Il Lupo in Italia – Canis lupus italicus

canis lupus italicus2

Il lupo (Canis lupus, Linnaeus 1758) è un mammifero appartenente all’ordine dei Carnivori e alla famiglia dei Canidi.
Il lupo “Garganico”, per cui il lupo dell’ Appennino (Canis lupus italicus), è una sottospecie del lupo. Sulla classificazione esistono tuttora controversie tra gli esperti relative all’attribuzione del rango di sottospecie, ma è indubbiamente caratterizzato da peculiari adattamenti all’ambiente appenninico che lo rendono unico. Il lupo appenninico è più piccolo rispetto al lupo comune, la taglia è quella di un cane di medie dimensioni, infatti, il peso di un maschio si aggira attorno ai 30-35 Kg., mentre una femmina è di circa 20-25 Kg., la lunghezza media è di circa 120 cm, mentre l’altezza al garrese varia dai 60 ai 70 cm.
Il lupo è un carnivoro puro, che oltre a predare animali di grandi dimensioni quali cervi, caprioli, cinghiali e occasionalmente ovini e bovini domestici, può mangiare di tutto, bacche, funghi, insetti, lucertole, rane, uccelli, topi ed altri piccoli mammiferi, nonché, carcasse e rifiuti vari.

 

Distribuzione

Distribution_Canis_Lupus_ItalicusLa popolazione odierna, tenendo conto delle comunità alpine e di quelle presenti nel territorio peninsulare, è composta da un numero di individui che si aggira tra le 600 e le 1.000 unità, con la popolazione alpina composta da circa 100-120 esemplari e quella peninsulare da 500-800 individui, sebbene alcune stime parlino di 1.000-1.200 esemplari presenti in tutto il territorio italiano. Tuttavia, trattandosi di stime, il numero esatto non è al momento conosciuto. La popolazione alpina, pur crescendo con ritmi piuttosto veloci (10% all’anno), risulta ancora in pericolo per l’esiguità del numero di individui e per lo scarso contatto con altre popolazioni di Canis lupus, entrambi fattori che potrebbero indebolire il corredo genetico. Per questo motivo, tale popolazione è considerata in pericolo, mentre la popolazione appenninica, a causa della maggiore consistenza numerica è considerata a minore rischio e categorizzata come vulnerabile. Tuttavia anche per questa popolazione la riduzione del flusso genico e la pressione antropica, esercitata soprattutto attraverso il bracconaggio rappresentano evidentemente dei fattori di rischio elevati. Tuttora, infatti, persistono campagne di persecuzione, attraverso il bracconaggio, che utilizza principalmente armi da fuoco, bocconi avvelenati e lacci. Si tratta in ogni caso di comportamenti illegali, perché tutte le Leggi Regionali sulla caccia tutelano senza eccezioni il lupo e, a livello nazionale, esso è specie integralmente protetta.
Uno dei maggiori pericoli a cui è esposto attualmente il lupo appenninico è l’ibridazione, causata dall’accoppiamento con cani rinselvatichiti, con conseguente corruzione del patrimonio genetico di questo animale.
Come detto, il lupo appenninico è attualmente presente sull’intera catena degli Appennini e sulle Alpi Occidentali. Il maggior numero di branchi ed esemplari è presente in Abruzzo, con i nuclei principali nell’area del Parco Nazionale omonimo e nei settori a cavallo tra il Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, il Parco Nazionale della Majella ed il Parco nazionale dei Monti Sibillini e, in Calabria, nel Parco Nazionale della Sila; il territorio abruzzese, inoltre, grazie alla presenza di efficaci corridoi faunistici è l’unico in tutto l’Appennino a permettere spostamenti da parte del lupo sull’asse Ovest-Est e viceversa.
Nel Lazio è presente sulla dorsale appenninica (particolarmente nel Parco dei Monti Simbruini), ma anche sui Monti della Tolfa, sui Monti Lepini e sui Monti Ausoni. Da circa 5 o 6 anni è stato registrato il suo ritorno anche nel Parco naturale dei Monti Aurunci. Ci sono stati avvistamenti anche nella campagna romana con un branco di 4-5 lupi. Negli ultimi anni alcuni esemplari sono stati avvistati all’interno del territorio del Parco Regionale dei Castelli Romani e nel Parco naturale regionale delle Serre. Nel 2010 sono avvenuti sporadici avvistamenti di 3-4 esemplari sui boschi del Subappenino Dauno nella Puglia settentrionale e 5 esemplari sulle Murge. Nel 2011 è stato accertato il ritorno del lupo italico nel Parco nazionale del Gargano dove alcune ricerche hanno confermato la presenza di almeno un nucleo familiare. Da poco tempo poi si è stabilito un branco nel Parco nazionale del Gran Paradiso.
reintroduzione lupo italicusDa qualche anno si registra inoltre la presenza di alcuni esemplari di Canis lupus italicus in Svizzera, Valle d’Aosta e Lombardia. Altri individui erratici sono stati avvistati anche sui Pirenei. È infine probabile il ricongiungimento della popolazione del lupo appenninico con la popolazione del lupo sloveno: alcuni esemplari sono stati infatti segnalati nel Friuli-Venezia Giulia a partire dal 2000. Nel 2009 sulle Dolomiti è stata trovata la carcassa di un lupo, morto per cause naturali. Nella Provincia di Imperia, dopo operazioni atti ad aiutare il ripopolamento, sono stati fotografati a partire dal 2011. Nel 2012 nel Parco naturale regionale della Lessinia è stata verificata la presenza di una coppia di lupi, una femmina della popolazione italiana e un maschio di quella balcanica, diventando il primo caso verificato di ricongiungimento tra le due popolazioni, (ne parleremo più dettagliatamente nel seguito di questo articolo); la coppia si è riprodotta nel 2013. Le uniche regioni d’Italia dalle quali il lupo non è mai scomparso sono Campania, Basilicata, Calabria e Abruzzo, dove, all’interno delle foreste dei Monti Picentini-Alburni, del Pollino, del Vulture, della Sila e Parco nazionale d’Abruzzo, ha potuto proseguire la sua vita in relativa serenità e isolamento.

canis lupus italicusIl lupo, può vivere isolato o in branchi gerarchicamente organizzati, con la presenza di un maschio e una femmina, capo-branco, detti “alfa” che hanno la dominanza assoluta sugli altri componenti del branco; le dimensioni dei branchi variano a seconda delle disponibilità ambientali ed alimentari, possono essere composti da 2 a 15/20 e più individui. Nel branco solo la coppia “alfa” si riproduce, il resto del branco protegge ed assiste nella crescita i loro cuccioli. L’accoppiamento avviene all’incirca nel mese di marzo, la gestazione dura intorno ai 2 mesi ed il numero dei nuovi nati (in genere nel mese di maggio) varia: dai 2 agli 8 cuccioli, i lupi hanno 1 solo periodo riproduttivo all’anno. La vita media di un lupo è di circa 10 anni ed è strettamente legata alla capacità di provvedere al proprio sostentamento. Il verso più caratteristico ed affascinate del lupo è l’ululato che serve sia a segnalare la propria presenza che come richiamo per gli altri membri del proprio branco.
L’habitat naturale del Lupo è rappresentato da zone boscose in generale ma è capace di adattarsi ad ambienti diversi, purché ampi e selvaggi e non disturbati dall’azione o dalla presenza dell’uomo. E’ prevalentemente notturno, durante il giorno si rifugia nei luoghi più selvaggi ed inaccessibili, dove passa il tempo riposando e giocando, talvolta compie piccoli e rari spostamenti diurni, ed è un animale difficile da avvistare, per cui, l’incontro con un lupo in natura, diventa un evento eccezionale che pochissimi fortunati possono vantarsi di aver vissuto. Il Lupo non ha predatori naturali, se si esclude l’uomo.
Del lupo, a parte illustrare le caratteristiche zoologiche più o meno note, non è facile scrivere, anche perché molto si è gia scritto o detto su di esso. E’ l’animale che più di ogni altro ha ispirato, in tutto il mondo, sia positivamente che negativamente favole, romanzi, racconti, film e leggende, era ed è tuttora, simbolo di forza e astuzia, creatura misteriosa e mitologica, ma anche un animale associato a forze oscure e maligne, simbolo di paura e cattiveria. Chi non conosce la storia della lupa di Roma che allattò Romolo e Remo, chi non conosce la fiaba di Cappuccetto Rosso e il lupo cattivo, ecc. ecc., gli scritti, i racconti, le fiabe e le leggende sul lupo sono tantissimi.

La Ripresa

canis_lupus_italicus_aA partire dagli anni ’70 vennero attuate le prime politiche di conservazione, che favorirono l’aumento della popolazione. Nel 1971 partì la campagna del Parco Nazionale d’Abruzzo e del WWF significativamente chiamata “Operazione San Francesco” e nel 1976 vennero promulgate le prime leggi di conservazione[8]. Nei primi anni ’80 una nuova indagine stimò il numero degli esemplari in circa 220-240 individui, in espansione. Negli anni ’90 nuove stime portarono il numero a circa 400 lupi, con in più il ripopolamento di zone, come le Alpi Occidentali, dalle quali questi animali erano scomparsi da quasi un secolo.
Contemporaneamente rinascevano comportamenti persecutori da parte dell’uomo: ad esempio, negli anni ’80, a seguito della ricomparsa di un piccolo nucleo di lupi nel comprensorio dei Monti Lepini, si attivarono nella zona squadre di armati che spesso arsero vive nelle tane intere cucciolate. In un episodio emblematico, accaduto nel 1983 a Carpineto Romano, un cucciolo di lupo, dopo essere stato barbaramente ucciso, venne inchiodato al portone del municipio, come monito per gli ambientalisti.

