elenco degli animali «che possono costituire pericolo per la salute e l’incolumità pubblica e di cui è proibita la detenzione», come stabilito dal Decreto del Ministero dell’Ambiente del 19 aprile del 1996. La caratteristica principale del Procione è la mascherina di pelo nero attorno agli occhi, in forte contrasto con il colore bianco che la circonda. Chi, nelle sue terre d’origine (Stati Uniti, Messico e America centrale), ha a che fare abitualmente con l’Orsetto lavatore ne conosce le caratteristiche di pericolosità dovute non solo alla possibilità di aggressione fisica, ma sopratutto alle malattie che questo animale è in grado di trasmettere agli uomini e agli animali. Rabbia, leptospirosi e altre amenità di questo tipo rendono poco simpatico e tollerato questo animale a chi spesso lo incontra di sera nel proprio giardino. ProcioneSenza contare la cosiddetta «Conhound raccoon disease», una grave paralisi che colpisce alcune razze di cani che sono entrate in contatto e sono state più volte morsicate dal simpatico orsacchiotto che lava la mela nell’acqua prima di mangiarsela. Ora, il problema è che alcuni procioni, nel secolo scorso, sono stati deliberatamente introdotti in Francia e Germania e da qui si sono diffusi anche in Lombardia trovando un ambiente ideale lungo le sponde dell’Adda. Ed è proprio in un paese che si chiama Fara Gera d’Adda, in provincia di Bergamo, che i guai sono diventati insostenibili, quando la presenza dell’orsetto dalla mascherina nera ha cominciato a farsi ingombrante a causa del numero di esemplari. Non più un paio che desta la curiosità della gente, ma un centinaio che ormai tiene sotto scacco il paese. Rumori notturni strani, galline che scompaiono o si trovano a terra in un lago di sangue, tubi rosicchiati che perdono acqua… di chi la colpa? Dei procioni. procione italiaAvvistamenti sono stati segnalati fin dal 2004 e poi nel 2008. Negli ultimi anni si sono moltiplicati e, secondo gli esperti, vi sarebbero addirittura due o tre colonie nella zona di Fara Gera d’Adda nel Parco regionale dell’Adda Nord. Altre segnalazioni sono state fatte alla Forestale e ai vigili del fuoco per la presenza di procioni nei sottotetti di abitazioni, nei container dei rifiuti e anche nelle vicinanze del laghetto della Trucca vicino all’Ospedale di Bergamo. Ciò significa che il procione si sta diffondendo sempre più. «È un problema che ormai ci trasciniamo da qualche anno» commenta il sindaco Valerio Piazzalunga «ogni tanto ci sono cittadini che li segnalano. E gli operatori della piattaforma ecologica raccontano che se li ritrovano nei cassoni della spazzatura a mangiare gli avanzi, e devono metterli in fuga prima di poter scaricare nuovi rifiuti. Noi non possiamo intervenire, perché si tratta di animali classificati come pericolosi, e quindi serve l’intervento di personale specializzato. Ora temiamo che possano anche diffondersi nella zona tra l’Adda, il canale e l’ex Linificio, ormai dismesso». Gli assedi di paesi e città da parte di animali non sono infrequenti. Poco tempo fa, a Livorno, sembrava di rivivere le scene de Gli Uccelli di Hitchcock, solo che si trattava di gabbiani reali, che proteggevano uova e piccoli attaccando chi capitava. A Cinisello Balsamo, pochi giorni orsono dopo aver subito un’invasione di afidi (piccoli insetti tipo cimici), il centro è andato in allarme per la presenza di un elevato numero di grosse api per nulla rassicuranti. Un’invasione originale e tutto sommato gradita è quella avvenuta a Blagoveshchensk, nella regione di Amur nell’Estremo Oriente russo. Il paese, forse per l’estate piovosa, ha subito l’invasione da parte di centinaia di migliaia di coccinelle. Non male, portano fortuna. fonte: ilgiornale.it

Aquila reale uccisa da una fucilata

aquila reale morta SPOLETO – È una specie rara e protetta a livello comunitario e in tutto l’Appennino umbro-marchigiano se ne contano non più di 15 coppie nidificanti, di cui almeno 4 all’interno del Parco Nazionale dei Monti Sibillini. Eppure è stata proprio un’aquila reale di due o tre anni ad essere stata uccisa dai pallini di un cacciatore nel giorno di preapertura della stagione venatoria. La sua carcassa è stata trovata a settembre scorso sull’alto versante meridionale di Monte Maggiore, nel territorio comunale di Campello. La conferma che si trattasse della “regina dei cieli appenninici” è arrivata dopo la necroscopia congiunta eseguita all’Istituto Zooprofilattico Sperimentale e presso la Sezione di Chirurgia e Radiodiagnostica della Facoltà di Veterinaria di Perugia. Secondo gli esami compiuti, l’animale al momento della morte era “in perfette condizione fisiche, nel pieno delle proprie capacità locomotorie e sensoriali”. La causa del decesso dunque sarebbe da attribuirsi ai tre pallini da caccia rinvenuti nel corpo dell’esemplare dagli esperti: “Due in posizione centrale nella cavità basso-addominale, uno nella cavità toracica a tre millimetri del segmento toracico della colonna vertebrale, tutti in posizioni e condizioni letali”. Il colpo di fucile sarebbe stato sparato a non più di venti metri di distanza da un’arma lunga, probabilmente un fucile. E secondo la ricostruzione, avrebbe colpito l’animale in volo “strappandogli il possente becco”.  

