Cane alla catena, è reato?

cane alla catena

Si possono tenere i cani alla catena? L’Emilia Romagna a marzo del 2013 è stata la prima, regione italiana ad aver vietato l’utilizzo della catena per i cani, salvo motivi sanitari accertati dal veterinario seguita dal Veneto nel 2015. Tuttavia al di là di cosa dice la legge e delle sanzioni in cui si incorre, stabilite dal regolamento sul benessere animale delle varie regioni, è bene capire che non necessariamente una pratica non vietata dalla legge sia anche giusta. Pensate che la corrida è ancora legale in alcuni Paesi: vi sembra una pratica “giusta” nei confronti del benessere animale? Sta dunque a noi proprietari giudicare cosa è giusto per il nostro cane e non occorre una legge per capire che tenere un cane alla catena in condizioni non accettabili possa rivelarsi pericoloso e nocivo per la salute fisica e mentale dell’animale.

Una catena corta, pesante come un macigno, che non consente di raggiungere la cuccia e di muoversi cane alla catena2agevolmente, rappresenta sicuramente un rischio per il cane. E nessun proprietario dovrebbe prendere in considerazione l’ipotesi di mettere il cane alla catena senza prima aver analizzato le alternative disponibili, ad esempio un ampio recinto alto, e aver cercato una soluzione meno invasiva possibile per l’animale. Non si mette un cane alla catena 24 ore su 24 solo perché ha scavato in giardino, ha rosicchiato un mobile o è ingestibile: i cani vanno educati ed addestrati.
cane alla catena3La catena, utilizzata erroneamente, può causare addirittura ferite e danni al collo del cane. Inoltre  un cane alla catena può sentirsi frustrato perché, proprio come noi umani, anche gli animali hanno la tendenza a superare i propri limiti e si sentono insofferenti quando sono intrappolati e limitati nei movimenti. Lo stress a cui è sottoposto il cane può sfociare talora in comportamenti aggressivi, in special modo se il cane viene tenuto alla catena tutto il giorno, senza interazioni sociali, stimoli e contatti con il proprietario. Molto meglio rendere la casa dog-friendly e tenerlo dentro che lasciarlo da solo fuori senza possibilità di muovere un passo.

Chi lega un cane alla catena senza una giusta causa è più propenso a dimenticarsene perché si sente tranquillo sul fatto che il cane non possa scappare, fare danni o spaventare nessuno, per questo il cane alla catena, più di altri, rischia di essere un cane solo, poco avvezzo alle interazioni sociali e potenzialmente a rischio di sviluppo di problemi comportamentali. Ovviamente non si può generalizzare, c’è caso e caso, ma bisogna fare davvero molta attenzione se si sceglie questa opzione. Tenere un cane alla catena è maltrattamento qualora il cane sia tenuto gran parte del tempo alla catena, da solo, e con catene pesanti, corti ed insostenibili lontane dalla cuccia o addirittura in assenza di un riparo. Il cane è un animale sociale, necessità di interazioni, mai dimenticarlo.

La catena deve essere lunga, agganciata ad un collare morbido e dotata di moschettoni rotanti per scongiurare il rischio di strangolamento. Nessuno strumento o accessorio utilizzato per il cane dovrebbe causare dolore al cane e questo vale per la catena come per il guinzaglio. Ricordatevi inoltre e sempre che un cane stanco è un cane buono. Che viva in giardino o in casa un cane ha sempre bisogno di giocare, di poter correre più volte al giorno, di socializzare e di ricevere attenzioni. E questo nessuna ordinanza lo sancirà mai, eppure è fondamentale per scongiurare l’insorgenza di comportamenti aggressivi, all’origine della soppressione di tanti cani diventati pericolosi proprio a causa dell’incapacità dei proprietari di prevenirne il disagio psicofisico.

Ecco solo alcuni esempi che vi aiuteranno a capire cosa rintracciare nella vostra regione/comune:

ABRUZZO
La LR n.86/1999 affronta l’argomento affermando che i cani legati a catena devono disporre di spazio sufficiente (non inferiore a mq. 6.00 per i cani di grande taglia, mq. 4 per i cani di taglia media e mq. 2 per i cani di taglia), con accanto una struttura atta a ripararli dalle condizioni atmosferiche, con facile accesso al contenitore dell’acqua e la possibilità di accovacciarsi. La catena, facoltativa, ha modalità di applicazione e lunghezze ben definite..

BASILICATA
La LR n.6/1993 afferma che chiunque possiede o detiene animali di affezione è obbligato a provvedere al mantenimento degli stessi e ad un trattamento adeguato alla specie. Gli animali debbono disporre di spazi sufficienti per i loro movimenti e di tettoie idonee a ripararli dalle intemperie. La catena di contenimento, se necessario, deve avere sufficiente lunghezza” .

CALABRIA
La LR n.4/2000 chiede per gli animali spazio sufficiente, fornito di tettoia e la possibilità di muoversi e di accovacciarsi comodamente. La catena può essere usata per un numero limitato di ore al giorno e avere una lunghezza minima di m. 5 oppure di m. 3 se fissata tramite anello di scorrimento ed un gancio snodabile ad una fune di scorrimento di almeno 6 metri. Collare sufficientemente largo per evitare strozzature e una cuccia coibentata pulita sono ulteriori disposizioni.

LAZIO
La LR 34/1997 dice che la catena, ove necessaria, deve avere la lunghezza minima di m.5 oppure di m. 3 se fissata tramite un anello di scorrimento ed un gancio snodabile ad una fune di scorrimento di almeno m. 5.

PIEMONTE
Col DPGR n. 4359/1993 si afferma che la detenzione dei cani alla catena deve essere evitata e, qualora si renda necessaria che la catena sia mobile, con anello agganciato ad una fune di scorrimento di almeno 5 m. di lunghezza. In spazi delimitati è necessario uno spazio di almeno 8 metri quadrati per capo adulto, fatte salve esigenze particolari di razza. I locali di ricovero devono essere aperti sull’esterno per consentire sufficiente illuminazione e ventilazione.

Che fare degli scoiattoli grigi?

scoiattolo grigioC’è da anni un conflitto aperto tra ambientalisti ed animalisti. Il conflitto riguarda le specie animali alloctone introdotte volontariamente o meno sul nostro territorio. Si va dalpesce siluro che distrugge l’ittiofauna autoctona nel Po. Alla nutria che scava le sponde dei corsi d’acqua creando condizioni per dissesti idrogeologici. Agli scoiattoli grigi (presenti solo in Italia e Gran Bretagna) che stanno eliminando di fatto i nostri scoiattoli rossi. Ma fermiamoci a questi ultimi.

Dopo tre raccomandazioni dell’Ue, in questi giorni Francia e Svizzera hanno minacciato l’Italia: «Se troviamo anche un solo esemplare nei nostri boschi, sarà guerra». I due paesi si sentono particolarmente minacciati perché Liguria di Ponente, Piemonte e Lombardia sono invase dalla specie di origine americana. Finora nessuna amministrazione centrale o locale si è mossa per porre rimedi al disastro, in quanto lo scoiattolo grigio, oltre ad essere invasivo, è portatore sano di un virus che uccide il nostro roditore.

Ecco allora anche lo scontro tra ambientalisti ed animalisti. I primi sono per un intervento radicale volto all’eliminazione anche cruenta della specie alloctona. I secondi tentennano sul da farsi ma escludono comunque a priori qualsivoglia intervento cruento.
La guerra silenziosa si trascina da molti anni (lo scoiattolo grigio è stato inconsciamente immesso in natura negli scorsi anni settanta).

Il rimedio deve prendersi, ma come agire? Questo è un post che non dà soluzioni, ma chiede: “che fare di Cip e Ciop?(intesi come scoiattoli americani)”.

di Fabio Balocco

ilfattoquotidiano.it

Displasia dell’anca nel cane, l’incubo di tutti i proprietari

Come per l’uomo, sono innumerevoli le patologie e le malattie che possono colpire un cane. Uno tra i problemi più temuti è la displasia dell’anca, una patologia ortopedica, ovvero l’anormale sviluppo dell’articolazione dell’anca.
Si tratta di una patologia ereditaria ma non congenita, cioè può essere trasmessa dai genitori ai figli ma non è presente al momento della nascita.

La displasia dell’anca (oppure HD) viene indicata come una malattia multifattoriale ed ereditaria: con multifattorialità si intende che si manifesta secondo vari fattori ambientali, cioè che sono in gioco più fattori scatenanti e non uno solo; è ereditaria nel senso che il cucciolo nasce già ammalato (quindi la displasia non può svilupparsi su un cucciolo nato esente), e un cucciolo malato non potrà mai guarire: al limite, se sarà fortunato, potrà rimanere stabile.
Colpisce le articolazioni coxo-femorali, cioè tra il femore ed il bacino, causando un appiattimento progressivo della testa del collo del femoree dell’acetabolo (la parte del bacino che accoglie la testa del femore). Le due articolazioni cominciano così ad essere in attrito tra di loro, causando quindi dolore durante il movimento. Inizialmente questo dolore sarà saltuario, fino a che (nella peggiore delle ipotesi) le ossa non saranno talmente logore da provocare prima una sempre più intensa zoppia, seguita dalla paralisi del cane che, a causa del forte dolore, non potrà neppure alzarsi in piedi.