L’addomesticamento del Lupo

addomesticamento lupoNell’antichità, il lupo veniva visto, dai popoli nomadi legati alla caccia, in maniera molto positiva. Essendo anch’esso cacciatore, il lupo era un mito, ne veniva esaltata l’audacia, la potenza, l’astuzia, l’abilità nelle azioni di caccia (la straordinaria coordinazione del branco durante una battuta di caccia) e ne venivano imitate le tecniche, si può affermare, infatti, che le prime tecniche di caccia utilizzate dall’uomo derivano dall’osservazione dello stile predatorio del lupo.
Tutto cambiò quando nacquero le prime civiltà stanziali, fondate sull’agricoltura e sulla pastorizia, dove si è cominciato a vedere il lupo come un competitore, un nemico da combattere e da eliminare. Questa situazione fece sì che nel medioevo l’odio nei confronti del lupo aumentasse notevolmente, fino ad associarlo come un animale vicino alle forze oscure e maligne, cattive e sleali, e addirittura al diavolo.
Niente di più falso, la vera cattiveria e slealtà è stata perpetrata dall’uomo, nei confronti di questa mitica e misteriosa creatura, che ricopriva un ruolo principale nella catena alimentare di predatore insieme all’uomo. Il lupo non era preda dell’uomo come l’uomo non era preda del lupo, ma, un concorrente, due cacciatori antagonisti, una competizione vinta dall’uomo in modo sleale. Dal medioevo fino agli anni 70’, venne cacciato, braccato, ucciso con ogni mezzo; il lupo, insomma, da grande predatore, da grande cacciatore, una volta venerato, veniva cacciato, divenendo preda dell’uomo che da antagonista cacciatore divenne cacciatore di lupi. Tutto ciò, solo perché il lupo era divenuto un concorrente scomodo, perché l’uomo aveva mutato il suo modo di vivere, non più legato solo alla caccia, ma cominciava ad allevare le proprie prede (le greggi).
Per queste azioni repressive il lupo rischiò di scomparire, ma negli anni 70’ per fortuna, divenne specie protetta. Il lupo attualmente è una specie “particolarmente” protetta e non cacciabile. Con il passare degli anni però, per il sempre meno spazio di natura selvaggia e il moltiplicarsi senza controllo del lupo, sarà inevitabile una nuova contrapposizione dei due cacciatori storici, il lupo e l’uomo, predatore contro predatore, il maestro (lupo) contro l’allievo (uomo). Ma l’allievo ha superato il maestro, con l’evidente vantaggio dell’uomo aiutato dalla tecnologia. Questa volta, una battaglia tra titani, già vinta in partenza dall’uomo per ovvi motivi, al solo scopo di ristabilire un equilibrio ecologico.

Nonostante tutto, l’uomo cacciatore (un po’ meno l’uomo allevatore o urbano) continuerà ad onorare il suo maestro (il lupo), perché, sa bene, che, ci fu un tempo in cui il lupo insegnò all’uomo le sue tecniche di caccia. C’è stato un tempo in cui il rispetto reciproco di cacciatori si è trasformato da concorrenza ad alleanza, infatti, nella notte dei tempi e con modalità ancora sconosciute, qualche lupo ammirata l’intelligenza dell’uomo, decideva di avvicinarsi pian piano agli accampamenti dell’uomo, si sottometteva e accettava scarti ed avanzi che l’uomo gli porgeva con stima, ammirazione e stupore. Sempre più attratto dall’amicizia sincera dell’uomo decideva di partorire i suoi cuccioli tra gli uomini, fino al punto di lasciar toccare ed accudire i propri piccoli dal nuovo branco umano, il lupo trovò nell’uomo un alleato sincero, cominciò a fidarsi, da divenire pian piano negli anni un suo fedele ausiliario “IL CANE”, si perché il lupo è il progenitore selvatico del cane domestico, pronto a cacciare al fianco dell’uomo ed a morire, se necessario per lui. Un rapporto Lupo-Uomo che ha arricchito entrambi, con una solo differenza, la fedeltà del lupo per il tramite del cane non è eguagliabile da nessun sentimento umano.

La storia di Slavc e di Giulietta

E’ un evento storico, ma loro non lo sanno.

Slavc e Giulietta sono due Lupi.   Nei giorni scorsi, nel parco naturale regionale della Lessinia (VR, VI), hanno avuto due cuccioli, due piccoli di Lupo ed è già un avvenimento storico, perché si tratta della prima riproduzione lupesca sulle Alpi orientali da almeno un secolo.

Ma non basta.   Slavc è un Lupo balcanico, di provenienza dinarica, appartiene alla specie Canis lupus, mentre Giulietta è un Lupo italiano e appartiene alla sottospecie Canis lupus italicus.  Dopo più di 150 anni, c’è stato un nuovo incontro e una nuova riproduzione fra le due distinte popolazioni.

Un avvenimento storico che fa ben sperare per la sopravvivenza del nostro Lupo, della nostraTerra.

A.N.S.A.16 agosto 2013

Nati due cuccioli lupo nel Parco Lessinia. Evento nel Veronese, i ‘piccoli’ filmati dal Corpo Forestale dello Stato.

Due cuccioli di lupo hanno preso possesso di un’area della Lessinia veronese. Una ‘videotrappola’, nei giorni scorsi, ha documentato l’avvenuta riproduzione con la presenza di due cuccioli di lupo. E’ stata quindi accertata la riproduzione della prima coppia di lupo delle Alpi orientali, formatasi lo scorso anno in Lessinia dall’incontro tra un lupo balcanico di provenienza dinarica, ‘Slavc’, e una femmina di lupo italico, ‘Giulietta’. Nel corso degli accertamenti svolti nei giorni successivi, è stato possibile riprendere ‘dal vivo’ le prime immagini dei due cuccioli. È il risultato del costante monitoraggio svolto dal personale del Parco della Lessinia e del Comando Stazione di Bosco Chiesanuova del Corpo Forestale dello Stato.

L’eccezionale evento riconduce a quanto zoologi e ricercatori avevano previsto e attendevano da tempo: il ricongiungimento di due popolazioni diverse non più in contatto da secoli con la formazione di un nucleo familiare, l’unico noto per le Alpi orientali, fatto di elevatissimo valore biologico e conservazionistico. Le attività di monitoraggio e vigilanza continuano al fine non solo di identificare geneticamente i nuovi nati ma anche di seguire e tenere costantemente sotto controllo le attività del nuovo nucleo familiare. La specie, ‘particolarmente protetta’ dalle normative nazionali e comunitarie, ha un importante ruolo al vertice della piramide alimentare nell’ecosistema alpino.

Si sottolinea che quest’ospite speciale, estremamente schivo ed elusivo con abitudini prettamente notturne e crepuscolari, non rappresenta alcun pericolo per l’uomo, e riuscire ad osservarlo in natura è un evento eccezionale e fortuito. Come testimoniano i dati relativi al restante territorio italiano, Appennino e Alpi occidentali, a fronte di diverse centinaia di animali presenti – rileva una nota del Parco delle Lessinia – non è mai stato documentato alcun caso di aggressione nei confronti dell’uomo nell’ultimo secolo.

La cuccia ideale

cuccia per caneLa scelta della cuccia per il tuo fedele amico è fondamentale, quanto la scelta della casa per te: sarà il luogo sicuro dove andrà a ripararsi da intemperie e dove potrà trovare tranquillità quando necessario.

La cuccia ideale non è solo quella resa confortevole dal nostro affetto, imbottita e arredata, ma soprattutto quella più adatta per dimensioni:

  •  Deve esserci sufficiente spazio da permettere al cane di stare in piedi davanti all’ingresso, sdraiarsi e girare su sé stesso comodamente: la cuccia dovrà essere di circa 30 cm più larga, 45 cm pù lunga e 22 cm più alta rispetto al tuo cane (l’altezza é quella del garrese del cane).
  • L’ingresso dovrà essere di una dimensione consona alla grandezza dell’animale per permettergli di entrare e uscire agevolmente dalla cuccia: circa 5 cm oltre l’altezza del garrese e 5 cm oltre la larghezza del cane:
  • Per dare maggiore protezione al cane, l’entrata andrebbe meglio fatta da un lato anziché nel mezzo.
  • Se invece il vostro è un cane da guardia, la porta di accesso dovrà essere più grande considerato che questi cani istintivamente ispezionano il territorio circostante e necessitano di avere una visuale più ampia.

Posizionamento

L’indicazione generale è di preferiere posizioni intermedie, dove l’escursione termica sia moderata: mai troppo fredda d’inverno nè troppo calda d’estate.

La soluzione ideale potrebbe essere di posizionare la cuccia sotto coperture preesistenti, come porticati, pensiline o pergolati. Se non ce ne fossero, andrà benissimo anche a ridosso delle mura di casa: l’importante è che sia sufficientemente riparata da vento e intemperie, non esposta al calore diretto del sole nei periodi più caldi dell’anno.

Dovrebbe essere posizionata vicino all’ingresso di casa, in modo che sia ben visibile, così che il cane possa sorvegliare facilmente il luogo, altrimenti potrebbe trovarsi una posizione diversa dove riposare!