Un precedente a lieto fine

Nel 2001, un’aquila reale era stata trovata nei pressi di Bolognola, dal Corpo forestale dello Stato, su segnalazione di alcuni cercatori di funghi. Le sue condizioni apparivano disperate, a causa delle ferite d’arma da fuoco su un’ala procuratele da un cacciatore. Subito affidata al Centro di recupero animali selvatici dell’Oasi Wwf Bosco Frasassi di Fabriano, l’aquila si era salvata, ma l’ala non aveva recuperato la sua funzionalità. Poi, a 10 anni di distanza dal suo ritrovamento, è tornata tra le sue montagne, nel Centro Faunistico di Castelsantangelo sul Nera, nel Parco Nazionale dei Monti Sibillini. anche se costretta a vivere in cattività. di Antonella Manni fonte: il messaggero.it – See more at: http://www.falconeria.org/aquila-reale-uccisa-da-un-cacciatore-si-cerca-il-colpevole/#comment-74

Il Lupo in Italia – Canis lupus italicus

canis lupus italicus2

Il lupo (Canis lupus, Linnaeus 1758) è un mammifero appartenente all’ordine dei Carnivori e alla famiglia dei Canidi. Il lupo “Garganico”, per cui il lupo dell’ Appennino (Canis lupus italicus), è una sottospecie del lupo. Sulla classificazione esistono tuttora controversie tra gli esperti relative all’attribuzione del rango di sottospecie, ma è indubbiamente caratterizzato da peculiari adattamenti all’ambiente appenninico che lo rendono unico. Il lupo appenninico è più piccolo rispetto al lupo comune, la taglia è quella di un cane di medie dimensioni, infatti, il peso di un maschio si aggira attorno ai 30-35 Kg., mentre una femmina è di circa 20-25 Kg., la lunghezza media è di circa 120 cm, mentre l’altezza al garrese varia dai 60 ai 70 cm. Il lupo è un carnivoro puro, che oltre a predare animali di grandi dimensioni quali cervi, caprioli, cinghiali e occasionalmente ovini e bovini domestici, può mangiare di tutto, bacche, funghi, insetti, lucertole, rane, uccelli, topi ed altri piccoli mammiferi, nonché, carcasse e rifiuti vari.

 