Nessuno, a priori, può stabilire se un cucciolo sia esente o meno da displasia, neppure l’allevatore. Molte sono, infatti, le pubblicità su riviste specializzate che garantiscono “soggetti completamente esenti da displasia”: in realtà l’allevatore può garantire solamente l’assenza di displasia dei genitori del cucciolo-il quale, però, potrà ugualmente ereditare la malattia dai nonni o, andando più indietro, dalle generazioni precedenti. La displasia può quindi colpire tutti i cuccioli dei cani di taglia medio-grande nati anche da genitori perfettamente sani (addirittura la può ereditare fino a 6 generazioni precedenti).
displasia-ancaLa displasia è catalogata in base alla sua gravità:

  • A Normale – grado HD0
  • B Quasi normale – grado HD1
  • C Leggera – grado HD2
  • D Media
  • E Grave

Come capire se il cane è affetto da displasia

È importante non creare falsi allarmismi. Ecco i sintomi più evidenti della displasia dell’anca: una debolezza generale della parte posteriore del cane, fatica ad eseguire certi movimenti (ad esempio alzarsi da sdraiato o fare salti) e una zoppia più o meno grave (può manifestarsi anche già dal 4°-5° mese di età).

Se si riscontra anche uno solo di questi tre sintomi, è sempre bene fare gli accertamenti del caso per stabilire la situazione del cane (del resto è meglio fare un controllo in più, che non in meno). Ricordiamo inoltre che in casi lievi di displasia, i sintomi potrebbero anche non manifestarsi affatto.

Un semplice esame radiologico

L’esame consiste in un esame radiologico fatto, nella maggioranza dei casi, in anestesia totale. Sarà il vostro veterinario di fiducia a stabilire se fare l’esame egli stesso, oppure mandarvi in centri veterinari più attrezzati. Il cane, che dovrà presentarsi a digiuno dalla mezzanotte del giorno prima, viene addormentato e posizionato sull’apposito lettino. Solo tramite una radiografia fatta in modo ineccepibile si potrà stabilire con esattezza il grado di displasia del vostro cane; solitamente, insieme alla displasia dell’anca, è bene fare contemporaneamente anche quella del gomito e della dentatura.

Le lastre effettuate dal vostro medico, per essere ufficializzate, devono essere spedite alla centrale di lettura (con sede a Ferrara e Cremona), la quale provvederà a dare una valutazione precisa dello stato della malattia (come da elenco puntato sopra) e a registrarla sul pedigree.

Come si cura la displasia

Purtroppo non esistono terapie mediche in grado di guarire il cane dalla displasia. Esistono in commercio dei farmaci che comunque possono attenuare i sintomi della malattia (farsi consigliare dal proprio veterinario in proposito). In commercio esistono 2 tipi principali di medicine: i corticosteroidi e gli anti-infiammatori non steroidei. Entrambi non sono adatti ai trattamenti a lungo termine per le controindicazioni ed effetti collaterali che provocano.

Quando il dolore per il cane diventa troppo, è possibile intervenire chirurgicamente con varie tecniche. Bisogna a tal punto precisare che i risultati di questi interventi sono contradditori; ci sono cani rinati, così come altri che sono stati fatti soffrire inutilmente. Bisogna valutare attentamente ogni possibilità, tenendo ben presente che dobbiamo fare il bene del nostro cane.

L’intervento più praticato, e anche quello più costoso, è l’inserimento di una protesi nell’anca. Esistono vari materiali che si possono utilizzare, del costo di svariate migliaia di euro. È un’operazione che richiede molta bravura, se riesce il cane torna nuovo, ma in caso di rigetto le conseguenze sono drammatiche. Il periodo post-operatorio è molto lungo e le possibilità di successo completo non sono altissime.

Oltre a questo, esistono altri interventi, più o meno noti, che si prefiggono di far tornare a correre il nostro cane. Se volete un consiglio, prima di intervenire chirurgicamente sul cane rivolgetevi a più veterinari e, magari, anche a qualche specialista. Inoltre, se dovete acquistare un cucciolo, contattate allevatori seri e qualificati, che abbiano solo un tipo di razza ed evitate, se potete, i negozi che vendono cuccioli: meglio sceglierseli in un allevamento.

Nell’estate 2014 sono diminuiti gli abbandoni di cani e gatti

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cane_abbandonatoRoma, 11 gennaio 2015 – Sono stati 23.435 i cani abbandonati e vaganti sulle strade ed autostrade nel 2014 secondo le segnalazioni arrivate all’Associazione Italiana Difesa Animali ed Ambiente (Aidaa), con una diminuzione di 4.024 cani avvistati rispetto ai 27.459 del 2013 (-17,19%). Lo afferma l’associazione definendo «altalenanti i dati che hanno visto un incremento degli abbandoni nei primi tre mesi del 2014 quando sono stati segnalati 4.515 cani abbandonati rispetto ai 3.075 dello stesso periodo dell’anno precedente. Bene invece l’estate con una diminuzione di quasi il 15% delle segnalazioni rispetto al 2013 e anche nei mesi autunnali gli abbandoni sono diminuiti».

Un dato «tutto sommato positivo» osserva l’Aidaa. Tra le regioni la maglia nera spetta a Puglia, Sicilia, Calabria e Lazio. «Un leggero miglioramento non vuol dire che il problema è scomparso – spiega Lorenzo Croce presidente di Aidaa – Mancano ancora i dati dei cani abbandonati direttamente in canile, anche se si tratta di numeri meno importanti nel complesso».
Per contatti con la nostra redazione: animali@quotidiano.net

Farmaci per animali, “prezzo medio 3-4 volte superiore a quelli per l’uomo”

 

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“Fino a qualche anno fa la forbice era addirittura più ampia. È ovvio che costringendo il veterinario a prescrivere un farmaco registrato per uso animale piuttosto della specialità umana, identica, si fa l’interesse delle aziende farmaceutiche veterinarie” dice Giorgio Neri, veterinario e consulente del farmaco per Anmvi

farmaci-vetCurare Fido costa caro. Lo sa bene la metà delle famiglie italiane proprietarie di un animale domestico. Il prezzo dei farmaci per gli amici a quattro zampe è in media tre/quattro volte superiore di quelli per l’uomo. Anzi, può arrivare a moltiplicarsi per dieci o venti. Sebbene il principio attivo sia identico. Facciamo qualche esempio. Il furosemide, un diuretico, nome commerciale “Diuren”, nella confezione da 30 compresse da 20 milligrammi costa 7,50 euro; appena 1,72 l’analogo per uso umano, il Lasix. Per sei fiale di fitomenadione, nome commerciale “Vitamin K1 Laboratoire TVM”, indicato in caso di avvelenamento da rodenticidi (veleno per topi), si spendono 82 euro, cioè quattro volte in più del trattamento per uso umano con il “Konakion”.

“È la legge infatti che impone di usare il farmaco veterinario per gli animali e solo in via eccezionale la versione umana”

Una fiala da dieci millilitri di tramadolo cloridrato, il principio attivo dell’Altadol, un antidolorifico iniettabile, chi ha un pet (così chiamano gli inglesi gli animali da compagnia) la paga 9,20 euro; il farmaco per noi si chiama “Contramal”, ha metà del dosaggio, ed è in vendita a 3,30 euro. Lo stesso discorso vale per gli antibiotici. La spesa per 16 pastiglie di clindamicina cloridrato, sotto l’etichetta “Antirobe”, da somministrare al cane, è di 27, 82 euro; stessa molecola per noi, con un nome diverso, Dalacin C, a metà prezzo: 5,07 euro. Il ragionamento non cambia se il pet soffre didepressione. Una scatola da 30 pastiglie da 5 milligrammi di clomipramina, un antidepressivo con il nome  “Clomicalm”, costa 32,10 euro. Il prezzo al milligrammo dell’ “Anafranil”, l’equivalente per l’uomo, è di otto volte inferiore.

Lady veterinary examining the dog“È assurdo, si tratta della stessa molecola, ma quella per uso veterinario ha cifre da capogiro” è il commento di Giorgio Neri, veterinario e consulente del farmaco per Anmvi (associazione nazionale medici veterinari italiani). “Fino a qualche anno fa la forbice era addirittura più ampia – continua -. È ovvio che costringendo il veterinario a prescrivere un farmaco registrato per uso animale piuttosto della specialità umana, identica, si fa l’interesse delle aziende farmaceutiche veterinarie“. Un piccolo impero che ogni anno in Italia muove un fatturato di circa600 milioni di euro. Briciole a confronto dei 26,1 miliardi spesi nel 2013 per la salute umana. Il 50 per cento del giro d’affari si concentra in quattro aziende: Merial, Zoetis Italia, Bayer (divisione veterinaria) e MSD Animal Health.