Manuntenzione

  •  smontare, lavare e disinfestare con regolare frequenza durante l’estate
  •  se possibile ribaltare il fondo per evitare deformazioni
  •  rimuoverla, pulire e disinfestare abbondantemente la parte sottostante e permettere una buona asciugatura
  •  disinfestare le paratie di protezione
  •  se la lettiera è composta da paglia, sostituire e bruciare la vecchia
  •  se la lettiera è composta da vecchi indumenti, sostituire molto spesso in quanto la stoffa può favorire lo sviluppo dei parassiti e il ristagno dell’umidità (sostituire più spesso nella stagione umida)

Il ritorno dell’orso sulle Alpi Centrali

Ursus arctos

Quale futuro per l’orso bruno (Ursus arctos)? Malgrado sia una specie protetta fin dal 1939, il rapporto tra uomini e orsi non sempre è stato corretto, tanto che alla fine del secolo scorso se ne paventava addirittura l’estinzione. Con l’intervento dell’Unione europea, ha preso avvio nel 1996 un progetto, rifinanziato nel 2000, per la salvaguardia del celebrato planti-grado. Il progetto è stato promosso dal Parco Naturale Adamello Brenta e con-dotto in collaborazione con la Provincia Autonoma di Trento e l’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica. Il fu-turo degli orsi sembra oggi meno precario, anche se sarà necessario che gli enti coinvolti nella tutela del plantigrado trovino le opportune sinergie e collaborazioni.
L’orso bruno (Ursus arctos) è una specie particolarmente rilevante a livello europeo, come sancito dalle direttive comunitarie preposte alla salvaguardia della biodiversità. Nella direttiva “Habitat” (92/43 CEE), il plantigrado è indicato come “specie prioritaria” (con asterisco), ovvero come specie «per la cui conservazione la Comunità ha una responsabilità particolare» (Art. 1), «per cui gli Stati membri garantiscono la sorveglianza dello stato di conservazione» (Art. 11) e infine elencato tra le specie «di interesse comunitario che richiedono una protezione rigorosa» (allegato IV). Inoltre, in Europa l’orso bruno è una specie inclusa nell’appendice II (“Specie di fauna rigorosamente protette”) della Convenzione di Berna del 1979, in cui le nazioni aderenti vengono stimolate a trovare opportune misure di salvaguardia della specie e di conservazione degli habitat.

A dispetto del supporto legale (l’orso bruno è una specie protetta fin dal 1939 in base all’art. 38 del Testo Unico della Caccia, secondo il qua-le veniva considerato raro e meritevole di protezione), il rapporto tra uomini e orsi è sempre stato ambivalente. Se, per un verso, l’orso ha condiviso il suo territorio con l’uomo fin dall’antichità, entrando a pie-no titolo nella cultura delle genti alpine, alcuni fattori conflittuali hanno condannato la specie ad una caccia spietata che, intorno al XIX-XX se-colo, ne ha decretato l’estinzione quasi totale dall’arco alpino. Già dopo la seconda guerra mondiale, il plantigrado è dunque rimasto confinato in una ristretta area del Trentino occidentale che nel 1988, anche per questo scopo, è divenuta area protetta con il nome di Parco Naturale Adamello Brenta. Alla fine del secolo scorso, tuttavia, anche il nucleo di orsi del Brenta, ridotto a non più di 2-3 individui, aveva superato la so-glia dell’estinzione: una ripresa naturale era considerata assolutamente improbabile.

In questo contesto, nel 1996, ha preso avvio mediante finanziamenti “Life” dell’Unione Europea il Progetto “Ursus – Tutela della popolazione di orso bruno del Brenta”, rifinanziato nel 2000 (sempre dall’Unione Europea) con il titolo “Ursus – Seconda fase di tutela del-l’orso bruno del Brenta”.

Il progetto “Life-Ursus”


Ursus arctos2L’intervento di salvaguardia nei confronti del plantigrado – promos-so dal Parco Naturale Adamello Brenta e condotto in stretta collaborazione con la Provincia Autonoma di Trento (PAT) e l’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica (INFS) – si è basato su una attenta fase preparatoria. In base ad un apposito “Studio di fattibilità”, la reintroduzione è stata individuata come l’unico metodo in grado di riportare gli orsi sul Brenta: 9 individui (3 maschi e 6 femmine di età compresa tra 3 e 6 anni) sono stati indicati come il contingente minimo per la ricostituzione, nel medio-lungo periodo (20-40 anni), di una popolazione vitale di orsi sulle Alpi Centrali, formata da almeno 40-50 individui. Lo “Studio di fattibilità” ha inoltre stimato – mediante un’approfondita modellizzazione del territorio comprendente il Trentino occidentale e parte delle province di Bolzano, Brescia, Sondrio e Verona – in più di 1.700 km2 le aree idonee alla presenza del plantigrado: superficie giudicata sufficientemente ampia per ospitare la popolazione minima vitale.

Proprio in base all’estensione territoriale dell’area interessata dal progetto ed alla sua complessità, numerosi sono stati i partner che han-no collaborato all’iniziativa. Sono infatti stati formalizzati accordi operativi, oltre che con le quattro province confinanti con quella di Trento, anche con l’Associazione Cacciatori Trentini, che collabora tuttora al monitoraggio degli orsi immessi, con il WWF di Trento e con numero-si altri enti, organizzazioni ed associazioni di categoria.
Dato l’elevato impatto emotivo della specie, la fase preparatoria del progetto ha previsto altresì la realizzazione di un sondaggio di opinione (affidato all’Istituto Doxa di Milano): più di 1500 abitanti dell’area di studio sono stati intervistati telefonicamente per verificare l’attitudine, la percezione nei confronti della specie e la possibile reazione di fronte ai problemi derivanti dalla sua presenza. I risultati sono stati sorprendenti: più del 70percento dei residenti interpellati si sono dichiarati a favore del rilascio di orsi nell’area e la percentuale ha raggiunto addirittura l’80per-cento di fronte all’assicurazione che sarebbero state adottate misure di prevenzione dei danni e gestione delle situazioni di emergenza.

Questi ultimi provvedimenti sono stati adeguatamente e dettagliata-mente pianificati dal Parco nell’ambito delle “Linee Guida” che, oltre a definire l’organizzazione generale del progetto, hanno permesso di individuare gli enti e le figure coinvolte a vario titolo, identificando compiti e responsabilità nell’ambito di tutte le attività previste per favorire una positiva realizzazione della reintroduzione.
La fase operativa del progetto ha preso avvio nel 1999, con la liberazione dei primi due esemplari: Masun e Kirka, catturati nelle riserve di caccia della Slovenia meridionale. Tra il 2000 e il 2002 sono stati liberati altri 8 individui, per un totale di 10 complessivi (l’ultima femmina, Maja, è stata liberata per sostituire Irma, morta nel 2001 a causa di una slavina).

Tutti gli orsi rilasciati sono stati dotati di un radiocollare e di due marche auricolari trasmittenti. Questi dispositivi hanno consentito di monitorare gli spostamenti degli animali per il periodo successivo al ri-lascio, confermando le previsioni dello “Studio di fattibilità” e l’ottimo adattamento degli individui reintrodotti al nuovo territorio di vita.

 

Presente e futuro degli orsi sulle Alpi


Ursus-arctos-horribilisIl successo dell’operazione di reintroduzione è stato sancito soprattutto dal rapido accrescimento della popolazione. A seguito degli otto eventi riproduttivi accertati tra il 2002 e i primi mesi del 2006 (per un totale di 20 cuccioli nati in 5 anni) dopo più di un decennio di inattività riproduttiva, il nucleo di orsi che ha il Parco come sua core area è oggi stimato in più di 20 esemplari.

Parallelamente all’incremento numerico, la popolazione di orsi si sta espandendo anche dal punto di vista territoriale: la presenza della specie non è infatti più limitata al Trentino occidentale ma comprende aree distanti qualche decina di chilometri dal Parco. L’esplorazione del territorio, sintomo del raggiungimento della capacità portante dell’area pro-tetta e dell’idoneità ambientale dei territori confinanti, lascia ben spera-re per un eventuale futuro ricongiungimento di tutte le popolazioni alpine, anche se il pericolo di estinzione non può ancora dirsi scongiurato. Desta infatti particolare preoccupazione la consanguineità tra gli individui derivante dal fatto che la maggior parte dei cuccioli nati in Trentino negli ultimi anni sono figli di un unico maschio (Joze, 11 anni di età), con un conseguente elevato rischio di depressione da inbreeding per le prossime generazioni se non si interverrà preventivamente.

ursus-arctos-tegnProprio per questo motivo, nonostante la fine dei finanziamenti europei, il Parco prosegue le sue attività di tutela nei confronti del plantigrado, in stretta collaborazione con gli altri enti coinvolti (in primis la Provincia Autonoma di Trento, ente legalmente preposto alla gestione della specie).
Nel dettaglio, per favorire il raggiungimento di una popolazione minima vitale sulle Alpi Centrali, l’impegno del Parco si è concretizzato mediante l’istituzione, al suo interno, di un “Gruppo di Ricerca e Conservazione dell’Orso Bruno” composto da biologi, naturalisti ed un eterinario che coordinano le attività di ricerca scientifica e divulga-zione nei confronti della specie. Conoscere il numero di individui, la distribuzione sul territorio e la ripartizione per sesso ed età, ma anche le abitudini alimentari, le caratteristiche dell’ibernazione e i potenziali fattori di disturbo della popolazione di orsi è infatti indispensabile per controllarne l’evoluzione nel tempo e prendere conseguentemente le decisioni gestionali più idonee. Considerando inoltre che a tutt’oggi l’immagine dell’orso bruno nell’opinione pubblica rimane basata più su miti e leggende che su assunzioni di ordine biologico ed ecologico, il progetto di conservazione del Parco prevede, oltre alle attività di monitoraggio e ricerca scientifica cui si è appena accennato, un’ampia opera di divulgazione e comunicazione rivolta a tutte le categorie sociali. Proprio per ottimizzare la realizzazione di tali interventi di informazione, e per rendere altresì disponibile la propria esperienza anche al di fuori dei propri confini territoriali, il Parco, insieme ad alcuni tra gli enti storicamente impegnati per la salvaguardia del plantigrado sul-l’arco alpino (Servizio Foreste sloveno, WWF Austria e Dipartimento di Scienze Animali dell’Università di Udine), ha delineato alcune azio-ni di comunicazione utili per favorire la convivenza con il plantigrado, con particolare riferimento alle azioni urgenti necessarie nelle zone di nuova colonizzazione. Tali principi sono stati redatti – insieme ad un modello predittivo di dinamica di popolazione tendente ad individua-re le aree di possibile espansione futura degli orsi sulle Alpi – nell’ambito di un apposito progetto ancora una volta promosso dall’Unione Europea (LIFE Co-op Natura “Criteri per la creazione di una metapopolazione alpina di orso bruno”).