Distribuzione

Distribution_Canis_Lupus_ItalicusLa popolazione odierna, tenendo conto delle comunità alpine e di quelle presenti nel territorio peninsulare, è composta da un numero di individui che si aggira tra le 600 e le 1.000 unità, con la popolazione alpina composta da circa 100-120 esemplari e quella peninsulare da 500-800 individui, sebbene alcune stime parlino di 1.000-1.200 esemplari presenti in tutto il territorio italiano. Tuttavia, trattandosi di stime, il numero esatto non è al momento conosciuto. La popolazione alpina, pur crescendo con ritmi piuttosto veloci (10% all’anno), risulta ancora in pericolo per l’esiguità del numero di individui e per lo scarso contatto con altre popolazioni di Canis lupus, entrambi fattori che potrebbero indebolire il corredo genetico. Per questo motivo, tale popolazione è considerata in pericolo, mentre la popolazione appenninica, a causa della maggiore consistenza numerica è considerata a minore rischio e categorizzata come vulnerabile. Tuttavia anche per questa popolazione la riduzione del flusso genico e la pressione antropica, esercitata soprattutto attraverso il bracconaggio rappresentano evidentemente dei fattori di rischio elevati. Tuttora, infatti, persistono campagne di persecuzione, attraverso il bracconaggio, che utilizza principalmente armi da fuoco, bocconi avvelenati e lacci. Si tratta in ogni caso di comportamenti illegali, perché tutte le Leggi Regionali sulla caccia tutelano senza eccezioni il lupo e, a livello nazionale, esso è specie integralmente protetta. Uno dei maggiori pericoli a cui è esposto attualmente il lupo appenninico è l’ibridazione, causata dall’accoppiamento con cani rinselvatichiti, con conseguente corruzione del patrimonio genetico di questo animale. Come detto, il lupo appenninico è attualmente presente sull’intera catena degli Appennini e sulle Alpi Occidentali. Il maggior numero di branchi ed esemplari è presente in Abruzzo, con i nuclei principali nell’area del Parco Nazionale omonimo e nei settori a cavallo tra il Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, il Parco Nazionale della Majella ed il Parco nazionale dei Monti Sibillini e, in Calabria, nel Parco Nazionale della Sila; il territorio abruzzese, inoltre, grazie alla presenza di efficaci corridoi faunistici è l’unico in tutto l’Appennino a permettere spostamenti da parte del lupo sull’asse Ovest-Est e viceversa. Nel Lazio è presente sulla dorsale appenninica (particolarmente nel Parco dei Monti Simbruini), ma anche sui Monti della Tolfa, sui Monti Lepini e sui Monti Ausoni. Da circa 5 o 6 anni è stato registrato il suo ritorno anche nel Parco naturale dei Monti Aurunci. Ci sono stati avvistamenti anche nella campagna romana con un branco di 4-5 lupi. Negli ultimi anni alcuni esemplari sono stati avvistati all’interno del territorio del Parco Regionale dei Castelli Romani e nel Parco naturale regionale delle Serre. Nel 2010 sono avvenuti sporadici avvistamenti di 3-4 esemplari sui boschi del Subappenino Dauno nella Puglia settentrionale e 5 esemplari sulle Murge. Nel 2011 è stato accertato il ritorno del lupo italico nel Parco nazionale del Gargano dove alcune ricerche hanno confermato la presenza di almeno un nucleo familiare. Da poco tempo poi si è stabilito un branco nel Parco nazionale del Gran Paradiso. reintroduzione lupo italicusDa qualche anno si registra inoltre la presenza di alcuni esemplari di Canis lupus italicus in Svizzera, Valle d’Aosta e Lombardia. Altri individui erratici sono stati avvistati anche sui Pirenei. È infine probabile il ricongiungimento della popolazione del lupo appenninico con la popolazione del lupo sloveno: alcuni esemplari sono stati infatti segnalati nel Friuli-Venezia Giulia a partire dal 2000. Nel 2009 sulle Dolomiti è stata trovata la carcassa di un lupo, morto per cause naturali. Nella Provincia di Imperia, dopo operazioni atti ad aiutare il ripopolamento, sono stati fotografati a partire dal 2011. Nel 2012 nel Parco naturale regionale della Lessinia è stata verificata la presenza di una coppia di lupi, una femmina della popolazione italiana e un maschio di quella balcanica, diventando il primo caso verificato di ricongiungimento tra le due popolazioni, (ne parleremo più dettagliatamente nel seguito di questo articolo); la coppia si è riprodotta nel 2013. Le uniche regioni d’Italia dalle quali il lupo non è mai scomparso sono Campania, Basilicata, Calabria e Abruzzo, dove, all’interno delle foreste dei Monti Picentini-Alburni, del Pollino, del Vulture, della Sila e Parco nazionale d’Abruzzo, ha potuto proseguire la sua vita in relativa serenità e isolamento. canis lupus italicusIl lupo, può vivere isolato o in branchi gerarchicamente organizzati, con la presenza di un maschio e una femmina, capo-branco, detti “alfa” che hanno la dominanza assoluta sugli altri componenti del branco; le dimensioni dei branchi variano a seconda delle disponibilità ambientali ed alimentari, possono essere composti da 2 a 15/20 e più individui. Nel branco solo la coppia “alfa” si riproduce, il resto del branco protegge ed assiste nella crescita i loro cuccioli. L’accoppiamento avviene all’incirca nel mese di marzo, la gestazione dura intorno ai 2 mesi ed il numero dei nuovi nati (in genere nel mese di maggio) varia: dai 2 agli 8 cuccioli, i lupi hanno 1 solo periodo riproduttivo all’anno. La vita media di un lupo è di circa 10 anni ed è strettamente legata alla capacità di provvedere al proprio sostentamento. Il verso più caratteristico ed affascinate del lupo è l’ululato che serve sia a segnalare la propria presenza che come richiamo per gli altri membri del proprio branco. L’habitat naturale del Lupo è rappresentato da zone boscose in generale ma è capace di adattarsi ad ambienti diversi, purché ampi e selvaggi e non disturbati dall’azione o dalla presenza dell’uomo. E’ prevalentemente notturno, durante il giorno si rifugia nei luoghi più selvaggi ed inaccessibili, dove passa il tempo riposando e giocando, talvolta compie piccoli e rari spostamenti diurni, ed è un animale difficile da avvistare, per cui, l’incontro con un lupo in natura, diventa un evento eccezionale che pochissimi fortunati possono vantarsi di aver vissuto. Il Lupo non ha predatori naturali, se si esclude l’uomo. Del lupo, a parte illustrare le caratteristiche zoologiche più o meno note, non è facile scrivere, anche perché molto si è gia scritto o detto su di esso. E’ l’animale che più di ogni altro ha ispirato, in tutto il mondo, sia positivamente che negativamente favole, romanzi, racconti, film e leggende, era ed è tuttora, simbolo di forza e astuzia, creatura misteriosa e mitologica, ma anche un animale associato a forze oscure e maligne, simbolo di paura e cattiveria. Chi non conosce la storia della lupa di Roma che allattò Romolo e Remo, chi non conosce la fiaba di Cappuccetto Rosso e il lupo cattivo, ecc. ecc., gli scritti, i racconti, le fiabe e le leggende sul lupo sono tantissimi.