“Un piccolo impero che ogni anno in Italia muove un fatturato di circa 600 milioni di euro”

In apparenza nulla di strano. È la legge infatti che impone di usare il farmaco veterinario per gli animali e solo in via eccezionale la versione umana. Attraverso le regole a cascata sull’uso in deroga, introdotto con il dlgs 119 del 1992: “Se non esiste nessuna specialità veterinaria autorizzata per una determinata specie e patologia – spiega Neri -, allora il veterinario può somministrare un farmaco off label, cioè registrato per la cura di un’altra malattia ma altrettanto efficace, o indicato per una famiglia di animali diversa. Solo in un’ultima istanza può prescrivere quelli autorizzati per l’uomo, anche se contengono lo stesso principio attivo e sono molto più economici”. La stessa cosa ripete il dlgs 193 del 2006. Negli articoli 10 e 11 si precisa che l’uso in deroga è consentito, rispettivamente, negli animali da compagnia e in quelli destinati alla produzione di alimenti, ma sempre per il solo fine di evitare “stati evidenti di sofferenza”. Una condizione molto limitante (considerato anche che l’animale non parla e la nostra percezione del loro dolore è molto debole). Il motivo? Di nuovo, favorire il business del settore farmaceutico veterinario. Il consulente dell’Anmvi sottolinea un’altra contraddizione: “Per esempio, il  furetto, come i cani, può essere colpito da cimurro, ma nel suo caso non esiste un vaccino specifico. Se dovessi attenermi alle regole a cascata non potrei usare il medicinale autorizzato per il cane anche per il furetto, perché lo scopo è preventivo, non curativo”. Altro caso: “La filaria, di cui soffrono i canidi e il gatto, è documentata pure nel furetto. Ma la terapia preventiva, da fare nel periodo delle zanzare, è esclusiva per i primi”.

I farmaci generici per gli animali sono ancora un tabù. Il veterinario sulla ricetta deve per forza indicare il nome commerciale del medicinale 

farmaco-veterinarioI farmaci generici per gli animali sono ancora un tabù. Il veterinario sulla ricetta deve per forza indicare il nome commerciale del medicinale (non il principio attivo come è d’obbligo per i nostri medici). Un ex rappresentante veterinario del ministero della Salute ci rivela: “Noi abbiamo le mani legate, al ministero c’è un muro. Le industrie chiedono di proteggere i loro prodotti e trovano terreno fertile. Esistono dei farmaci, già registrati in veterinaria e nello specifico per il cane/gatto, che sono disponibili anche come generici, con un divario di costo significativo. Basterebbe che ilministero emanasse una disposizione secondo cui i generici già registrati per gli umani, a parità di composizione, siano di fatto considerati anche a uso veterinario. Ciò permetterebbe un risparmio di migliaia di euro. I vincoli attuali sono una follia e servono a garantire più la sopravvivenza dell’industria farmaceutica veterinaria che la tutela sanitaria degli animali”.

Tanto per renderci conto. È disponibile il generico dell’amoxicillina, tra gli antibiotici più usati per la cura antibatterica, a soli quattro euro. La versione branded veterinaria, il “Synulox”, costa dai 16,80 euro ai 19.90 (dipende dal dosaggio). L’equivalente del Fortekor (benazepril è il principio attivo), un antipertensivo, prezzo 19,90 euro, vale 4,47. Siccome lo Stato è il più grande proprietario di cani (ce ne sono 600mila rinchiusi nei canili sparsi per la penisola), converrebbe anche alle casse pubbliche dare l’ok ai generici per uso animale.

Conti salatissimi troppo spesso spingono a operare illegalmente. Va a finire che i padroni danno di nascosto i farmaci per uso umano al proprio cane o gatto (spesso sbagliando i dosaggi). Che i veterinari, rischiando multe da 1500 a nove mila euro, li prescrivano sottobanco al cliente in difficoltà economica. Oppure, e questo è all’ordine del giorno nelle farmacie di paese, dove l’offerta veterinaria è ridotta, il farmacista consegna la versione umana del medicinale in mancanza di quello specifico. Ordinarlo significherebbe aspettare anche una settimana mettendo in pericolo la salute dell’animale.

Conti salatissimi troppo spesso spingono a operare illegalmente. Va a finire che i padroni danno di nascosto i farmaci per uso umano al proprio cane o gatto (spesso sbagliando i dosaggi)

A essere sul piede di guerra è il sindacato italiano veterinari liberi professionisti, Sivelp, che chiede da tempo la liberalizzazione del farmaco veterinario a parità di molecola. E che per denunciare tutte le aporie del sistema, lo scorso settembre, ha lanciato un sito web, www.farmacoveterinario.it , insieme a Livia Di Pasquale, da anni volontaria nei canali, che ha sposato la causa. Intanto il mercato si ingrossa. Nell’ultimo mese sono usciti dei nuovi stupefacenti, 4/5 volte più costosi dei nostri. Come il “Fentadon”: 16,08 euro contro i 3,10 del “Fentanest” (il principio attivo è il fentanil, lo stesso per entrambi). E il Buprenodale (buprenorfina è il principio attivo): 25 euro, mentre il “Temgesic”, per noi, ne vale 7,21.

La Fnovi (Federazione nazionale ordini veterinari italiani) non ignora il problema. Tanto che a metà del mese ha fissato un incontro a porte chiuse con i rappresentanti della filiera, (l’Aisa, l’organizzazione delle aziende del farmaco animale, l’Ascofarve, quella dei distributori, e Federfarma, quella dei farmacisti) per capire il perché dei prezzi così elevati.

Chiara Daina

fonte: ilfattoquotidiano.it

Cani da protezione del gregge e regole di comportamento da attuare in presenza di cani da protezione

A sign warning walkers about the presence of Great Pyrenees dogs with cattle is pictured near Les Diablerets July 31, 2012. Swiss farmers use Great Pyrenees dogs to protect their cattle from wolves. In early 2012, the Swiss Federal Office for Environment counted five wolves have entered the country out of the 70 to 200 that live in France and Italy. Picture taken July 31, 2012.  REUTERS/Denis Balibouse (SWITZERLAND - Tags: AGRICULTURE ANIMALS SOCIETY)

Il Video

Cani da protezione: Un videoclip vi mostra le regole di comportamento da attuare in presenza di cani da protezione delle greggi. Per facilitare ai cani da protezione del gregge il loro lavoro sui pascoli, è necessario rispettare il loro comportamento e seguire regole di comportamento.

Il cane da protezione è un cane selezionato per vivere in permanenza con il gregge tanto da diventarne parte come in una famiglia allargata. Pur restando un cane è in grado di legarsi agli animali che protegge ed avere con loro contatti sociali.

Cani da protezione delle greggi

Occorre operare una distinzione netta tra cani da conduzione e cani da protezione: i primi (pastore tedesco, border collie, pastore bergamasco ecc.) vengono addestrati per condurre il gregge, i secondi (pastore maremmano abruzzese, pastore dei Pirenei) sono impiegati esclusivamente per difendere il bestiame, una mansione per cui non necessitano praticamente di alcun addestramento.
Mentre i cani da conduzione riconoscono come loro padrone il pastore, i cani da protezione appartengono al gregge, considerandolo come parte del proprio branco, del proprio territorio, e lo difendono da qualsiasi minaccia o pericolo, lupi, orsi e linci compresi.

Come scegliere i cani da protezione

• Nel nostro Paese le razze più diffuse sono il pastore maremmano abruzzese (di origine italiana) e il pastore dei Pirenei (proveniente dai Pirenei francesi). Questi cani si sono dimostrati molto adatti a soddisfare le esigenze degli allevatori svizzeri. Scegliete una sola razza, onde evitare
incroci.
• Acquistate almeno due cani, di cui almeno uno adulto, in modo da facilitare l’integrazione nel gregge. Gli esemplari adulti possono avere maggiori difficoltà ad adattarsi alle abitudini del nuovo padrone o all’azienda (possono essere più o meno abituati alla vicinanza con l’uomo o al guinzaglio, e presentare vari modi di mettersi in relazione con il bestiame), ma in compenso sono molto più tranquilli, avendo superato la pubertà, ed è raro che infastidiscano il bestiame.
• Le femmine, quando sono in calore, richiedono particolari attenzioni, e quindi comportano un maggiore dispendio di tempo.
• Di norma l’affiatamento tra due maschi è maggiore che tra due femmine.