Il futuro degli orsi sembra dunque oggi meno incerto, anche se il ri-torno definitivo della specie sulle Alpi è tuttora strettamente dipenden-te dalla possibilità di ricongiungimento tra l’unica popolazione stabile di orsi sull’arco alpino, quella slovena, e i nuclei presenti in Austria e in Italia. Tale possibilità potrà divenire realtà solo se tutti gli enti coinvolti nella tutela del plantigrado sapranno trovare le più opportune sinergie e forme di cooperazione. Purtroppo le collaborazioni in tal senso, attual-mente, rappresentano più un’eccezione che non la regola.

di Filippo Zibordi

Bibliografia

AA.VV. 2005 – Criteri di comunicazione per la conservazione dell’Orso Bruno sulle Alpi. Rapporto redatto nell’ambito dell’Azione A3 del progetto LIFE Co-op Natura LIFE2003NAT/CP/IT/000003 (Criteri per la creazione di una me-tapopolazione alpina di orso bruno). http://www.pnab.it/Lifecoop/azione_a3.htm

 

DUPRÉ, E. – GENOVESI, P. – PEDROTTI, L. 1998 – Studio di fattibilità per la rein-troduzione dell’orso bruno (Ursus arctos) sulle Alpi centrali. Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica e Parco Naturale Adamello-Brenta. Rapporto Tecnico: pagg. 1-96.

 

GRUPPO DI RICERCA E CONS. DELL’ORSO BRUNO DEL PNAB 2002 – La rein-

 

troduzione dell’orso bruno nel Parco Naturale Adamello Brenta. Attività di ricerca scien-tifica e tesi di laurea. Documenti Parco n. 15. Parco Naturale Adamello Brenta Ed. Strembo, pp. 254.

 

GRUPPO DI RICERCA E CONS. DELL’ORSO BRUNO DEL PNAB 2002 – La rein-

 

troduzione dell’orso bruno nel Parco Naturale Adamello Brenta. Attività di ricerca scien-tifica e tesi di laurea – seconda parte. Documenti Parco n. 16. Parco Naturale Adamello Brenta Ed. Strembo, pp. 144.

 

MUSTONI, A. 2004 – L’Orso Bruno sulle Alpi, Nitida Immagine Editrice, Cles, pp. 236.

 

PARCO NATURALE ADAMELLO BRENTA 1998 – Linee guida per l’organizzazione e la realizzazione dell’intervento di immissione di orsi nel Parco Naturale Adamello Brenta, pp. 1-25.

 

SWENSON, J. – GERSTL, N. – DAHLE, B. – ZEDROSSER, A. 2000 – Action plan for the conservation of the brown bear in Europe (Ursus arctos), Council of Europe, Nature and Environment, 114: pp. 1-69.

Sperimentazione animale: superflua o necessità?

ratto da laboratorio

L’argomento è interessante e dibattuto ed anche di attualità.
La sperimentazione sugli animali è l’effettuazione di test su esseri viventi a scopo di ricerca, qualcosa che serve non solo a provare l’efficacia di una molecola, ma anche a chiarirne la sua pericolosità, la tossicità, la dose utile e quella “inutile”, c’è un solo passaggio che precede l’uso sull’uomo, quello su esseri più vicini possibile all’essere umano, gli animali.
Per questo motivo i test su animali oggi sono obbligatori per testare l’efficacia e la tossicità di un prodotto, l’alternativa sarebbe quella (drammatica) di passare dalla teoria (le ipotesi scientifiche e le provette) direttamente all’uomo con tutto ciò che potrebbe conseguirne.
Beagle-9C’è però un limite, quello etico: molti animali hanno un valore “affettivo”, possono cioè rappresentare un affetto per tutti noi, i cani, i gatti ma anche altri animali, oggi sono stati addomesticati e sono spesso parte integrante delle nostre famiglie, nascono quindi diversi movimenti che protestano contro la “vivisezione” (ma è un termine corretto?) e che chiedono che si sospendano i test sugli animali a tutti i costi, a questo argomento si può ragionevolmente rispondere con il fatto che la stragrande maggioranza dei test animali a scopo scientifico sono realizzati su animali non “affettivi” quali i topi ed i moscerini. Per questo il dibattito corretto non dovrebbe essere posto solo sul piano etico ma dovrebbe considerare anche il buon senso e la logica: raggiungere un compromesso tra “etica” e “scienza”, obiettivo che già da tempo è discusso proprio negli ambienti scientifici, molto raramente nei movimenti cosiddetti “animalisti”.
Questi movimenti di pensiero hanno molte sfumature, da quelli più “ragionevoli” (che chiedono ad esempio di evitare i test su animali di tipo affettivo o per motivi “superflui”) a quelli più ideologici (che chiedono la sospensione di qualsiasi test su animale, una prospettiva praticamente inapplicabile) fino ad arrivare a movimenti violenti (che attaccano anche fisicamente chiunque sia anche solo teoricamente a favore della sperimentazione animale).
Il problema, come spesso accade, crea fazioni, divisioni, urla e confusione ed il cittadino (quello che alla fine usa ed è destinatario di ciò che si sperimenta sull’animale) è spesso confuso, non sa bene di cosa si parla, è inondato da informazioni di tutti i tipi, molte delle quali false e strumentali. Si tende infatti a far passare l’idea che i ricercatori che sperimentano anche su animali siano persone senza scrupoli né pietà e che gli esperimenti effettuati non servano a niente. In realtà, i movimenti “contro” la sperimentazione non oppongono molti argomenti a quelli di chi spiega l’importanza dell’uso di animali nella ricerca e così il dialogo, spesso animato, si basa quasi unicamente su posizioni etiche ed affettive.
Ci sono anche molte contraddizioni che nascono obbligatoriamente, ancora di più in questo momento, nel quale il parlamento italiano sta discutendo una nuova legge sulla sperimentazione animale che contiene molti punti piuttosto discutibili. Uno di questo è quello relativo agli “xenotrapianti”, ovvero il trapianto di tessuti da una specie animale all’altra. La norma è piuttosto strana, se approvata vi sarebbero conseguenze piuttosto singolari. Ad esempio continuerebbe ad essere permessa la macellazione e consumazione di suini ma sarebbe proibito usare le loro valvole cardiache per salvare la vita ad un essere umano o sarebbe permessa la derattizzazione ma proibito usare un ratto per sperimentare su problemi gravissimi come il cancro o le ustioni.

Proviamo allora a fare chiarezza e chiediamo cos’è ed a cosa serve la sperimentazione animale a chi si occupa di queste cose e lo fa per motivi di ricerca.
Propongo quindi un’intervista al dottor Giuliano Grignaschi, responsabile Animal Care Unit IRCCS Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Milano.

Ringraziandolo per aver concesso l’intervista credo che questa possa essere una buona occasione per chiarire qualche dubbio.

Dottor Grignaschi, iniziamo chiarendo un concetto: il termine “vivisezione” è corretto? C’è una differenza tra questa e la sperimentazione animale?

Il termine vivisezione indica, ovviamente, la sezione di un essere vivente e quindi potrebbe essere utilizzato per indicare qualsiasi intervento chirurgico, su un animale come su un uomo. Ad esempio, andando dal dentista potrei dire di essere “vivisezionato” e non sbaglierei dal punto di vista grammaticale ma sicuramente la definizione non sarebbe accettata. Il problema infatti è nel significato che comunemente si da a questo termine, utilizzato ad arte per evocare immagini di sofferenza e tortura. Per questo motivo il mondo della ricerca oggi non accetta più l’utilizzo strumentale di questo termine e vuole chiedere che si utilizzi la definizione più corretta di “sperimentazione animale”. Per quanto questa discussione possa apparire banale, va considerato il fatto che stiamo parlando di un argomento ad alto impatto emotivo quindi l’abuso di definizioni particolari, come appunto “vivisezione”, viene utilizzato per stimolare l’emotività della gente e sopraffare la razionalità. Un esempio evidente di questo è la domanda che frequentemente ci sentiamo rivolgere da attivisti di gruppi animalisti: “Perché la vivisezione non la fate sui cadaveri?”; ovviamente chi pronuncia una domanda di questo genere, sopraffatto dall’emotività, non si ferma nemmeno un attimo a ragionare sul significato di ciò che sta chiedendo. Possiamo quindi dire che la differenza tra “vivisezione” e “sperimentazione animale” è nel significato che comunemente si attribuisce ai due termini: nel primo caso una pratica rozza e crudele che è già vietata da tanto tempo mentre nel secondo caso una pratica bio-medica condotta in accordo con normative rigorose ed utilizzando le più moderne tecniche di anestesia ed analgesia.

Il punto più dibattuto e che molti non comprendono è relativo al fatto che l’uso di animali da esperimento sia così necessario. Vi sono alternative? La ricerca sulle malattie e sui farmaci ha la possibilità di affidarsi ad esperimenti senza animali?