La Ripresa

canis_lupus_italicus_aA partire dagli anni ’70 vennero attuate le prime politiche di conservazione, che favorirono l’aumento della popolazione. Nel 1971 partì la campagna del Parco Nazionale d’Abruzzo e del WWF significativamente chiamata “Operazione San Francesco” e nel 1976 vennero promulgate le prime leggi di conservazione[8]. Nei primi anni ’80 una nuova indagine stimò il numero degli esemplari in circa 220-240 individui, in espansione. Negli anni ’90 nuove stime portarono il numero a circa 400 lupi, con in più il ripopolamento di zone, come le Alpi Occidentali, dalle quali questi animali erano scomparsi da quasi un secolo. Contemporaneamente rinascevano comportamenti persecutori da parte dell’uomo: ad esempio, negli anni ’80, a seguito della ricomparsa di un piccolo nucleo di lupi nel comprensorio dei Monti Lepini, si attivarono nella zona squadre di armati che spesso arsero vive nelle tane intere cucciolate. In un episodio emblematico, accaduto nel 1983 a Carpineto Romano, un cucciolo di lupo, dopo essere stato barbaramente ucciso, venne inchiodato al portone del municipio, come monito per gli ambientalisti.

L’addomesticamento del Lupo

addomesticamento lupoNell’antichità, il lupo veniva visto, dai popoli nomadi legati alla caccia, in maniera molto positiva. Essendo anch’esso cacciatore, il lupo era un mito, ne veniva esaltata l’audacia, la potenza, l’astuzia, l’abilità nelle azioni di caccia (la straordinaria coordinazione del branco durante una battuta di caccia) e ne venivano imitate le tecniche, si può affermare, infatti, che le prime tecniche di caccia utilizzate dall’uomo derivano dall’osservazione dello stile predatorio del lupo. Tutto cambiò quando nacquero le prime civiltà stanziali, fondate sull’agricoltura e sulla pastorizia, dove si è cominciato a vedere il lupo come un competitore, un nemico da combattere e da eliminare. Questa situazione fece sì che nel medioevo l’odio nei confronti del lupo aumentasse notevolmente, fino ad associarlo come un animale vicino alle forze oscure e maligne, cattive e sleali, e addirittura al diavolo. Niente di più falso, la vera cattiveria e slealtà è stata perpetrata dall’uomo, nei confronti di questa mitica e misteriosa creatura, che ricopriva un ruolo principale nella catena alimentare di predatore insieme all’uomo. Il lupo non era preda dell’uomo come l’uomo non era preda del lupo, ma, un concorrente, due cacciatori antagonisti, una competizione vinta dall’uomo in modo sleale. Dal medioevo fino agli anni 70’, venne cacciato, braccato, ucciso con ogni mezzo; il lupo, insomma, da grande predatore, da grande cacciatore, una volta venerato, veniva cacciato, divenendo preda dell’uomo che da antagonista cacciatore divenne cacciatore di lupi. Tutto ciò, solo perché il lupo era divenuto un concorrente scomodo, perché l’uomo aveva mutato il suo modo di vivere, non più legato solo alla caccia, ma cominciava ad allevare le proprie prede (le greggi). Per queste azioni repressive il lupo rischiò di scomparire, ma negli anni 70’ per fortuna, divenne specie protetta. Il lupo attualmente è una specie “particolarmente” protetta e non cacciabile. Con il passare degli anni però, per il sempre meno spazio di natura selvaggia e il moltiplicarsi senza controllo del lupo, sarà inevitabile una nuova contrapposizione dei due cacciatori storici, il lupo e l’uomo, predatore contro predatore, il maestro (lupo) contro l’allievo (uomo). Ma l’allievo ha superato il maestro, con l’evidente vantaggio dell’uomo aiutato dalla tecnologia. Questa volta, una battaglia tra titani, già vinta in partenza dall’uomo per ovvi motivi, al solo scopo di ristabilire un equilibrio ecologico. Nonostante tutto, l’uomo cacciatore (un po’ meno l’uomo allevatore o urbano) continuerà ad onorare il suo maestro (il lupo), perché, sa bene, che, ci fu un tempo in cui il lupo insegnò all’uomo le sue tecniche di caccia. C’è stato un tempo in cui il rispetto reciproco di cacciatori si è trasformato da concorrenza ad alleanza, infatti, nella notte dei tempi e con modalità ancora sconosciute, qualche lupo ammirata l’intelligenza dell’uomo, decideva di avvicinarsi pian piano agli accampamenti dell’uomo, si sottometteva e accettava scarti ed avanzi che l’uomo gli porgeva con stima, ammirazione e stupore. Sempre più attratto dall’amicizia sincera dell’uomo decideva di partorire i suoi cuccioli tra gli uomini, fino al punto di lasciar toccare ed accudire i propri piccoli dal nuovo branco umano, il lupo trovò nell’uomo un alleato sincero, cominciò a fidarsi, da divenire pian piano negli anni un suo fedele ausiliario “IL CANE”, si perché il lupo è il progenitore selvatico del cane domestico, pronto a cacciare al fianco dell’uomo ed a morire, se necessario per lui. Un rapporto Lupo-Uomo che ha arricchito entrambi, con una solo differenza, la fedeltà del lupo per il tramite del cane non è eguagliabile da nessun sentimento umano.