Per approfondimenti, scarica il file in formato PDF Cani da protezione del gregge

Cane da Guardia

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cane aggressivoNegli ultimi giorni, per un motivo o per l’altro,  si è parlato molto di cani da guardia, toccando diversi argomenti e ponendosi diverse domande.
Per esempio: ha ancora senso, nel 2014, utilizzare i cani per proteggere una proprietà? Il cane da guardia deve vivere in giardino o in casa? C’è modo di addestrare un cane alla guardia? Se un cane da guardia ferisce – o peggio, uccide – un ladro, il proprietario può incorrere in sanzioni o addirittura essere accusato di omicidio?
Provo a rispondere esprimendo il mio personale punto di vista almeno per quanto riguarda le prime domande, mentre per quelle relative alle eventuali azioni legali è davvero difficile trovare il bandolo della matassa.

Cominciamo dall’inizio: il cane da guardia ha ancora senso, in questo mondo ipertecnologico che mette ormai a disposizione sistemi d’allarme sofisticatissimi?
Stando a quel che si sente in giro, direi proprio di sì: non tanto un singolo cane (facilmente neutralizzabile con vari metodi più o meno cruenti) quanto una coppia, che ovviamente dev’essere addestrata a rifiutare il cibo. E questo, già ve lo anticipo anche se ci torneremo dopo, è l’unico vero “addestramento” che si può impartire a un cane da guardia.
E’ un dato di fatto che le abitazioni protette da più cani solitamente vengono lasciate in pace dai ladri: un’amica che alleva rottweiler mi raccontava, tempo fa, che nel suo quartiere residenziale tutte le villette erano state visitate dai ladri, comprese quelle dotate di allarmi vari… ma da lei non c’erano mai andati, chissà come mai! E di racconti come questo ne ho sentiti diversi: io stessa, che quando allevavo vivevo letteralmente in mezzo a un bosco, non ho mai avuto problemi in questo senso, a differenza dei miei “lontani di casa”, come li chiamavo io perché proprio “vicini” non erano: stavano a quattrocento metri da casa mia. Però vivevamo nello stesso bosco, e da loro a rubare ci sono andati: da me non ci ha mai provato nessuno).
Ovviamente, però, un intero allevamento di cani non equivale a un cane singolo: e purtroppo ogni tanto si legge sui giornali di cani (singoli) messi fuori combattimento, o uccisi dal malintenzionato che voleva entrare in una proprietà.
Si legge ogni tanto,  ho detto: ed è proprio così.
Se si paragonano le notizie generiche di furti con quelle in cui viene riferita la presenza e la neutralizzazione (in un modo o nell’altro) di un cane da guardia, le prime battono le seconde mille a uno.

C’è da dire, però, che spesso l’eventuale presenza di un cane non viene neppure citata. Credo abbiate visto tutti, in questi giorni, le immagini relative alla villa di Sergio Zavoli, l’anziano giornalista malmenato e rapinato da quattro malviventi: non si è parlato praticamente d’altro e la TV ha mostrato la villa da ogni possibile angolazione. Bene, sul cancello di quella villa c’è un bel cartellone rosso di “Attenti al cane”… ma nessuno vi ha fatto cenno.
C’era o non c’era un cane da guardia? E se c’era, che fine ha fatto?
Non si sa.
Si sa, però, che “i banditi hanno atteso dall’esterno il rientro a casa dei domestici, per poi minacciarli ed entrare con loro probabilmente da una porta secondaria“. Quindi, anche ammesso che un cane ci fosse stato, potrebbe essere rimasto del tutto tranquillo vedendo i domestici, ovvero persone a lui ben conosciute.
Una cosa è certa: una banda di professionisti, se vuole entrare in casa di qualcuno, nove volte su dieci ci entra.
Però è anche vero che la banda di professionisti non prende certo di mira il primo che capita: e siccome VIP e persone assai benestanti non sono certo la norma, alla “persona normale” capita molto più spesso di doversi difendere dalla microcriminalità, dal drogato, dallo sbandato, dal rubagalline (che è comunque un delinquente e che può essere pericolosissimo, vista l’escalation di violenza gratuita a cui si sta assistendo negli ultimi anni).
Nei confronti del delinquente comune, a mio avviso, il cane da guardia serve eccome (meglio se in coppia): ma serve innanzitutto da deterrente, perché se il ladro entra lo stesso (non essendo, presumibilmente, un pazzo scriteriato) significa che ha già in mente un modo per liberarsi del cane. Magari uccidendolo.
Ora: vale la pena di rischiare la vita del proprio cane pur di non ricevere visite sgradite?
Non posso rispondere,  perché la risposta può essere solo soggettiva.
Per qualcuno il gioco varrà la candela, per qualcun altro no (se vi può interessare, io faccio parte del secondo gruppo): dipende dalla sensibilità di ognuno e dall’affetto che prova per il cane.

La mia scelta personale, però, è sempre stata quella di tenere il cane da guardia non in giardino, ma dentro casa: anche perché, sinceramente, del fatto che mi possano fregare le rose, i tulipani o la sedia a sdraio nun ne me po’ frega’ de meno. E in giardino (quando ne ho avuto uno), altro non ho mai tenuto.
Le cose di valore (magari poche, visto che non sono mai stata né VIP, né  ricca) le ho sempre tenute in casa, come penso faccia la maggior parte della gente (compresi quelli che VIP o ricconi sono davvero): e come logica conseguenza, ho sempre tenuto in casa anche il cane.
Anche perché, se il cane sta dentro casa, diventa decisamente più complicato, per il ladro, provare a neutralizzarlo. Primo, perché si mette ad abbaiare e sveglia i proprietari (che fanno in tempo a chiamare la polizia prima che il ladro abbia potuto forzare la porta); secondo, perché entrare da una porta non è come entrare in un giardino, dove ci sono ampi spazi per muoversi. Se devi passare da quel mezzo metro lì, e dietro a quel mezzo metro c’è un cane incazzato, non è che hai molto da inventarti: o gli spari – ma così svegli tutto il paese, oltre ai padroni di casa – oppure è meglio che lasci perdere.
Certo, in questo caso il cane non è più tanto un deterrente, quanto un’arma vera e propria: gli incontri, se ci sono, sono ravvicinati e il ladro può beccarsi un bel morso.
Nel qual caso, che succede?
Ho provato a cercare notizie in rete, ma si trova ben poco e quel poco non è troppo chiaro.
Una cosa certa è che, nel caso del cane tenuto in giardino, devono essere sempre presenti cartelli molto espliciti (il che significa “comprensibili anche per chi non sapesse leggere”, quindi con scritte e figure esplicative) che indichino la presenza del cane da guardia. Un’altra cosa certa è che il proprietario del cane finirà sempre e comunque per essere indagato, qualora il malvivente subisca delle lesioni, e che il cane verrà comunque sequestrato e sottoposto ai controlli sanitari del caso.
Dopodiché, a quanto sono riuscita a capire, c’è sempre un margine di discrezionalità lasciata ai giudice… ma in base a parametri che dovrebbero essere i seguenti:

a) se il cane si limita a un’aggressione tesa ad allontanare il malintenzionato, causandogli ferite non gravi (che sono quelle con prognosi inferiore a 20 giorni), il proprietario non risponderà ne civilmente ne penalmente;b) se le ferite sono gravi, dipende (e qui interviene la discrezionalità del Giudice): se sono commisurate alla difesa, il proprietario non risponde; se risultano non commisurate alla difesa, il proprietario risponderà per lesioni colpose;c) se il malintenzionato, entrato nella proprietà, viene aggredito e ucciso dal cane, il proprietario risponderà di omicidio colposo oltre al risarcimento dei danni. Se però si potesse provare che il malvivente aveva intenzione di uccidere il proprietario del cane, allora potrebbe configurarsi la legittima difesa.

Sulla carta sembra tutto abbastanza semplice: infatti il concetto base di “legittima difesa”, in Italia, è proprio quello di “difesa commisurata all’offesa”. In pratica,  è legittimo che io faccia a te (o, in questo caso, faccia fare dal cane a te) ciò che tu avresti voluto fare a me. Ma non posso andare oltre.
Se  tu mi hai minacciato a mani nude perché volevi rubarmi il portafoglio e io ti dò un pugno in faccia, è legittima difesa. Se tiro fuori un coltello e ti ammazzo (o se slego il cane e ti ammazza lui), è omicidio.
Se tu mi punti contro una pistola e io slego il cane che ti ammazza, dipende: se si scopre che la pistola era un giocattolo e che non avresti potuto uccidermi, io sono colpevole di omicidio.
Il che è francamente ridicolo, perché non ho mai sentito che qualcuno, minacciato con un’arma, chiedesse al malvivente: “Scusi,  ma quella è vera? E nel caso sia vera, lei avrebbe intenzione di spararmi oppure no? Perché, vede,  senza queste informazioni non so bene se dire al cane di morderle gentilmente una chiappa oppure  di saltarle alla gola…”
La verità è che, in ogni caso, il proprietario di un cane che morde seriamente un ladro verrà indagato e probabilmente processato… dopodiché dipenderà tutto (o quasi) dall’abilità del suo avvocato e da come la vede il Giudice. Sinceramente devo dire che non vorrei mai trovarmi nei panni di un Giudice chiamato a decidere sulle basi di una legge come la nostra: ma siccome le leggi vanno rispettate per come sono, e non per come vorremmo che fossero, bisogna mettere in conto la possibilità che l’azione sacrosanta del nostro cane da guardia, qualora abbia conseguenze serie per il malvivente, potrebbe causarci un sacco di guai.
Questo è un altro buon motivo, a mio avviso, per tenere il cane dentro casa: perché da lì è molto difficile che possa ammazzare qualcuno. Tra le altre cose, non sentendomi una Giustiziera della Notte, sinceramente non credo che sarei affatto felice se il mio cane mandasse qualcuno all’altro mondo. Per carità, non provo neppure particolare simpatia per ladri e delinquenti vari… però la vita, a mio avviso, ha un valore troppo alto per pensare di spegnerne una senza una validissima ragione (che può essere solo quella di salvare la mia).
Se invece il cane, al malvivente, stacca una manina… be’, allora andiamo pure a giocarcela in Tribunale. Ma in quel caso non proverei il minimo senso di colpa, perchè davvero la mia difesa mi sembra assolutamente commisurata all’offesa: se volevi tenerti la manina intera, te ne restavi a casa tua e non provavi a venire a rubare nella mia!