La ricerca bio-medica ha numerosi stadi: si inizia dallo studio della biologia di base e del normale funzionamento degli organismi per poi passare alla analisi delle malattie (dell’uomo o degli animali) cercando di capire cosa sta funzionando non correttamente per poi individuare un possibile rimedio (farmaci ma anche dispositivi biomedici come pacemaker, arti meccanici etc.), da validare in test pre-clinici in cellule o con simulazioni a computer e, prima di passare nell’uomo, test pre-clinici in-vivo nell’animale da laboratorio. Dopo aver superato tutte queste fasi si può passare all’uomo, prima con volontari sani, poi piccoli gruppi di pazienti e se tutto va bene, l’ultima fase della sperimentazione è data dalla osservazione degli effetti del farmaco (o del dispositivo biomedico) quando immessi sul mercato e utilizzati da milioni di pazienti. Ognuno di questi passaggi è assolutamente necessario ed è fondamentale che venga svolto in stretta correlazione con il precedente e con il successivo allo scopo di evitare effetti disastrosi. Per essere chiaro provo ad utilizzare un esempio che conosco bene: la ricerca di terapie per la sclerosi laterale amiotrofica (quella che ha colpito molti calciatori recentemente, per intendersi). Si tratta di una patologia rara che colpisce i neuroni di moto (quelli che ci permettono di azionare la muscolatura volontaria) e li porta a morte (neurodegenerazione) nell’arco di pochi anni; la malattia purtroppo diventa evidente nell’uomo solo quando molti neuroni sono già morti e agli ammalati restano pochi anni di vita. La morte sopravviene generalmente a causa della totale paralisi della muscolatura volontaria e quindi anche di quei muscoli che ci permettono di respirare. Ad oggi purtroppo non si sa ancora per quale motivo i neuroni muoiano e quindi come fare a salvarli; inoltre è praticamente impossibile poter prelevare un neurone ammalato e poterlo studiare quindi generalmente si possono utilizzare solo tessuti provenienti da pazienti deceduti che non sono molto utili. Nello studio di questa patologia gli animali sono coinvolti in più stadi, dalla ricerca di base che cerca di individuare i meccanismi che causano la morte dei neuroni in animali ammalati, a quella farmacologica che testa tutte le possibili terapie proposte sulla base dei risultati della ricerca di base, prima di testarle nell’uomo. Senza l’aiuto del modello animale la ricerca su questa malattia sarebbe praticamente ferma poiché sarebbe difficilissimo studiarne le cause all’interno dei neuroni e sarebbe praticamente impossibile testare l’efficacia di possibili trattamenti, visto il relativamente basso numero di pazienti e la difficoltà nell’eseguire la diagnosi che, come detto, solitamente avviene quando ormai la patologia è in fase molto avanzata. In altri campi invece, quali ad esempio la tossicologia acuta, la ricerca ha individuato metodiche che non richiedono più l’utilizzo di animali da laboratorio e oggi tutto viene fatto in-vitro, con grande soddisfazione di tutti (anche delle aziende farmaceutiche che risparmiano enormi quantità di denaro). Purtroppo però questi casi sono assolutamente limitati (circa 40 metodiche alternative validate) e coprono una piccolissima parte della ricerca biomedica.

Cosa dobbiamo alla sperimentazione animale?

Come detto la sperimentazione animale è solo un anello di una lunga catena quindi la riflessione che vorrei fare è leggermente diversa da quella che forse si aspetta. Innanzitutto c’è da dire che nella ricerca di base praticamente tutte la attività degli organismi viventi sono state evidenziate e studiate per la prima volta in animali o piante, basti pensare a Gregor Mendel, padre della genetica, che utilizzò piante di pisello per i suoi studi anche perché non gli fu consentito di utilizzare topi, considerati all’epoca assolutamente indegni di essere ospitati in un laboratorio o ancor meno in un convento. Mi piace inoltre qui ricordare inoltre il premio nobel della prof. Montalcini meritato grazie a studi di base effettuati su ratti che hanno portato all’individuazione di importantissimi fattori di crescita presenti nel cervello. Analogamente al caso della prof. Montalcini, circa il 90% dei premi nobel per la medicina sono stati assegnati a ricercatori che utilizzavano modelli animali. E’ però molto importante un altro aspetto, quello che riguarda l’enorme contributo dato dal modello animale al controllo della tossicità e degli effetti negativi delle molecole in fase di sviluppo. Ad esempio, è stato calcolato che su 100 molecole proposte come possibili chemioterapici, circa 40 vengono scartate nelle fasi di studio in-vitro o in-silico; delle 60 rimaste, circa 50 vengono scartate nelle fasi in-vivo (cioè negli studi in animali) perché non si dimostrano efficaci o perché evidenziano effetti tossici troppo elevati che nelle fasi precedenti non si erano osservati. Dei 10 rimasti, in media, solo uno arriva con successo all’uomo mentre gli altri vengono scartati perché non sono più efficaci di quelli già in commercio (o hanno più effetti collaterali). La sperimentazione animale quindi ha evitato che tante molecole non efficaci o molto tossiche arrivassero direttamente ai nostri malati. Non mi sembra davvero poco! Oggi poi si parla di Avatar e di terapia personalizzata: tumori che vengono prelevati dal paziente e inoculati ai topi nei quali si testano farmaci diversi per trovare il migliore che, una volta individuato, viene somministrato al paziente aumentando le probabilità di successo immediato.

Esistono secondo lei laboratori o sperimentatori che “trattano male” gli animali?

Non posso assolutamente escludere che esistano centri che non rispettano le normative internazionali e che non fanno buona ricerca “trattando male” gli animali e, magari, falsificando i risultati; la comunità scientifica deve essere attenta e isolare immediatamente chi non rispetta né la legge né le buone pratiche di laboratorio. Ripeto: la legge esiste e chi la vìola deve essere denunciato.
Le norme che abbiamo in Italia sono un giusto compromesso tra esigenze della ricerca e rispetto degli animali?
Le norme che abbiamo in Italia sono ottime; il D.to L.vo 116/92 che regolamenta la sperimentazione animale può sicuramente essere migliorato con il recepimento della nuova direttiva ma il livello era già ottimo. Oltre a questo mi lasci dire che la serietà e la competenza degli organismi deputati a controllare le attività dei centri di ricerca (ASL, Ministero della Salute e ISS) hanno sempre garantito il pieno rispetto della normativa vigente.

Il mio cane Frank, sano (e…molto vivace, sigh) anche grazie alla sperimentazione animale

Quali sono le precauzioni e le misure che si adottano per ridurre al minimo lo stress negli animali da esperimento?

Quella delle scienze degli animali da laboratorio è una vera e propria disciplina che negli anni ha portato ad individuare metodiche in grado di ridurre al minimo lo stress e la sofferenza degli animali da laboratorio. Innanzitutto è importante sapere che ogni laboratorio che ospita animali deve avere una speciale autorizzazione ministeriale che viene rilasciata solo se è dimostrato:

• Di possedere una struttura adeguata al mantenimento in condizioni ottimali degli animali (temperatura, umidità, ventilazione, condizioni igieniche etc). Il commento di molti medici che visitano la nostra struttura è “questi animali sono tenuti in condizioni migliori di molti pazienti”.

• Di avere un veterinario responsabile del benessere e della salute degli animali ospitati, sempre disponibile.

• Di avere personale di servizio qualificato in grado di garantire il controllo giornaliero delle condizioni degli animali.

• Di registrare puntualmente tutti gli animali inseriti nelle sperimentazioni

• Di essere in grado di controllare che tutti gli esperimenti siano stati autorizzati dalle autorità competenti.

In strutture con le caratteristiche descritte, sono numerose le procedure attuate per ridurre lo stress degli animali e vanno da lunghi periodi di ambientamento, all’arricchimento ambientale, alla manipolazione quotidiana per finire con i programmi di recupero e di reinserimento a fine sperimentazione. Noi ad esempio collaboriamo con l’associazione “La collina dei conigli” a cui affidiamo molti animali (topi e ratti) a fine sperimentazione affinchè possano essere dati in adozione. Durante le fasi sperimentali invece si fa ricorso a tutte le migliori pratiche di analgesia e anestesia disponibili poichè un animale sofferente NON E’ MAI un buon modello sperimentale. A costo di essere ripetitivo vorrei anche qui sottolineare il fatto che fare sperimentazione su animali maltrattati è eticamente sbagliato per diversi motivi: per prima cosa perché infligge una sofferenza inutile all’animale ma anche perché genera risultati non affidabili (quindi danneggia la ricerca e i malati) e causa uno spreco enorme di risorse (che molte volte derivano dalle donazioni delle famiglie degli ammalati).

Che animali si usano negli esperimenti?

test_animali--400x300In esperimenti bio medici si usano tantissime specie animali ma quelle incluse nelle norme internazionali sono solo i vertebrati; la nuova direttiva europea estende le normative anche ai cefalopodi. Per quanto riguarda i vertebrati, il numero più importante è rappresentato dai roditori (topi e ratti principalmente) che rappresentano più del 90% del totale; grande sviluppo stanno avendo nuovi modelli nei pesci mentre l’utilizzo di conigli, cani gatti e primati non umani è bassissimo e sempre in diminuzione. Numerosi studi però vengono effettuati ad esempio nelle zanzare (per combattere la diffusione della malaria) o nei famosissimi moscerini della frutta o nei cefalopodi. Il principio infatti è che la specie animale viene scelta in base a quello che si deve studiare quindi se il meccanismo di interesse è presente solo nella zanzara, si studierà in quell’animale; se poi il meccanismo di interesse è presente sia, ad esempio, nel cane che nel topo si studierà nel topo. Il virus dell’HIV purtroppo può essere studiato solo nelle scimmie quindi non si hanno alternative al loro utilizzo

Immaginiamo che da domani fosse proibito qualsiasi esperimento sugli animali, cosa succederebbe?

Visto che ancora non disponiamo di valide metodiche alternative alla sperimentazione in-vivo, succederebbe più o meno quello che circa 60 anni fa avveniva nei campi di concentramento nazisti: uomini considerati inferiori (per ragioni economiche o di razza) verrebbero utilizzati come cavie esponendoli a tutti quei rischi che ho descritto prima.