La storia di Slavc e di Giulietta

E’ un evento storico, ma loro non lo sanno. Slavc e Giulietta sono due Lupi.   Nei giorni scorsi, nel parco naturale regionale della Lessinia (VR, VI), hanno avuto due cuccioli, due piccoli di Lupo ed è già un avvenimento storico, perché si tratta della prima riproduzione lupesca sulle Alpi orientali da almeno un secolo. Ma non basta.   Slavc è un Lupo balcanico, di provenienza dinarica, appartiene alla specie Canis lupus, mentre Giulietta è un Lupo italiano e appartiene alla sottospecie Canis lupus italicus.  Dopo più di 150 anni, c’è stato un nuovo incontro e una nuova riproduzione fra le due distinte popolazioni. Un avvenimento storico che fa ben sperare per la sopravvivenza del nostro Lupo, della nostraTerra. A.N.S.A.16 agosto 2013 Nati due cuccioli lupo nel Parco Lessinia. Evento nel Veronese, i ‘piccoli’ filmati dal Corpo Forestale dello Stato. Due cuccioli di lupo hanno preso possesso di un’area della Lessinia veronese. Una ‘videotrappola’, nei giorni scorsi, ha documentato l’avvenuta riproduzione con la presenza di due cuccioli di lupo. E’ stata quindi accertata la riproduzione della prima coppia di lupo delle Alpi orientali, formatasi lo scorso anno in Lessinia dall’incontro tra un lupo balcanico di provenienza dinarica, ‘Slavc’, e una femmina di lupo italico, ‘Giulietta’. Nel corso degli accertamenti svolti nei giorni successivi, è stato possibile riprendere ‘dal vivo’ le prime immagini dei due cuccioli. È il risultato del costante monitoraggio svolto dal personale del Parco della Lessinia e del Comando Stazione di Bosco Chiesanuova del Corpo Forestale dello Stato. L’eccezionale evento riconduce a quanto zoologi e ricercatori avevano previsto e attendevano da tempo: il ricongiungimento di due popolazioni diverse non più in contatto da secoli con la formazione di un nucleo familiare, l’unico noto per le Alpi orientali, fatto di elevatissimo valore biologico e conservazionistico. Le attività di monitoraggio e vigilanza continuano al fine non solo di identificare geneticamente i nuovi nati ma anche di seguire e tenere costantemente sotto controllo le attività del nuovo nucleo familiare. La specie, ‘particolarmente protetta’ dalle normative nazionali e comunitarie, ha un importante ruolo al vertice della piramide alimentare nell’ecosistema alpino. Si sottolinea che quest’ospite speciale, estremamente schivo ed elusivo con abitudini prettamente notturne e crepuscolari, non rappresenta alcun pericolo per l’uomo, e riuscire ad osservarlo in natura è un evento eccezionale e fortuito. Come testimoniano i dati relativi al restante territorio italiano, Appennino e Alpi occidentali, a fronte di diverse centinaia di animali presenti – rileva una nota del Parco delle Lessinia – non è mai stato documentato alcun caso di aggressione nei confronti dell’uomo nell’ultimo secolo.

La cuccia ideale

cuccia per caneLa scelta della cuccia per il tuo fedele amico è fondamentale, quanto la scelta della casa per te: sarà il luogo sicuro dove andrà a ripararsi da intemperie e dove potrà trovare tranquillità quando necessario. La cuccia ideale non è solo quella resa confortevole dal nostro affetto, imbottita e arredata, ma soprattutto quella più adatta per dimensioni:
  •  Deve esserci sufficiente spazio da permettere al cane di stare in piedi davanti all’ingresso, sdraiarsi e girare su sé stesso comodamente: la cuccia dovrà essere di circa 30 cm più larga, 45 cm pù lunga e 22 cm più alta rispetto al tuo cane (l’altezza é quella del garrese del cane).
  • L’ingresso dovrà essere di una dimensione consona alla grandezza dell’animale per permettergli di entrare e uscire agevolmente dalla cuccia: circa 5 cm oltre l’altezza del garrese e 5 cm oltre la larghezza del cane:
  • Per dare maggiore protezione al cane, l’entrata andrebbe meglio fatta da un lato anziché nel mezzo.
  • Se invece il vostro è un cane da guardia, la porta di accesso dovrà essere più grande considerato che questi cani istintivamente ispezionano il territorio circostante e necessitano di avere una visuale più ampia.