Chiusa la parentesi legislativa, veniamo a quella cinofila. Dal punto di vista cinofilo le domande più frequenti sono: “Il cane da guardia va addestrato?”,  “Qualsiasi cane può essere da guardia, o è meglio rivolgersi a razze specifiche?” e infine: “Il caneda guardia deve essere allevato ed educato in modo diverso dagli altri?”
Le prime due risposte sono semplicissime e veloci.

1 – NO, il cane non si può (né si dovrebbe)  “addestrare alla guardia”:  questa attitudine dev’essere genetica e la si mantiene attraverso la selezione, non con l’addestramento.
E’ possibile, certo, “insegnare” alcune cose al cane da guardia, così come a quello da difesa personale (civile e non sportiva): per esempio a mordere solo in determinate parti del corpo (evitando così, magari, di fargli ammazzare davvero qualcuno), o a restare a distanza tale da non poter essere raggiunto né da eventuali colpi di arma bianca (coltello), né da ipotetiche spruzzate di spray soporiferi (che secondo alcuni sono leggende metropolitane o invenzioni di chi non vuole ammettere di aver lasciato entrare i ladri in casa per pura ingenuità: non so quale sia la verità, non ho mai vissuto personalmente questa esperienza né conosco nessuno che l’abbia vissuta…e di quello che scrivono i giornali mi fido pochissimo!). Sicuramente il cane da guardia DEVE essere addestrato al rifiuto dell’esca… ma tutto questo non ha nulla a che fare con “la guardia” vera e propria: l’impulso a difendere la proprietà, o c’è o non c’è. Non lo si può “costruire” con l’addestramento. Si può costruire, al massimo, un cane squilibrato che attacca le persone a vanvera, ma questo “non” è un cane da guardia: è una bomba innescata e fuori controllo, e chi ama avere un cane di questo genere dovrebbe finirci lui, in galera.

2 – Qualsiasi cane con buona vigilanza può fare la guardia, certamente: però dipende da cosa si intende per “guardia” . Un tempo, in campagna, praticamente tutti tenevano un cane piccolo e nevrile con funzioni di semplice “avvisatore” (quello che lo Scanziani chiamava “cane campanello”) e un cane grosso capace di intervenire nel caso un malintenzionato, ignorando l’avvertimento del “campanello”, si introducesse ugualmente in una proprietà (“guardia armata”). Esempio tipico italiano, il mastino napoletano (o il cane corso) abbinato al volpino italiano.
Il cane grosso, ovviamente, aveva anche una funzione deterrente ben più efficace di quella del cagnolino, che però aveva il suo perché visto che era capace di avvisare dell’arrivo di un estraneo e quindi di mettere in allarme gli umani.
Per chi vive isolato, questa combinazione è ancora validissima: per chi vive in un quartiere residenziale molto popolato, al contrario, rischia di tramutarsi in un continuo abbaio fastidiosissimo da parte del cane piccolo (con conseguenti discussioni e liti con i vicini), che alla fine non serve più a nulla. Infatti, laddove passano centinaia di persone al giorno, il “cane campanello” ha due scelte: o quella di assuefarsi e quindi di non abbaiare più a nessuno (rara), o quella di abbaiare continuamente a tutti (più frequente, anche perché i cani campanello hanno caratteristiche particolari che non mi metto ad elencare qui, altrimenti non finisco più questo articolo, e che comunque sono a loro volta genetiche e quindi difficili da modificare).
Anche tra i cani di una certa mole, ovviamente, non tutti dispongono delle doti necessarie ad un buon cane da guardia.
A volte queste doti saltano fuori inaspettatamente: la mia meticciona Snowwhite, che per tutta la vita aveva coperto di baci e feste chiunque incontrasse, quando rimasi chiusa fuori di casa e dovetti chiamare i Vigili del Fuoco perché entrassero dalla finestra si rivelò una vera belva e non permise in alcun modo al povero vigile di entrare in casa. Provarono allora ad entrare dalla porta principale “forzandola” con la speciale lastra che hanno in dotazione, e il cane dal di dentro gliela strappò di mano con un morso.
Alla fine io chiamai il cane dalla porta da basso mentre il vigile entrava dalla finestra al piano di sopra: per fortuna sullo stesso piano c’era un pulsante apriporta, che lui fece in tempo a premere permettendomi di entrare in casa prima che la Snow, che vedendolo dentro già si stava scagliando contro di lui su per le scale, riuscisse a raggiungerlo.
Non appena io fui dentro casa e le dissi “Sono amici, sta’ buona”, la cagna cambiò completamente atteggiamento e dal vigile del fuoco andò, sì, ma per fargli le feste (che lui accolse con piacere, ma anche con un sottile velo di sudore sul volto).
In realtà, dunque, qualsiasi cane dotato di vigilanza, aggressività e combattività può fare “la guardia” in senso lato. Se però si vuole un tipo di guardia ben preciso, che comprenda anche la capacità di discernere tra amici e nemici e la capacità di dosare la propria azione a seconda del comportamento dell’intruso… allora bisogna rivolgersi necessariamente alle razze selezionate per questo.

Ora vediamo quali sono le razze più indicate a questo compito e come le si debba allevare e gestire per ottenere una valida azione di difesa della proprietà.

Diciamo subito che un buon cane da guardia non può essere un cane indiscriminatamente aggressivo: quello si chiama, semmai,  “pericolo pubblico”. Il cane da guardia deve controllare il territorio, valutare chi si avvicina, dissuaderlo dal proseguire il suo avvicinamento e, solo nel caso in cui l’intruso ignori i suoi avvertimenti, passare eventualmente alle vie di fatto.
Questa precisa attitudine ce l’hanno soprattutto i cani da guardiania, selezionati per la custodia delle greggi: quindi più o meno tutti i cane da pastore di tipo molossoide (Pastore del Caucaso, dell’Asia Centrale, di Ciarplanina, di Tatra, il nostro Pastore maremmano-abruzzese eccetera). Ci sono poi i grandi molossi selezionati per svolgere la funzione di veri e propri “guardiani della casa” (come i nostri Mastino napoletano e Cane corso), che non hanno mai avuto nulla a che vedere con le greggi ma sono stati sempre impegnati proprio nella sorveglianza delle abitazioni.
Possono “fare la guardia”, in senso lato, anche le razze da difesa (riesenschnauzer, rottweiler, dobermann e boxer: sono solo queste quattro): ma questi cani, più che la proprietà in se stessa, proteggono l’uomo (non per niente sono appunto cani “da difesa!”) e quindi il loro atteggiamento è diverso. Se il vero cane da guardia è riflessivo e valuta le situazioni prima di intervenire, il cane da difesa normalmente parte “all’attacco” contro chiunque si avvicini al cancello e non si pone neppure il problema di “fermare” l’intruso con la sua imponente presenza. E’, insomma, molto più reattivo.
Lo stesso vale, in media, per i cani da pastore adibiti alla conduzione (pastore tedesco, scozzese, belga eccetera).