Lei ama gli animali?

Io amo molto gli animali e ne ho sempre ospitati molti in casa mia, cercando di lasciarli vivere nel rispetto delle loro caratteristiche senza cioè mai cercare di “umanizzarli” e trasformarli in qualche cosa che non sono e probabilmente non vogliono essere.

Cosa può dire a chi, amando gli animali, vive con sofferenza l’idea degli stessi nel ruolo di cavie?

Quello che voglio dire (e che dico sempre) è molto semplice: affiancateci in questo percorso e aiutateci ad individuare al più presto delle autentiche metodiche alternative. Entrate con noi nelle università e nei laboratori (solo nel 20% circa si fa sperimentazione animale quindi c’è molto spazio anche per chi non la vuole utilizzare) e impegnatevi nella ricerca! Una sera un attivista di un gruppo animalista mi ha detto che anni fa iniziò a studiare medicina veterinaria ma dopo poco abbandonò gli studi per dedicarsi al volontariato in un canile; io rispetto totalmente la sua scelta ma sono convinto che se avesse continuato gli studi e si fosse laureato oggi potrebbe essere molto più utile agli animali che ama. Tutti vogliamo smettere di servirci del modello animale ma prima dobbiamo trovare un modello migliore, altrimenti ne faranno le conseguenze i nostri ammalati e questo non è accettabile, almeno per me.
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Un doveroso ringraziamento al dott. Grignaschi per la sua disponibilità e chiarezza. Se dovesse seguirne un dibattito spero che si mantenga nei binari della civiltà e del rispetto, anche perché temi come la malattia e la ricerca non meritano di essere trattati con volgarità.

fonte: medbunker.blogspot.it

Bulldog

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Il suo nome, tradotto dall’inglese, significa “cane toro” ma il bulldog è in realtà un cane pacifico e tranquillo.

Dolce, sensibile, intelligente e molto equilibrato il bulldog ha una predilezione per i bambini e per le persone anziane.

bulldog3Nonostante possieda una straordinaria forza fisica, difficilmente perde le staffe e risponde alle provocazioni ma non bisogna approfittare della sua pazienza: è pur sempre un diretto discendente dei molossi, e i suoi antenati, nella metà dell’Ottocento, combattevano con i tori.

Ma il bulldog ha davvero solo virtù? In realtà qualche piccolo difetto ce l’ha pure lui. Un esempio? La sua proverbiale cocciutaggine che talvolta fa perdere la pazienza anche al più devoto dei padroni.
Il muso del bulldog è formato da molte rughe che vanno quotidianamente pulite per evitare l’insorgere di infezioni, anche gli occhi vanno controllati e puliti con frequenza.

Saltuariamente ispezionare che tra le dita delle zampe non si sia formata la dermatite
interdigitale.

Durante i mesi caldi, soprattutto nelle ore centrali della giornata, evitate di farlo uscire: il bulldog soffre molto il caldo e data la conformazione del muso, molto corto e rincagnato, respira con fatica.

Anche se il suo mantello è molto corto, sono indispensabili spazzolate frequenti per evitare di ritrovare il pelo sparso ovunque.
Corpo: tronco compatto con petto ampio; dorso corto, forte, più largo nella parte anteriore; basso sugli arti; collo forte e muscoloso, ben arcuato.

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Morfologia:

Testa: cranio largo, fronte ampia, piatta con pelle cascante, canna nasale molto corta; tartufo largo, di colore nero, con narici ben aperte e definite; mascella larga, massiccia, quadrata, la mascella inferiore deve sopravanzare su quella superiore;

Occhi: di forma tonda, di medie dimensioni, né prominenti né infossati; di colore molto scuro;
Orecchie: di piccole dimensioni, sottili, inserite alte sulla testa,

Zampe anteriori: molto vigorose, solide, muscolatura ben sviluppata; più corte di quelle posteriori, in perfetto appiombo; piedi corti e diritti;

Zampe posteriori: forti e muscolose, proporzionalmente più lunghe di quelle anteriori; garretti ben discesi, leggermente inclinati;

Coda: inserita bassa, diritta, piuttosto corta, spessa alla base si assottiglia all’estremità;

Mantello: sottile, corto, liscio, non ispido, compatto;

Colori: tigrato, bianco, bianco pezzato, marrone, fulvo.

 

Note:

regalo-cuccioli-di-bulldog-inglese_98785122226105177Le femmine hanno spesso problemi durante il parto a causa delle dimensioni della testa dei cuccioli: in quei casi si deve ricorrere al taglio cesareo. Molte femmine sono inoltre infeconde e per questa ragione il prezzo di un esemplare di questa razza può essere alto. La vita media si aggira intorno agli 8-9 anni. Il problema principale di questa razza è il caldo: viene sottoposto a innumerevoli sforzi respiratori per sopportarlo. Bisogna evitare di farlo muovere eccessivamente in condizioni climatiche calde ed evitare di farlo entrare in luoghi troppo afosi. I maggiori danni che il caldo gli arreca possono essere fatali. Difetti: orecchie non portate “a rosa”, tartufo sporgente, andatura irregolare, denti irregolari, misure e colori differenti da quelle sopra descritte, occhi chiari.

Vendere Cani e Gatti di razza ma senza pedigree è illegale

cani-con-pedigreeChi ha mai sentito parlare del Decreto Legislativo n. 529, del 30 dicembre 1992?
Probabilmente nessuno: eppure esiste, è attualmente in vigore e vent’anni fa è andato a sostituire la legge n. 30 del 15 gennaio 1991, che era riferita solo agli animali da reddito.
Il D.Lgs 529/92 recepisce invece la direttiva europea 91/174/CEE relativa alle condizioni zootecniche e genealogiche che disciplinano la commercializzazione degli animali di razza, estendo l’applicazione anche a tutte le specie e razze che non erano contemplate nella legge n. 30, quindi anche a cani e gatti.
Ma di cosa parla, questo misconosciuto decreto?
pedigree_fronteParla del concetto di “animale di razza pura” e stabilisce le regole per la sua commercializzazione, determinando una volta per tutte – e senza possibilità di equivoci – la definizione giuridica di “cane o gatto di razza”… e VIETANDO, di fatto, la vendita di animali sprovvisti di certificato genealogico.
Insomma, non solo il cane (o il gatto) senza pedigree non possono in alcun modo essere definiti “di razza” (come già sapevamo): ma non possono neppure essere ceduti in cambio di denaro!
Infatti, all”art. 5, il decreto stabilisce che “è consentita la commercializzazione di animali di razza di origine nazionale e comunitaria, nonché dello sperma, degli ovuli e degli embrioni dei medesimi, esclusivamente con riferimento a soggetti iscritti ai libri genealogici o registri anagrafici, di cui al precedente art. 1, comma 1, lettere a) e b), e che risultino accompagnati da apposita certificazione genealogica, rilasciata dall’associazione degli allevatori che detiene il relativo libro genealogico o il registro anagrafico.
É ammessa, altresì, la commercializzazione di animali di razza originari dei Paesi terzi, per i quali il Ministro dell’agricoltura e delle foreste abbia con proprio provvedimento accertato l’esistenza di una normativa almeno equivalente a quella nazionale.
Alle stesse condizioni è ammessa la commercializzazione dello sperma, degli ovuli e degli embrioni provenienti dai detti animali originari dei Paesi terzi. Non sono ammesse condizioni più favorevoli di quelle riservate agli animali di razza originari dei Paesi comunitari.
Salvo che il fatto costituisca reato, chiunque commercializza gli animali indicati nei commi 1 e 2 in violazione delle prescrizioni ivi contenute è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da L. 10.000.000 a L. 60.000.000 (essendo il decreto antecedente all’avvento dell’euro, le cifre sono ancora espresse in lire).

Insomma, la commercializzazione è riservata esclusivamente agli animali accompagnati da pedigree!
I  “senza pedigree” non dovrebbero neanche essere venduti, e sicuramente non venduti come cani o gatti “di razza”:  all’art. 3 dello stesso decreto risulta che non potrebbero neppure essere ammessi alla riproduzione!
Soprattutto nel mondo catofilo c’è grande subbuglio, in questi giorni: ora vedremo se anche il mondo cinofilo saprà muoversi e chiedere il rispetto di questo decreto che potrebbe mettere un definitivo freno alla vendita di cuccioli senza pedigree, ma spacciati per cani/gatti di razza pura.