Posizionamento

L’indicazione generale è di preferiere posizioni intermedie, dove l’escursione termica sia moderata: mai troppo fredda d’inverno nè troppo calda d’estate. La soluzione ideale potrebbe essere di posizionare la cuccia sotto coperture preesistenti, come porticati, pensiline o pergolati. Se non ce ne fossero, andrà benissimo anche a ridosso delle mura di casa: l’importante è che sia sufficientemente riparata da vento e intemperie, non esposta al calore diretto del sole nei periodi più caldi dell’anno. Dovrebbe essere posizionata vicino all’ingresso di casa, in modo che sia ben visibile, così che il cane possa sorvegliare facilmente il luogo, altrimenti potrebbe trovarsi una posizione diversa dove riposare!

Manuntenzione

  •  smontare, lavare e disinfestare con regolare frequenza durante l’estate
  •  se possibile ribaltare il fondo per evitare deformazioni
  •  rimuoverla, pulire e disinfestare abbondantemente la parte sottostante e permettere una buona asciugatura
  •  disinfestare le paratie di protezione
  •  se la lettiera è composta da paglia, sostituire e bruciare la vecchia
  •  se la lettiera è composta da vecchi indumenti, sostituire molto spesso in quanto la stoffa può favorire lo sviluppo dei parassiti e il ristagno dell’umidità (sostituire più spesso nella stagione umida)

Il ritorno dell’orso sulle Alpi Centrali

Ursus arctos

Quale futuro per l’orso bruno (Ursus arctos)? Malgrado sia una specie protetta fin dal 1939, il rapporto tra uomini e orsi non sempre è stato corretto, tanto che alla fine del secolo scorso se ne paventava addirittura l’estinzione. Con l’intervento dell’Unione europea, ha preso avvio nel 1996 un progetto, rifinanziato nel 2000, per la salvaguardia del celebrato planti-grado. Il progetto è stato promosso dal Parco Naturale Adamello Brenta e con-dotto in collaborazione con la Provincia Autonoma di Trento e l’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica. Il fu-turo degli orsi sembra oggi meno precario, anche se sarà necessario che gli enti coinvolti nella tutela del plantigrado trovino le opportune sinergie e collaborazioni. L’orso bruno (Ursus arctos) è una specie particolarmente rilevante a livello europeo, come sancito dalle direttive comunitarie preposte alla salvaguardia della biodiversità. Nella direttiva “Habitat” (92/43 CEE), il plantigrado è indicato come “specie prioritaria” (con asterisco), ovvero come specie «per la cui conservazione la Comunità ha una responsabilità particolare» (Art. 1), «per cui gli Stati membri garantiscono la sorveglianza dello stato di conservazione» (Art. 11) e infine elencato tra le specie «di interesse comunitario che richiedono una protezione rigorosa» (allegato IV). Inoltre, in Europa l’orso bruno è una specie inclusa nell’appendice II (“Specie di fauna rigorosamente protette”) della Convenzione di Berna del 1979, in cui le nazioni aderenti vengono stimolate a trovare opportune misure di salvaguardia della specie e di conservazione degli habitat.