Personalmente, dovendo scegliere un vero e proprio “cane da guardia”, mi orienterei per prima cosa verso le razze da “guardia abitativa”: peccato che proprio quelle italiane siano state un po’ troppo pasticciate dall’uomo a fini “bellezzari” (soprattutto il Mastino napoletano) ed oggi risultino, nel loro lavoro, molto meno efficienti che nel passato.
Oggi vediamo, purtroppo, Mastini napoletani al limite della deformità, che magari sanno ancora abbaiare ed avere un buon effetto deterrente (si tratta sempre di 70 kg di cane!), ma ai quali i ladri potrebbero facilmente sfuggire semplicemente scappandosene, perché i cani non ce la fanno neppure più a correre!
Il Cane corso non è stato reso altrettanto handicappato, ma di errori di allevamento ne sono stati commessi a bizzeffe anche lì e la razza non si può, purtroppo, più considerare “in buona salute”.
Lo stesso discorso vale un po’ per tutti i cani che hanno cominciato ad essere apprezzati per la loro bellezza: gli allevatori di cani da show (i “bellezzari”, come vengono chiamati in gergo) si sono messi a selezionare solo l’estetica, perdendo spesso di vista il carattere e  le attitudini. Un modo di allevare che fa rizzare (giustamente) i capelli in testa, ma che in molti casi ha prodotto l’effetto diametralmente opposto, e cioè la tendenza ad allevare cani badando solo al carattere e infischiandosene della morfologia, con la scusa di “mantenere il cane per ciò che è sempre stato nei secoli” (o nei millenni, a seconda della razza) e di preservarlo, appunto, dallo scempio compiuto dai bellezzari. Peccato che il risultato sia stato un ulteriore scempio, e cioè l’allevamento di cani bravissimi nel loro lavoro, ma lontanissimi dallo Standard morfologico e quindi – di fatto – dalla propria razza. Su questo argomento scriverò un articolo a parte, perché credo sia il caso di dedicargli più spazio di quello che sarebbe sensato qui: quindi limitiamoci, per ora, a prendere atto del fatto che una razza dovrebbe sempre essere rappresentata da soggetti tipici, sani e in possesso delle corrette doti caratteriali ed attitudini. Se manca uno dei tre requisiti, manca “un pezzo di cane”.

Detto questo, “corrette attitudini”, nel caso dei cani da guardia, significa anche, in alcuni casi (per esempio proprio quello dei pastori da guardiania), “felicità nel vivere all’aperto e nell’avere a disposizione ampi spazi”.
I cani che per secoli (o millenni) hanno vissuto con le pecore in aperta campagna, rimanendo da soli per la maggior parte del tempo ed avendo con l’uomo solo contatti sporadici, non possono diventare cagnolini da appartamento da un giorno all’altro. Se li si costringe ad assumere questo ruolo, si va contro la loro natura: in una parola,  si manca di rispetto al cane (e pure a tutti gli allevatori che per secoli o millenni hanno lavorato alla sua selezione: ma se di questo può anche fregarcene pochino, del cane ci  deve fregare moltissimo).
In un commento alla prima parte dell’articolo, nella quale sostenevo – e continuo a sostenerlo – che il cane da guardia “funzioni meglio” (oltre che rischiare meno la vita) se viene tenuto dentro casa, ho letto una frase che mi ha fatto saltare sulla sedia, e cioè: “I maremmani tieniteli in camera da letto”.
ARGH!  Ma anche no!!!
Il pastore maremmano-abruzzese fa proprio parte di quella categoria di cani che in casa non si sente assolutamente a suo agio: che ci può stare “per fare un piacere a noi”, ma non certo perché piaccia a lui. Lui sente proprio l’esigenza, l’impulso, la spinta interiore (chiamatela come vi pare) a controllare tutto lo spazio possibile, a tener d’occhio anche a distanza i possibili predatori/malintenzionati che potessero avvicinarsi al loro gregge (anche quando questo “gregge” è composto dai bambini della sua famiglia). Se lo chiudete in uno spazio da cui non possa controllare tutto, lui va letteralmente in paranoia: ed è questo il motivo per cui tutti coloro che tengono i maremmani-abruzzesi in campagna li ritengono i cani più meravigliosi del mondo, mentre chi li tiene in città li trova mordaci, instabili, squilibrati.
Ma non sono squilibrati loro: siamo stati noi a non rispettarne l’indole, la storia, la selezione. E quando si tratta di animali di una certa mole e dal carattere bello “tosto”, a volte capita di “pagar pegno” anche in modo molto sgradevole per queste mancanze di rispetto.
Lo stesso discorso fatto per il maremmano-abruzzese, ovviamente, vale per tutti i cani da guardiania: Caucaso, Asia Centrale, Tatra e via dicendo.

Ma allora avrei detto una cavolata quando ho suggerito di tenere in casa il cane da guardia? Mi sto rimangiando tutto?
Veramente no… perché non mi pare di aver mai detto che in casa ci si deve tenere un pastore del Caucaso. Se ci teniamo un cane da difesa, per esempio, lui sarà felicissimo (anzi, sarebbe infelice se lo lasciassimo fuori).
Il fatto è che – e non mi stancherò MAI di ripeterlo – i cani non sono tutti uguali. Sono 14.000 anni (almeno) che i cani vengono selezionati dall’uomo per compiti diversi, e non è che in cinque minuti possiamo buttar nel cesso 14.000 anni di selezione solo perché ci sembra simpatico tenere il Caucaso in camera da letto.
Ce lo vogliamo tenere, o meglio vogliamo dargli la possibilità di stare “anche” lì? Benissimo: diamogli modo di scegliere.
Basta procurarsi una porta da cani di misura adeguata e far decidere a lui se vorrà stare in casa o in giardino (in alternativa potrei anche dirvi “lasciate la porta aperta, tanto è difficile che qualcuno venga a rompervi le scatole se avete un Caucaso”: ma questo, nel 2012, mi pare un filo eccessivo. Qualcuno potrebbe arrivare, eccome: quindi è molto meglio la porta per cani). Faccio una previsione (facile): nove cani su dieci, tra le razze da guardiania, decideranno di stare fuori, ma sdraiati sulla soglia di casa. In questo modo potranno sorvegliare tutto il sorvegliabile e restare contemporaneamente a contatto con la loro famiglia.
Non sopportate proprio l’idea del cane “in esterni”, perché avete paura degli avvelenamenti o di altri eventi nefasti? E allora prendetevi un dobermann e tenetelo in camera con voi!

Esistono 342 razze diverse di cani: c’è una scelta immane tra taglie, pesi, colori e anche attitudini. Chi è più sensibile verso i pericoli che potrebbe correre un cane da guardia NON è sicuramente obbligato a sceglierne uno che ama vivere fuori: se ne prenda uno che vuole vivere dentro. Magari spalmato dentro al letto, e non solo in camera da letto.
Chi invece pensa che qualche rischio si possa anche far correre al cane, pur di evitare il più possibile i rischi per l’incolumità propria e della propria famiglia, potrà prendersi il Caucaso o l’Asia Centrale  o anche il Maremmano-abruzzese.
E potrà compiere ancora ulteriori scelte: se vuole il cane più riflessivo, che attacca solo qualora pensi che ci sia un effettivo pericolo, meglio il Maremmano Abruzzese (o il Mastino Napoletano). Se vuole un cane più reattivo, che lasci passare ben poco tempo tra l’avviso e l’attacco, meglio i pastori dell’Est (non nel senso di “provenienti dal traffico cagnaro di cuccioli”, ma nel senso di “originari dell’Est europeo”!). Se vuole una via di mezzo tra un “cane campanello” e una “guardia armata”, ovvero un cane che abbai ferocemente a tutti e che abbia però una taglia consistente e tale da poter avere un buon effetto deterrente, allora potrà prendersi un pastore tedesco. E così via.
Le possibilità di scelta sono infinite: basterebbe informarsi davvero sul tipo di cane che si ha in mente, e controllare per benino che corrisponda alla nostra idea di “cane da guardia” (e anche di “cane” in generale”) per evitare ogni problema.
Invece, purtroppo, spesso si sceglie il cane in fotografia (perché “Va’ che bello che è!”) e poi, se le sue attitudini non concidono con le nostre aspettative, si cerca di cambiare il cane anziché adeguarsi alle aspettative. Dopodiché, di solito, succede la stessa cosa che succede alle donne che sposano un uomo notoriamente bastardo inside, convinte di poterlo “cambiare”: si divorzia. Perché “gli uomini non cambiano”, come cantava Mia Martini. Ma i cani nemmeno.
O meglio, possono cambiare “un po’”: perché ci amano  (molto più degli uomini), perché si sforzano di compiacerci e di diventare come li vogliamo (immensamentepiù degli uomini)… ma il loro DNA non può cambiare solo per amore. Proprio come con i mariti, la cosa può funzionare per un po’, ma alla fine la genetica salta fuori comunque.
Quindi, perché cercare di forzarla? Non è meglio scegliere fin dall’inizio il cane più adatto a noi? E’ molto più facile con i cani che con i mariti, eh… perché gli uomini mentono e i cani no.