A questo link (che è quello dell’ANFI, associazione nazionale felina italiana) potete trovare il testo integrale del decreto.

di VALERIA ROSSI

fonte: tipresentoilcane.com

Cervello da Animalisti

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Caro Maurizio Costanzo Show,
oggi non sopporto gli animalisti. Non ce l’ho con gli animali, sia bene inteso, che anzi gradisco vedere e riconoscere attorno a me nella più variegata gamma possibile. Chi non sopporto, poiché ragguardevolmente assurdi nella loro ossessione, sono gli animalisti convinti, gli estremisti animalisti. Ma ancor più fastidio mi danno gli animalisti moderati, che potremmo chiamare gli animalisti qualunquisti, che sottoposti a qualsiasi analisi logica palesano di essere ancor più assurdi, nella loro confusa posizione, degli animalisti estremisti. Tanto per iniziare, distinguiamo: Chi sono gli animalisti estremisti, e chi sono gli animalisti qualunquisti?
I perfetti animalisti estremisti si identificano visceralmente con tutti gli animali, dal visone al gatto, dalla foca monaca alla zanzara, dall’orso grizzly al totano. Cosa significa che si identificano con loro? Significa che attribuiscono a tutti gli animali i propri sentimenti. Non mi piace essere ucciso, dice l’animalista estremista, quindi non piace neanche all’animale. L’animalista estremista non si ciba mai di animali morti (né vivi), non uccide la zanzara che sta per pungerlo, ma si limita a scacciarla (se invece la uccide, è un animalista estremista imperfetto). latte_bambinoNon beve il latte di mucca, poiché così facendo lo sottrarrebbe al vitello, non mangia uova, cioè futuri pulcini (quando poi l’uovo, come spesso accade, è già fecondato, è a tutti gli effetti – tecnici e morali – un aborto di gallina), non indossa visoni, montoni, giacche scamosciate, calzature di cuoio, portafogli di pelle. L’animalista estremista si identifica con tutte le forme di vita animale, ma non con quelle vegetali, di cui si nutre senza rimorsi. Talvolta non s’identifica neanche con l’essere umano, soffrendo per la morte di un animale assai di più che per quella di un individuo umano.
L’animalista qualunquista, invece, si identifica visceralmente con tutti gli animali di aspetto conforme ai propri archetipi interiori. In altre parole: si identifica in un gatto, un visone, un coniglio, un cane, ma non in un ratto, una mosca, un serpente, un verme. Si identifica in quelle poche bestie che il caso e la selezione naturale hanno voluto morbide e di aspetto gradevole per l’occhio umano, ma non in tutti gli altri animali. L’animalista qualunquista è forse una delle massime espressioni d’ipocrisia che si possano descrivere, e completamente deliranti e contraddittorie sono tutte le sue argomentazioni. Una delle più tipiche manifestazioni è il suo avercela a morte con chi indossa pellicce di visone. “Animali vengono uccisi” recita il pio animalista “per poterne indossare la pelliccia! (Orrore!)”, e dice questo con il patetico fervore di chi ha appena scoperto che l’acqua calda è calda.
scarpe-cuoioSe volete punire un animalista qualunquista che abbia appena profferito tale sproloquio, cercate su di lui (o lei) i brandelli di cadavere d’animale che quasi certamente sta indossando senza neanche pensarci. Fategli notare come lui (o lei) cinicamente e senza verecondia calpesti con i propri piedi (puzzolenti?) il cuoio delle proprie scarpe, che fu la pellaccia di un animale che venne ammazzato affinché lui (o lei), adesso la usi per camminare sotto la pioggia, inciampare nei marciapiedi e calpestare le cacche di cane. Fategli notare quale fu l’identità del suo portafogli o borsetta di pelle, pelle che fu di un animale, ucciso affinché lui (o lei) mettesse i propri soldi in un involucro prestigioso che abbia odore di pelle anziché di plastica. Chiedetegli perché non s’infervora e non si scandalizza con uguale foga con chi indossi un giubbotto di pelle, un “chiodo”, un montone rovesciato. Chiedetegli se lui (o lei) possegga tali indumenti nel proprio armadio, e nel caso li abbia, se di ciò non si vergogni. E se non si vergogna, perché dovrebbe vergognarsi chi ha una pelliccia di visone? Ha certamente da vergognarsi chi abbia una pelliccia di leopardo, poiché il leopardo sta estinguendosi, e la cosiddetta “biodiversità” è un’innegabile ricchezza del mondo che andrebbe da noi salvaguardata anziché distrutta, come stiamo invece facendo. Ma il visone non rischia di estinguersi, viene allevato per farne pellicce, viene allevato come i buoi, i montoni, i polli vengono allevati per mangiarli e farne di tutto. Messo alle strette, l’animalista qualunquista, pur di non ammettere la propria ipocrisia, vi dirà: “Ma se gli animali cartellone_chi_mangi_oggi_cavengono allevati per mangiarli, non è immorale…” Siamo nella farneticazione totale. A parte il fatto che i vegetariani dimostrano che senza carni si può benissimo vivere, e che quindi chi mangia carne lo fa perché gli piace, e non perché ne ha bisogno (proprio come chi compra un visone lo fa perché gli piace, e non perché ne ha bisogno), non è quella di mangiarli, anziché un’attenuante, invece un’aggravante? Specialmente se si considera che mangiare carne è tutt’altro che obbligatorio, essendo l’essere umano onnivoro? Non è macabro assassinare un animale a sangue caldo, un animale che ha un cervello, una vita sessuale, allo scopo di cibarci dei suoi testicoli, della sua lingua, del suo cervello, del suo cuore, del suo fegato, dei suoi reni, del suo intestino, dei suoi muscoli, masticandoli lungamente in bocca per godere del sapore che quel cadavere ci da? Non è ciò anche più macabro di chi dell’animale morto ami indossare l’involucro, cioè la pelliccia? Non nego che indossare la pelle di mammifero morto possa essere un gesto di cattivo gusto, per uno spirito nobile. Ma divorarne lussuriosamente le interiora non lo può essere di meno.
Per demolire allora definitivamente l’incauto animalista qualunquista che della propria ipocrisia ha appena cercato di farne un vanto ai vostri e soprattutto ai propri occhi, trafiggetelo con una nozione banalissima che pochi sanno, perché a pochi interessa:
Dalle ginocchia dei buoi (morti e disossati) viene estratta una sostanza che viene utilizzata per fare l’emulsione delle pellicole fotografiche.
Il cappio della logica è ormai stretto al collo dell’animalista. Quante volte ha fotografato, quante volte ha consumato ossa di buoi assassinati anche per permettere a lui (o a lei) di fare delle fotografie? Quante fotografie ha sprecato, sbagliando la messa a fuoco? Quante ginocchia di buoi sacrificate invano, per il suo dilettantesco gratuito diletto?
Sembra ridicolo. E lo è, infatti. E’ ridicolo come è ridicolo che qualcuno si scandalizzi perché una fanciulla si abbellisca e riscaldi con una pelliccia. Se il vostro interlocutore animalista è intelligente, dopo quanto gli avrete fatto notare si renderà conto di quanto è ridicolo, e su di ciò mediterà. Se non è intelligente, farfuglierà incoerenti giaculatorie animaliste, che vi convinceranno, se voi siete intelligenti, di abbandonarlo al più presto al vacuo autoconforto dei suoi preconcetti.
Capisci, caro Maurizio Costanzo Show, qual è il nocciolo del problema dell’animalismo? Il nocciolo è che l’animalismo si fonda sulla discriminazione razzista. Gli animalisti si ergono a difesa delle razze “elette” tra le specie viventi, secondo criteri che assomigliano molto al credo razzista che fu dei nazisti.
donna-carotaUna delle discriminazioni: NON TUTTE LE SPECIE VIVENTI MERITANO LO STESSO RISPETTO. Gli animalisti estremisti “eleggono” le specie viventi appartenenti al solo mondo animale. I Vegetali vadano a farsi friggere, come infatti avviene nella cucina cinese. Solo perché gli animali sono più simili a noi dei vegetali, vanno salvaguardati a dispetto dei secondi. A tutti gli animalisti estremisti dico solo una cosa: fra 50 o 100 anni sulla terra non esisterà che qualche albero sparso, non più giungle, non più boschi. Sarà invece sempre più pieno di buoi, visoni, polli e montoni. Solo se mai vietassero, in tutto il mondo, la pelliccia di visone, il visone, non più allevato, si estinguerebbe in un battibaleno. Pensate al genocidio degli alberi, ogni volta che lacerate un foglio di carta, ogni volta che gettate via decine di chili di giornali appena sbirciati. Ma io so che mi illudo. Non ci penserete, perché siete animalisti.
Altra discriminazione: NON TUTTI GLI ANIMALI VANNO PRESERVATI: Gli insetti, per esempio, morissero tutti non sarebbe poi male. Nessuna emozione uccidendo una mosca. Grandissima pena per il gatto al quale il monello tira la coda. La discriminazione razzista è spietata. Gli animali sono “eletti” e meritano di vivere se per esempio casualmente presentano il maggior numero dei seguenti caratteri: Occhi grandi, testa grossa in rapporto al corpo, fronte arrotondata, morbida peluria, arti brevi, naso piccolo e all’insù, guance paffute, orecchie grandi, voce acuta.
Perché?
Perché tali caratteristiche, se ci pensate, sono quelle proprie di ogni bambino umano. Ci piacciono gli animali nei quali istintivamente riconosciamo i caratteri tipici dei bambini piccoli, nei quali ritroviamo tutte quelle caratteristiche che ci fanno piacere i bambini piccoli.
E quali sono gli animali che hanno il maggior numero di queste caratteristiche? Il gatto, il cane, l’orsacchiotto, il panda, ma anche il canarino e molti uccellini. Non il verme, non il serpente, non il pesce. In piena analogia ai criteri nazisti, gli animalisti approvano o tollerano la morte degli animali considerati di razza inferiore, ed eleggono a razza superiore e quindi degna di vivere gli animali che rispondono a determinati requisiti estetici.
rattoQualcuno obietta che si vuole tutelare gli animali dotati di maggior intelligenza, quindi più in grado di comprendere la morte che ad essi si infligge? Ipocriti! Uno dei più intelligenti tra tutti i mammiferi è il ratto, e cosa ha fatto l’animalista che per le mie parole s’indigna, contro gli umani stermini di ratti? Quale animalista ha chiesto pari diritti per ratti e visoni? Tra l’altro il ratto presenta tutte quelle caratteristiche estetiche che ne dovrebbero fare un beniamino di tutti. Si dice che è grosso, ma è più piccolo di un gatto. Si dice che è aggressivo, ma è una menzogna. I felini sono carnivori, aggressivi e crudeli, mentre topi e ratti sono onnivori e pacifici. Certo possono mordere se qualcuno cerca di ucciderli, ma come si può biasimarli? Il ratto ha tutte le caratteristiche per piacere, tanto è vero che cartoni animati e fumetti pullulano di eroi positivi a forma di topolini. Perché allora il ratto non piace?
Non piace perché non interpreta fino in fondo il ruolo del “bambino da coccolare”, perché non si assoggetta al dominio dell’Uomo. Tutti gli animali non domestici sono animali incapaci di assoggettarsi al dominio dell’Uomo, e per questo l’Uomo li stermina ed estingue. Il ratto è particolarmente odiato perché non si assoggetta e contemporaneamente non si lascia sterminare ed estinguere.
Chi s’è mai commosso per la morte di una formica? I formicai sono strutture misteriose ed organizzatissime, come potrebbero apparire le nostre città ad un gigantesco extraterrestre che ci osservasse dall’altro. Gli scienziati concordano che le società delle formiche e delle api sono organismi che funzionano in modo intelligente, ma sono così diverse da noi che non ci capiamo niente. E non assomigliano ad un piccolo bambino umano, e quindi non ce ne commuove la morte.
Caro Maurizio Costanzo Show, la vita è una manifestazione della materia che ci appare affascinantissima, poiché ne facciamo parte, ed al livello più alto, secondo quelle che sono le nostre conoscenze attuali. Ma tutti i valori che assegniamo sono proiezioni dei nostri archetipi, dei nostri preconcetti, del nostro pensare per categorie. E tutti i limiti della coscienza che abbiamo di ciò che esiste e di ciò che vive, sono proporzionali allo spazio mentale di cui disponiamo. I valori assoluti sono chimere, e chi li professa inganna sé e gli altri.
L’azione di proiettare i propri valori umani sul ciò che del mondo umano non è, ha un nome preciso: Antropomorfismo.
Gli animalisti sono i perfetti guerrieri dell’antropomorfismo. Non sono i soli, purtroppo. Oggi abbiamo parlato di loro. Chissà se si sono incazzati.