A dispetto del supporto legale (l’orso bruno è una specie protetta fin dal 1939 in base all’art. 38 del Testo Unico della Caccia, secondo il qua-le veniva considerato raro e meritevole di protezione), il rapporto tra uomini e orsi è sempre stato ambivalente. Se, per un verso, l’orso ha condiviso il suo territorio con l’uomo fin dall’antichità, entrando a pie-no titolo nella cultura delle genti alpine, alcuni fattori conflittuali hanno condannato la specie ad una caccia spietata che, intorno al XIX-XX se-colo, ne ha decretato l’estinzione quasi totale dall’arco alpino. Già dopo la seconda guerra mondiale, il plantigrado è dunque rimasto confinato in una ristretta area del Trentino occidentale che nel 1988, anche per questo scopo, è divenuta area protetta con il nome di Parco Naturale Adamello Brenta. Alla fine del secolo scorso, tuttavia, anche il nucleo di orsi del Brenta, ridotto a non più di 2-3 individui, aveva superato la so-glia dell’estinzione: una ripresa naturale era considerata assolutamente improbabile. In questo contesto, nel 1996, ha preso avvio mediante finanziamenti “Life” dell’Unione Europea il Progetto “Ursus – Tutela della popolazione di orso bruno del Brenta”, rifinanziato nel 2000 (sempre dall’Unione Europea) con il titolo “Ursus – Seconda fase di tutela del-l’orso bruno del Brenta”. Il progetto “Life-Ursus” Ursus arctos2L’intervento di salvaguardia nei confronti del plantigrado – promos-so dal Parco Naturale Adamello Brenta e condotto in stretta collaborazione con la Provincia Autonoma di Trento (PAT) e l’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica (INFS) – si è basato su una attenta fase preparatoria. In base ad un apposito “Studio di fattibilità”, la reintroduzione è stata individuata come l’unico metodo in grado di riportare gli orsi sul Brenta: 9 individui (3 maschi e 6 femmine di età compresa tra 3 e 6 anni) sono stati indicati come il contingente minimo per la ricostituzione, nel medio-lungo periodo (20-40 anni), di una popolazione vitale di orsi sulle Alpi Centrali, formata da almeno 40-50 individui. Lo “Studio di fattibilità” ha inoltre stimato – mediante un’approfondita modellizzazione del territorio comprendente il Trentino occidentale e parte delle province di Bolzano, Brescia, Sondrio e Verona – in più di 1.700 km2 le aree idonee alla presenza del plantigrado: superficie giudicata sufficientemente ampia per ospitare la popolazione minima vitale. Proprio in base all’estensione territoriale dell’area interessata dal progetto ed alla sua complessità, numerosi sono stati i partner che han-no collaborato all’iniziativa. Sono infatti stati formalizzati accordi operativi, oltre che con le quattro province confinanti con quella di Trento, anche con l’Associazione Cacciatori Trentini, che collabora tuttora al monitoraggio degli orsi immessi, con il WWF di Trento e con numero-si altri enti, organizzazioni ed associazioni di categoria. Dato l’elevato impatto emotivo della specie, la fase preparatoria del progetto ha previsto altresì la realizzazione di un sondaggio di opinione (affidato all’Istituto Doxa di Milano): più di 1500 abitanti dell’area di studio sono stati intervistati telefonicamente per verificare l’attitudine, la percezione nei confronti della specie e la possibile reazione di fronte ai problemi derivanti dalla sua presenza. I risultati sono stati sorprendenti: più del 70percento dei residenti interpellati si sono dichiarati a favore del rilascio di orsi nell’area e la percentuale ha raggiunto addirittura l’80per-cento di fronte all’assicurazione che sarebbero state adottate misure di prevenzione dei danni e gestione delle situazioni di emergenza. Questi ultimi provvedimenti sono stati adeguatamente e dettagliata-mente pianificati dal Parco nell’ambito delle “Linee Guida” che, oltre a definire l’organizzazione generale del progetto, hanno permesso di individuare gli enti e le figure coinvolte a vario titolo, identificando compiti e responsabilità nell’ambito di tutte le attività previste per favorire una positiva realizzazione della reintroduzione. La fase operativa del progetto ha preso avvio nel 1999, con la liberazione dei primi due esemplari: Masun e Kirka, catturati nelle riserve di caccia della Slovenia meridionale. Tra il 2000 e il 2002 sono stati liberati altri 8 individui, per un totale di 10 complessivi (l’ultima femmina, Maja, è stata liberata per sostituire Irma, morta nel 2001 a causa di una slavina). Tutti gli orsi rilasciati sono stati dotati di un radiocollare e di due marche auricolari trasmittenti. Questi dispositivi hanno consentito di monitorare gli spostamenti degli animali per il periodo successivo al ri-lascio, confermando le previsioni dello “Studio di fattibilità” e l’ottimo adattamento degli individui reintrodotti al nuovo territorio di vita.   