Nella prima parte avevamo lasciato ancora un argomento in sospeso: quello del modo di allevare/gestire/educare un cane da guardia. Abbiamo già detto che l’attitudine alla guardia è genetica, e che quindi non si può “insegnare” ad un cane ad essere territoriale o vigile: ma si possono migliorare, “allenare”, per così dire, queste attitudini?
La mia risposta è “ni”. Ovvero, potere si può, ma a mio avviso non ne vale la pena: perché se il cane le ha, le tirerà fuori comunque al momento giusto.
Quello che si può fare è cercare di non avere “cani killer” che provano a mangiarsi chiunque, anziché valutare casi e situazioni: e il modo migliore per ottenere cani che ragionano è, innanzitutto, quello di socializzare i cuccioli.
Molti appassionati di cani da guardia (compresi alcuni allevatori) credono ancora che il cane da guardia debba essere il classico “cane di un solo padrone”, che detesta tutto il resto del mondo: quindi suggeriscono di non socializzare i cuccioli con nessuno che non appartenga alla famiglia (e nei casi estremi, addirittura di fargli avere esperienze negative con gli estranei). Ma in questo modo: a) non si avrà mai un cane capace di distinguere tra amici e nemici, né di valutare e ragionare su ciò che è giusto fare: si avrà invece una bomba innescata, che personalmente non vorrei per nessun motivo al mondo; b) si avrà un cane che ha timore dell’uomo, perché gli animali (tutti, compreso l’uomo) hanno paura di ciò che non conoscono e, se attaccano, attaccano per difendere se stessi prima ancora che la loro famiglia/casa/gregge o quel che sia. Il che si traduce, molto spesso, in cani che devono essere tenuti alla catena per essere davvero efficaci: perché potendo scegliere, vedendo arrivare un estraneo, non gli vanno incontro con fare minaccioso ma scappano. Penso che chiunque di voi abbia avuto modo di incontrare qualche esemplare della categoria “finché il cancello è chiuso sembro una belva, appena il cancello si apre vado a nascondermi dietro le gambe di papà”.

Ovviamente la cosa diventa meno probabile se si sceglie una vera razza da guardia: in questo caso il cane potrà vincere il timore e la diffidenza e fare ugualmente il suo lavoro.
Però non vedo, sinceramente, il motivo per costringere un cane a lottare ogni volta con se stesso, quando una buona socializzazione (e diverse esperienze successive verso tutti i possibili “casi della vita”) possono dargli sicurezza e autostima, nonché metterlo in grado di pensare: “Tu chi saresti? Aspetta un po’ che valuto i tuoi atteggiamenti, la tua faccia, il linguaggio del tuo corpo…e poi decido se è il caso di fermarti semplicemente lì dove sei finché non arrivano i miei umani, oppure se posso morderti una chiappa. Intanto sappi che non mi fai paura, e che quello intimorito devi essere tu“.
Scordatevi la leggenda metropolitana (ahimé, diffusissima) secondo cui un cane socializzato non può essere un buon cane da guardia: è esattamente il contrario! Un cane che conosce il mondo, che conosce le persone e sa distinguere situazioni “normali” da situazioni “a rischio” sarà sempre estremamente più efficace di quello che ha paura di tutto e di tutti.
L’esempio della mia Snowwhite col vigile del fuoco, fatto nella prima parte dell’articolo, credo spieghi perfettamente il concetto: una cagna stra-socializzata, amica di tutti e giocherellona con tutti, nel momento in cui ha ritenuto che ci fosse un pericolo si è letteralmente trasformata. Se vogliamo portare avanti lo stesso esempio… nel caso in cui non fosse stata socializzata, sicura di sè e delle sua possibilità,  la Snow avrebbe potuto fare la stessa identica sceneggiata, ma una volta che il vigile fosse entrato in casa si sarebbe probabilmente rintanata in un angolo a ringhiare tremando di rabbia impotente.
Quindi, per l’amor del cielo: socializzate sempre TUTTI i cuccioli. Anzi, i futuri cani da guardia socializzateli ancora di più, perché solo così impareranno a discernere tra le varie situazioni.

Infine: uno dei motivi per cui spesso si cade nella trappola del “cane che non deve mai essere toccato/accarezzato” è l’aspettativa esagerata degli umani, che pretendono che un cane di nove-dieci mesi si comporti già come un perfetto guardiano.
Ma santa pupazza… se aveste bisogno di un body guard a DUE zampe e non a quattro, scegliereste forse un ragazzino di tredici anni?!?
Il cane deve crescere, maturare, completarsi prima di cominciare a svolgere i suoi compiti all’interno del suo branco/famiglia: e siccome i molossoidi sono proprio tra i cani che maturano più lentamente, ci vorranno almeno due anni e mezzo (più facilmente tre) per poter valutare davvero le  loro capacità.
Se avete fretta, compratevi una pistola: ma non rovinate i cuccioli pretendendo performance che non sono ancora in grado di darvi e non cercate scorciatoie inutili o addirittura controproducenti.

Valeria Rossi

fonte: tipresentoilcane.com

Sapevi che devi denunciare la tartaruga di terra al CITES?

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Molti di noi hanno una tartaruga in giardino, ma pochi sanno che dal 1992 è obbligatorio denunciarla al Corpo Forestale: i dettagli della normativa.

La legge 150/92 ha reso obbligatorio denunciare il possesso di tutti gli esemplari di Testudo Hermanni (la nostra comune tartaruga di terra) agli uffici del Corpo forestale dello Stato-Servizio CITES e il termine ultimo per la denuncia era il 31 dicembre 1995. Purtroppo, chi non ha denunciato i propri esemplari entro il 31/12/1995 non può sanare la propria situazione e rischia una sanzione e denunciare la testuggine solo ora equivale ad autodenunciarsi. In ogni caso, evitate di abbandonare gli esemplari non denunciati, perchè oltre a rischiare la morte, potrebbero “inquinare geneticamente” le specie locali.

Tutte le nascite in cattività o decessi degli esemplari devono essere denunciati entro 10 giorni dall’evento. A tal fine è necessario inviare la denuncia di nascita per raccomandata A/R al Corpo forestale dello Stato – Servizio CITES della vostra provincia e regione. Ovviamente, potete denunciare la nascita di un piccolo solo se i genitori sono a loro volta denunciati; in caso contrario non potete sanare la situazione nè dei genitori, nè del piccolo. Per analogia, dovete denunciare la morte di un esemplare solo se questo era stato a suo tempo denunciato.

E nel caso delle compravendite? Dal 2008 non è più possibile effettuare cessioni di tartarughe, anche gratuite, in assenza del certificato CITES. Se volete vendere o cedere gli esemplari nati, dovete fare istanza al Servizio Certificazione CITES per ottenere un’apposita certificazione, specificando gli esemplari da cedere: un funzionario effettuerà una visita per accertare la regolare posizione, il numero degli animali e la corretta stabulazione degli stessi, farà una relazione sul metodo di allevamento e poi la commissione scientifica valuterà il tutto, rilasciando l’eventuale parere positivo.

Per le testuggini europee è possibile l’applicazione di un microchip che porta un codice di lettere e numeri da inserire sotto la pelle o nei muscoli, ma la legge pone un limite di dimensioni per questa procedura, pertanto se la tartaruga ha meno di 4 anni e il carapace è lungo meno di 10cm ci si affida a delle fotografie di buona qualità del carapace e del piastrone, che consentono di identificare i singoli esemplari in modo univoco. Fate attenzione quindi a non acquistare tartarughe da allevatori che non vi consegnano i documenti, perchè non potendo regolarizzare la loro detenzione rischiereste sempre pesanti sanzioni. Inoltre, se si esemplari adulti, è facile che siano animali prelevati in natura e vi rendereste complici del bracconaggio!

Se durante le vostre escursioni trovate una testuggine non catturatela, ma lasciatela in libertà, limitatevi eventualmente ad allontanarla dalla strada, perchè non corra rischi con le automobili. Se la trovate in una zona verde, portarla a casa equivale a contribuire all’estinzione delle Testudo hermanni in natura. Inoltre, un animale nato e vissuto in natura potrebbe avere difficoltà ad adattarsi alla cattività, soprattutto se siete allevatori inesperti, e non potreste mai regolarizzarne la detenzione rimanendo sempre a rischio di pesanti sanzioni. Se invece la trovate in una zona urbanizzata, cercate nei dintorni da quale giardino potrebbe essere fuggita: di certo non avrà percorso molta strada. Anche in questo caso, portando a casa la tartaruga non avreste possibilità di regolarizzarla e sareste sempre a rischio di pesanti sanzioni.

fonte: petpassion.tv

Cos’è il benessere animale?


Animali della Fattoria
benessere animale

L’Unione europea riconosce che gli animali sono esseri senzienti e meritevoli di protezione. La normativa comunitaria stabilisce requisiti minimi volti a preservare gli animali da qualsiasi sofferenza inutile durante tre fasi principali: l’allevamento, il trasporto e l’abbattimento. Inoltre sono contemplate altre questioni, quali la sperimentazione animale ed il commercio di pellicce. Il piano d’azione 2006-2010 delinea le principali componenti dell’intervento europeo in questo settore, sia all’interno dell’Unione che oltre le sue frontiere.

Il concetto di benessere animale può risultare difficile da capire perchè non ha una sola definizione e può significare diverse cose per persone diverse. Per benessere si intende generalmente “la qualità della vita di un animale come viene percepita da un singolo animale”.