Roberto Quaglia

fonte: robertoquaglia.com

Teramo, imputati animalisti: cani trattenuti nel rifugio solo per lucrare.

LeggeTeramo, cani trattenuti nel rifugio solo per lucrare

Si è aperto il processo per quella che la procura ha definito la truffa dei cani. Imputati tre veterinari della Asl di Teramo e due esponenti di un’associazione animalista teramana.
Le accuse ipotizzate, che dovranno essere provate nel corso del dibattimento, vanno dalla truffa ai maltrattamenti agli animali, dall’omissione d’atti d’ufficio alla falsità ideologica. L’Asl, il Comune di Teramo e La lega difesa del cane di Chieti si sono costituite parte civile. Il processo è stato aggiornato al 28 novembre con l’audizione dei primi dei 24 testi citati dalla pubblica accusa. Secondo la procura 64 cani senza padrone raccolti in strada e portati in una struttura di Colleparco (successivamente smantellata) vi sarebbero stati trattenuti mesi e mesi indebitamente, oltre il periodo necessario a compiere le operazioni di microchippatura e sterilizzazione previste dalla legge prima della reimmissione sul territorio.

Questo, sempre secondo l’accusa, perchè tenere gli animali “parcheggiati” imponeva ai Comuni “proprietari” degli stessi un esborso per garantire loro vitto e alloggio (due euro e 50 centesimi al giorno per ciascun cane).Somme che, a quanto ritengono gli inquirenti, venivano incassate dai gestori della struttura attraverso i contributi che di volta in volta arrivavano dai Comuni per il mantenimento degli animali. Per far sì che i cani venissero trattenuti occorreva però una certificazione che attestasse il loro cattivo stato di salute e la loro potenziale pericolosità a livello igienico-sanitario. Per questo sotto accusa sono finiti anche i veterinari.

Il Comune più danneggiato è quello di Teramo, che avrebbe speso oltre 250mila euro per mantenere decine e decine di cani.

Le indagini sono state portate avanti dagli agenti della Forestale. A processo ci sono esponenti dell’associazione che gestiva la struttura di ricovero finita nelle indagini; il responsabile dell’unità di randagismo dell’Asl; il direttore del dipartimento di prevenzione e responsabile del servizio sanità animale dell’Asl; il responsabile del servizio igiene degli allevamenti e produzioni zootecniche. Un gestore del ricovero è indagato anche per esercizio abusivo della professione. Secondo il magistrato si sarebbe sostituito al medico nella gestione sanitaria degli animali, facendo esami diagnostici e somministrando trattamenti terapeutici di competenza del medico. Un’accusa comune a tutti è quella dei maltrattamenti ad animali: secondo il magistrato avrebbero sottoposto 64 cani e 70 gatti a sevizie e fatiche costringendoli a vivere ammassati in ambienti angusti.
Fonte (http://www.anmvioggi.it/)

In gravidanza con animale domestico

Donna-in-gravidanza-caneHai appena scoperto che diventerai mamma e un dubbio ti assale: dovrai rinunciare alle fusa del tuo amatissimo gatto o alle feste del tuo cane? In genere la risposta è no, però dovrai stare molto più attenta di prima all’igiene e all’educazione dei tuoi amici a quattro zampe e quando il bambino sarà nato non dovrai mai lasciarlo solo con l’animale (la sicurezza deve essere sempre al primo posto). Detto questo, ecco i nostri consigli per una convivenza senza problemi.

Le cinque regole per una convivenza felice

VISITA DAL VETERINARIO. Prima dell’arrivo del bambino porta il tuo cane o il tuo gatto dal veterinario per una visita completa. Il veterinario dovrà considerare le vaccinazioni, la disinfestazione da parassiti e la sverminazione. Quest’ultima deve essere fatta a intervalli regolari anche dopo la nascita del bambino. Si consiglia la vaccinazione anti-tetanica per tutta la famiglia (il bambino la farà alla nona settimana).

IGIENE PRIMA DI TUTTO. E’ normale che gli animali domestici portino con sé agenti patogeni e che il nostro sistema immunitario si difenda. Un meccanismo che scatta già nel bambino anche se è ancora nella pancia della mamma. E’ importante però che si presti attenzione all’igiene. Per esempio, non dimenticare di lavarti le mani dopo aver dato da mangiare al cane (o gatto che sia), dopo averlo accarezzato oppure dopo averlo pulito. Non farti leccare la faccia o le ferite.

OCCHIO ALLE ALLERGIE. Gli animali con pelo, soprattutto i gatti, possono causare raffreddori allergici o asma. Sono a rischio soprattutto i bambini che hanno genitori allergici. I bambini di genitori non allergici sembrano invece essere meglio protetti se crescono assieme agli animali. Il motivo? Il loro sistema immunitario è così occupato con gli agenti patogeni veri da non considerare gli agenti patogeni presunti (allergeni).

UN PO’ DI EDUCAZIONE. Già durante la gravidanza dovresti insegnare al tuo cane (o gatto) che la culla, la borsa porta bebè o il fasciatoio sono zone off-limit. Allo stesso modo però al cane (o al gatto) deve essere assicurato una cuccia in un luogo dove il bambino non potrà arrivare.

PIU’ COCCOLE. Il tuo cane (o gatto) va un po’ considerato come un bambino a cui nasce un fratellino o una sorellina. Fagli molte coccole per rassicurarlo e cerca di conivolgerlo nella vita quotidiana: non allontanarlo quando cambi il tuo bambino, portagli da mangiare prima di allattare e accarezzalo mentre il piccolo dorme fra le tue braccia.

Durata gravidanza animali

asina gravidaPuò essere consolante sapere che gli animali condividono con noi la percezione dolorosa nel parto, cito da un sito di veterinaria: “Il giorno precedente il parto l’animale inizia a cercare il luogo più adatto per partorire, e può presentare alcuni sintomi, come ansia, respiro affannoso, mangia poco e può vomitare. Inoltre potranno esserci perdite vulvari biancastre. Il travaglio può durare da 6 a 12 ore circa, anche se in alcuni casi non rispetta questa regola”.Il dolore è associato al parto animale con una funzione ben precisa: attirare in modo inequivocabile e imperativo l’attenzione della madre sul fatto che presto darà alla luce i cuccioli, e per questo si troverà in una situazione di grande vulnerabilità.Guidate dal dolore, le femmine animali cercano un rifugio sicuro, nascosto e protetto dai predatori. Anche per noi il dolore rappresenta spesso una spinta a rintanarci, assumere posizioni di auto-protezione, sottrarci agli sguardi. La produzione della prolattina e di altri ormoni coinvolti nel parto conosce il picco nelle ore serali, e questo può giustificare il perché gran parte dei parti nel mondo animale avviene durante la notte, lontano dalle attività diurne. Ciononostante, è accettato che i parti degli animali selvatici siano incomparabilmente più semplici dei nostri parti, e la giustificazione che normalmente se ne dà è che l’animale è guidato dall’istinto. Una delle maniere più ovvie per facilitare il proprio parto, è quindi cercare di sollecitare il meno possibile il nostro cervello raziocinante e parlante, per fare emergere la nostra componente istintuale, che è quella direttamente legata alle funzioni primarie in generale e al controllo degli sfinteri in particolare. E adattare a noi quanto l’istinto suggerisce alle nostre cugine mammifere: cercare la solitudine, il buio della notte, la protezione della tana. Ma quanto dura la gestazione negli animali? Di seguito una piccola tabella indica i giorni di gestazione dei alcuni animali.

 

20 GG TOPO

30 GG CONIGLIO

35 GG LEPRE,MARMOTTA

38 GG CANGURO

42 GG CASTORO

51 GG VOLPE

58 GG GATTO

63 GG CANE,LUPO

90 GG LEOPARDO

105 GG LEONE,TIGRE

112 GG MAIALE

150 GG PECORA

210 GG ORSO.SCIMPANZE

230 GG IPPOPOTAMO

240 GG CERVO

275 GG DELFINO

280 GG BOVINI

305 GG BALENA

336 GG CAVALLO

362 GG ASINO

435 GG GIRAFFA

600 GG ELEFANTE