Presente e futuro degli orsi sulle Alpi Ursus-arctos-horribilisIl successo dell’operazione di reintroduzione è stato sancito soprattutto dal rapido accrescimento della popolazione. A seguito degli otto eventi riproduttivi accertati tra il 2002 e i primi mesi del 2006 (per un totale di 20 cuccioli nati in 5 anni) dopo più di un decennio di inattività riproduttiva, il nucleo di orsi che ha il Parco come sua core area è oggi stimato in più di 20 esemplari. Parallelamente all’incremento numerico, la popolazione di orsi si sta espandendo anche dal punto di vista territoriale: la presenza della specie non è infatti più limitata al Trentino occidentale ma comprende aree distanti qualche decina di chilometri dal Parco. L’esplorazione del territorio, sintomo del raggiungimento della capacità portante dell’area pro-tetta e dell’idoneità ambientale dei territori confinanti, lascia ben spera-re per un eventuale futuro ricongiungimento di tutte le popolazioni alpine, anche se il pericolo di estinzione non può ancora dirsi scongiurato. Desta infatti particolare preoccupazione la consanguineità tra gli individui derivante dal fatto che la maggior parte dei cuccioli nati in Trentino negli ultimi anni sono figli di un unico maschio (Joze, 11 anni di età), con un conseguente elevato rischio di depressione da inbreeding per le prossime generazioni se non si interverrà preventivamente. ursus-arctos-tegnProprio per questo motivo, nonostante la fine dei finanziamenti europei, il Parco prosegue le sue attività di tutela nei confronti del plantigrado, in stretta collaborazione con gli altri enti coinvolti (in primis la Provincia Autonoma di Trento, ente legalmente preposto alla gestione della specie). Nel dettaglio, per favorire il raggiungimento di una popolazione minima vitale sulle Alpi Centrali, l’impegno del Parco si è concretizzato mediante l’istituzione, al suo interno, di un “Gruppo di Ricerca e Conservazione dell’Orso Bruno” composto da biologi, naturalisti ed un eterinario che coordinano le attività di ricerca scientifica e divulga-zione nei confronti della specie. Conoscere il numero di individui, la distribuzione sul territorio e la ripartizione per sesso ed età, ma anche le abitudini alimentari, le caratteristiche dell’ibernazione e i potenziali fattori di disturbo della popolazione di orsi è infatti indispensabile per controllarne l’evoluzione nel tempo e prendere conseguentemente le decisioni gestionali più idonee. Considerando inoltre che a tutt’oggi l’immagine dell’orso bruno nell’opinione pubblica rimane basata più su miti e leggende che su assunzioni di ordine biologico ed ecologico, il progetto di conservazione del Parco prevede, oltre alle attività di monitoraggio e ricerca scientifica cui si è appena accennato, un’ampia opera di divulgazione e comunicazione rivolta a tutte le categorie sociali. Proprio per ottimizzare la realizzazione di tali interventi di informazione, e per rendere altresì disponibile la propria esperienza anche al di fuori dei propri confini territoriali, il Parco, insieme ad alcuni tra gli enti storicamente impegnati per la salvaguardia del plantigrado sul-l’arco alpino (Servizio Foreste sloveno, WWF Austria e Dipartimento di Scienze Animali dell’Università di Udine), ha delineato alcune azio-ni di comunicazione utili per favorire la convivenza con il plantigrado, con particolare riferimento alle azioni urgenti necessarie nelle zone di nuova colonizzazione. Tali principi sono stati redatti – insieme ad un modello predittivo di dinamica di popolazione tendente ad individua-re le aree di possibile espansione futura degli orsi sulle Alpi – nell’ambito di un apposito progetto ancora una volta promosso dall’Unione Europea (LIFE Co-op Natura “Criteri per la creazione di una metapopolazione alpina di orso bruno”). Il futuro degli orsi sembra dunque oggi meno incerto, anche se il ri-torno definitivo della specie sulle Alpi è tuttora strettamente dipenden-te dalla possibilità di ricongiungimento tra l’unica popolazione stabile di orsi sull’arco alpino, quella slovena, e i nuclei presenti in Austria e in Italia. Tale possibilità potrà divenire realtà solo se tutti gli enti coinvolti nella tutela del plantigrado sapranno trovare le più opportune sinergie e forme di cooperazione. Purtroppo le collaborazioni in tal senso, attual-mente, rappresentano più un’eccezione che non la regola. di Filippo Zibordi Bibliografia AA.VV. 2005 – Criteri di comunicazione per la conservazione dell’Orso Bruno sulle Alpi. Rapporto redatto nell’ambito dell’Azione A3 del progetto LIFE Co-op Natura LIFE2003NAT/CP/IT/000003 (Criteri per la creazione di una me-tapopolazione alpina di orso bruno). http://www.pnab.it/Lifecoop/azione_a3.htm   DUPRÉ, E. – GENOVESI, P. – PEDROTTI, L. 1998 – Studio di fattibilità per la rein-troduzione dell’orso bruno (Ursus arctos) sulle Alpi centrali. Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica e Parco Naturale Adamello-Brenta. Rapporto Tecnico: pagg. 1-96.   GRUPPO DI RICERCA E CONS. DELL’ORSO BRUNO DEL PNAB 2002 – La rein-   troduzione dell’orso bruno nel Parco Naturale Adamello Brenta. Attività di ricerca scien-tifica e tesi di laurea. Documenti Parco n. 15. Parco Naturale Adamello Brenta Ed. Strembo, pp. 254.   GRUPPO DI RICERCA E CONS. DELL’ORSO BRUNO DEL PNAB 2002 – La rein-   troduzione dell’orso bruno nel Parco Naturale Adamello Brenta. Attività di ricerca scien-tifica e tesi di laurea – seconda parte. Documenti Parco n. 16. Parco Naturale Adamello Brenta Ed. Strembo, pp. 144.   MUSTONI, A. 2004 – L’Orso Bruno sulle Alpi, Nitida Immagine Editrice, Cles, pp. 236.   PARCO NATURALE ADAMELLO BRENTA 1998 – Linee guida per l’organizzazione e la realizzazione dell’intervento di immissione di orsi nel Parco Naturale Adamello Brenta, pp. 1-25.   SWENSON, J. – GERSTL, N. – DAHLE, B. – ZEDROSSER, A. 2000 – Action plan for the conservation of the brown bear in Europe (Ursus arctos), Council of Europe, Nature and Environment, 114: pp. 1-69.