Il benessere animale nel suo complesso non include solo la salute e il benessere fisico dell’animale ma anche il suo benessere psicologico e la capacità di esprimere i suoi comportamenti naturali.

Il benessere può essere considerate rispettato se gli animali sono in buona salute, si sentono bene e sono liberi dal dolore, come viene descritto dalle “Cinque libertà”.

Le cinque libertà

        1. Prima libertà: dalla fame, dalla sete e dalla cattiva nutrizione
          garantendo all’animale l’accesso ad acqua fresca e ad una dieta che lo mantenga in piena salute
        2. Seconda libertà: di avere un ambiente fisico adeguato
          dando all’animale un ambiente che includa riparo e una comoda area di riposo
        3. Terza libertà: dal dolore, dalle ferite, dalle malattie
          prevenendole o diagnosticandole/trattandole rapidamente
        4. Quarta libertà: di manifestare le proprie caratteristiche comportamentali specie-specifiche
          fornendo all’animale spazio sufficiente, strutture adeguate e la compagnia di animali della propria specie
        5. Quinta libertà: dalla paura e dal disagio
          assicurando all’ animale condizioni e cura che non comportino sofferenza psicologica.

Si può dunque asserire il buono stato di benessere animale allorché l’animale realizzi buone condizioni fisiche e mentali; in tal senso, ad ogni animale devono soprattutto essere evitate inutili sofferenze. E’ inoltre necessario che sia garantito il benessere in allevamento, durante il trasporto, nelle fiere, mercati, esposizioni o al macello. Ciò implica la possibilità di stimarlo attraverso delle valutazioni che siano quanto più possibile oggettive.
Le cosiddette “cinque libertà” (Brambell Report, 1968) costituiscono dei criteri di riferimento per la formulazione di tale giudizio: esse permettono di perseguire il rispetto dell’animale allevato, migliorandone le condizioni di vita e, contestualmente, di salvaguardare ed implementare le scelte industriali nel settore zootecnico.

http://www.ciwf.it/

E alla fine arriva Ciccio, il nostro maiale.

maiale allevato a casa

Tanti, ma non troppi anni fa, chi aveva una corte, un’aia, uno spazio all’aperto, allevava a casa un maiale ad uso alimentare, per il consumo familiare. In Romania, ancora oggi, ogni famiglia di campagna ha il suo maiale che viene macellato nel periodo natalizio, spesso con l’aiuto del parente o del vicino di casa che a sua volta contraccambierà il favore facendosi dare una mano al momento della macellazione del suo maiale. La macellazione del maiale è sempre stata una giornata di festa, di condivisione, di aiuto reciproco. L’aria frizzante di dicembre, il fuoco, l’odore del fumo, pane, salame e del buon vino accompagnano da sempre questo giorno unico.

io con CioccioChi lo avrebbe detto…dopo tanti anni, ho deciso di riprendere il maiale anch’io! In passato avevo già fatto questa esperienza e come tradizione vuole, l’allevamento casalingo del suino a scopo alimentare è facile, biologico e di grande resa. Prima di tutto ho sentito il servizio asl veterinario della  mia zona per verificare la fattibilità. Dopo un sopralluogo del veterinario incaricato insieme ad un componente per il benessere animale, ho avuto l’ok e il mio numero di stalla utile anche per l’acquisto successivo delle pecore e delle caprette.

La sistemazione per Grugru è stata facile, abbiamo recintato circa 20mq di terreno su cui è presente un piccolo riparo in muratura. Per il recinto abbiamo utilizzato pali di legno, filo di ferro tra un palo e l’altro e del telo verde per vivaisti. All’interno abbiamo fatto passare tramite appositi anelli il nastro elettrificato. Il primo giro di nastro è a 25 cm dal terreno, IMG_7789l’altro a 50 cm. Il recinto elettrico è fondamentale per contenere un suino. Hanno una forza sul grugno pazzesca e amano tirare su col muso qualsiasi cosa anche la più pesante, come se fosse un fuscello leggero leggero…

La cassetta che fornisce l’impulso elettrico sta al di fuori, accanto al cancelletto di entrata ricavato da una pedana per pallet. Eravamo consapevoli del fatto che Ciccio avrebbe presto “arato” tutto il terreno presente per cui abbiamo fatto particolare attenzione a interrare e cementare la mangiatoia e la beverina ricavati entrambi da 2 vecchi lavandini. All’interno del riparo, provvisto di pavimento in cemento abbiamo posto abbondante paglia.

A Settembre siamo andati a prenotarlo presso un allevamento intensivo. L’allevatore è stato coscienzioso, preparato e disponibile. Lo ha tenuto per una settimana diviso dagli altri, lo IMG_7790ha sverminato e ha verificato che fosse in perfetta salute. Ci ha regalato mezzo sacco di mangime da mischiare gradualmente con quello fornito a casa. Ci ha raccomandato di tenerlo d’occhio perchè i primi giorni, i suinetti si sentono soli e non mangiano. Ci ha regalato anche un vermifugo da somministrargli qualche tempo prima della macellazione. Siccome lo prendevamo per settembre, ci ha consigliato un peso vivo di almeno una quarantina di chili in modo da essere sufficientemente grande nel periodo del freddo intenso e così abbiamo fatto. Ciccio pesa 43 kili e con 120 euro abbiamo iniziato questa esperienza.  Il trasporto è dovuto avvenire con mezzo idoneo e autorizzato al trasporto animale insieme ai documenti di cessione (modello IV) con tutti i dati dell’animale, dell’allevamento e del servizio veterinario di appartenenza. Questi documenti sono stati prontamente trasmessi al nostro servizio asl di zona collegati al nostro numero stalla. I primi 2 giorni Ciccio si è fatto delle grandi dormite nel suo riparo, letteralmente sommerso IMG_7787dalla paglia. Dormiva così profondamente che sembrava morto… poi ha iniziato ad assaggiare gli avanzi di cucina, gusti diversi, hanno risvegliato il desiderio atavico di nutrirsi… Gli diamo da mangiare due volte al giorno, mattina e sera. Si accontenta davvero di poco: avanzi di cucina come pasta, verdure cotte, minestroni, bucce di mela, pane duro, grissini, frutta bacata, ecc… Il nostro panettiere ci tiene da parte il pane avanzato che ci vende a 50 cent il kilo. E’ una ottima fonte di carboidrati a basso prezzo. Al consorzio agrario invece compriamo un saccone di fioccato misto di cereali che lo fanno letteralmente impazzire! Tutti i prodotti della serra e dell’orto non più idonei al consumo casalingo finiscono al nostro maiale di casa. Pomodori, zucchine, cetrioli, peperoni, melanzane ormai vecchiotte..

IMG_7782Tutto funziona a meraviglia. Ha scelto come “bagno” un punto opposto a dove ha l’acqua e la mangiatoia, altra dimostrazione di intelligenza. Ciccio è passato da un allevamento intensivo ad una vacanza! Passa le sue giornate a mangiare, a prendere il sole, a dormire, a sgrufolare allegramente nel terreno. Cresce a vista d’occhio. L’allevatore dice che questa razza, la Large White, ha una velocità di crescita impressionante, circa 1,7 kg al giorno… Una “macchina” da ingrasso, e si vede! Il prossimo anno ho intenzione di allevare un maiale di Cinta Senese, razza antichissima dalla qualità gastronomica elevatissima. Il fatto è che essendo un animale di razza arcaica, cresce molto meno velocemente del White quindi servono molti più mesi per portarlo ad un adeguato peso di macellazione. In cambio di qualche salsiccia e un arrosto, la pasticceria vicina ci regala scarti di pizzette, pasticcini, tortine, salatini di vario tipo e genere di cui Ciccio è ghiotto. Siamo nel 2014 e sono felice di poter vivere ancora questa esperienza, so cosa metteremo in tavola e so che la carne e i suoi derivati non avranno lo stesso sapore di quella comprata. Spero che queste informazioni possano servire ad altre famiglie come la nostra che cercano, ancor oggi, il biologico, la genuinità e gli antichi sapori di una volta!

Federico Lavanche

Aggiornamento al 29-12-2014

maiale ciccioNon è stata una buona idea lasciare al maiale tutto quello spazio di terreno perchè in poco tempo, con il suo grosso grugno, ha smosso tutto il terreno che con le piogge si è inzuppato all’inverosimile. Per fortuna il terreno ha una leggera pendenza che ha consentito il naturale deflusso delle acque. Il prossimo anno, di fronte alla apertura del suo ricovero, faremo un battuto di cemento recintato con pali di ferro.

Il carattere di Ciccio è cambiato radicalmente, non cerca più i grattini che gli regalevamo al cambio dell’acqua o al momento del pasto. Ora, l’unica cosa che cerca è il cibo. E’ diventato una “macchina da ingrasso”. Dorme, mangia, beve, sgrufola. E’ arrivato il primo freddo e gli ho messo abbondante paglia nel ricovero, cosa che ha gradito moltissimo.