Cane da Guardia

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cane aggressivoNegli ultimi giorni, per un motivo o per l’altro,  si è parlato molto di cani da guardia, toccando diversi argomenti e ponendosi diverse domande.
Per esempio: ha ancora senso, nel 2014, utilizzare i cani per proteggere una proprietà? Il cane da guardia deve vivere in giardino o in casa? C’è modo di addestrare un cane alla guardia? Se un cane da guardia ferisce – o peggio, uccide – un ladro, il proprietario può incorrere in sanzioni o addirittura essere accusato di omicidio?
Provo a rispondere esprimendo il mio personale punto di vista almeno per quanto riguarda le prime domande, mentre per quelle relative alle eventuali azioni legali è davvero difficile trovare il bandolo della matassa.

Cominciamo dall’inizio: il cane da guardia ha ancora senso, in questo mondo ipertecnologico che mette ormai a disposizione sistemi d’allarme sofisticatissimi?
Stando a quel che si sente in giro, direi proprio di sì: non tanto un singolo cane (facilmente neutralizzabile con vari metodi più o meno cruenti) quanto una coppia, che ovviamente dev’essere addestrata a rifiutare il cibo. E questo, già ve lo anticipo anche se ci torneremo dopo, è l’unico vero “addestramento” che si può impartire a un cane da guardia.
E’ un dato di fatto che le abitazioni protette da più cani solitamente vengono lasciate in pace dai ladri: un’amica che alleva rottweiler mi raccontava, tempo fa, che nel suo quartiere residenziale tutte le villette erano state visitate dai ladri, comprese quelle dotate di allarmi vari… ma da lei non c’erano mai andati, chissà come mai! E di racconti come questo ne ho sentiti diversi: io stessa, che quando allevavo vivevo letteralmente in mezzo a un bosco, non ho mai avuto problemi in questo senso, a differenza dei miei “lontani di casa”, come li chiamavo io perché proprio “vicini” non erano: stavano a quattrocento metri da casa mia. Però vivevamo nello stesso bosco, e da loro a rubare ci sono andati: da me non ci ha mai provato nessuno).
Ovviamente, però, un intero allevamento di cani non equivale a un cane singolo: e purtroppo ogni tanto si legge sui giornali di cani (singoli) messi fuori combattimento, o uccisi dal malintenzionato che voleva entrare in una proprietà.
Si legge ogni tanto,  ho detto: ed è proprio così.
Se si paragonano le notizie generiche di furti con quelle in cui viene riferita la presenza e la neutralizzazione (in un modo o nell’altro) di un cane da guardia, le prime battono le seconde mille a uno.

C’è da dire, però, che spesso l’eventuale presenza di un cane non viene neppure citata. Credo abbiate visto tutti, in questi giorni, le immagini relative alla villa di Sergio Zavoli, l’anziano giornalista malmenato e rapinato da quattro malviventi: non si è parlato praticamente d’altro e la TV ha mostrato la villa da ogni possibile angolazione. Bene, sul cancello di quella villa c’è un bel cartellone rosso di “Attenti al cane”… ma nessuno vi ha fatto cenno.
C’era o non c’era un cane da guardia? E se c’era, che fine ha fatto?
Non si sa.
Si sa, però, che “i banditi hanno atteso dall’esterno il rientro a casa dei domestici, per poi minacciarli ed entrare con loro probabilmente da una porta secondaria“. Quindi, anche ammesso che un cane ci fosse stato, potrebbe essere rimasto del tutto tranquillo vedendo i domestici, ovvero persone a lui ben conosciute.
Una cosa è certa: una banda di professionisti, se vuole entrare in casa di qualcuno, nove volte su dieci ci entra.
Però è anche vero che la banda di professionisti non prende certo di mira il primo che capita: e siccome VIP e persone assai benestanti non sono certo la norma, alla “persona normale” capita molto più spesso di doversi difendere dalla microcriminalità, dal drogato, dallo sbandato, dal rubagalline (che è comunque un delinquente e che può essere pericolosissimo, vista l’escalation di violenza gratuita a cui si sta assistendo negli ultimi anni).
Nei confronti del delinquente comune, a mio avviso, il cane da guardia serve eccome (meglio se in coppia): ma serve innanzitutto da deterrente, perché se il ladro entra lo stesso (non essendo, presumibilmente, un pazzo scriteriato) significa che ha già in mente un modo per liberarsi del cane. Magari uccidendolo.
Ora: vale la pena di rischiare la vita del proprio cane pur di non ricevere visite sgradite?
Non posso rispondere,  perché la risposta può essere solo soggettiva.
Per qualcuno il gioco varrà la candela, per qualcun altro no (se vi può interessare, io faccio parte del secondo gruppo): dipende dalla sensibilità di ognuno e dall’affetto che prova per il cane.

La mia scelta personale, però, è sempre stata quella di tenere il cane da guardia non in giardino, ma dentro casa: anche perché, sinceramente, del fatto che mi possano fregare le rose, i tulipani o la sedia a sdraio nun ne me po’ frega’ de meno. E in giardino (quando ne ho avuto uno), altro non ho mai tenuto.
Le cose di valore (magari poche, visto che non sono mai stata né VIP, né  ricca) le ho sempre tenute in casa, come penso faccia la maggior parte della gente (compresi quelli che VIP o ricconi sono davvero): e come logica conseguenza, ho sempre tenuto in casa anche il cane.
Anche perché, se il cane sta dentro casa, diventa decisamente più complicato, per il ladro, provare a neutralizzarlo. Primo, perché si mette ad abbaiare e sveglia i proprietari (che fanno in tempo a chiamare la polizia prima che il ladro abbia potuto forzare la porta); secondo, perché entrare da una porta non è come entrare in un giardino, dove ci sono ampi spazi per muoversi. Se devi passare da quel mezzo metro lì, e dietro a quel mezzo metro c’è un cane incazzato, non è che hai molto da inventarti: o gli spari – ma così svegli tutto il paese, oltre ai padroni di casa – oppure è meglio che lasci perdere.
Certo, in questo caso il cane non è più tanto un deterrente, quanto un’arma vera e propria: gli incontri, se ci sono, sono ravvicinati e il ladro può beccarsi un bel morso.
Nel qual caso, che succede?
Ho provato a cercare notizie in rete, ma si trova ben poco e quel poco non è troppo chiaro.
Una cosa certa è che, nel caso del cane tenuto in giardino, devono essere sempre presenti cartelli molto espliciti (il che significa “comprensibili anche per chi non sapesse leggere”, quindi con scritte e figure esplicative) che indichino la presenza del cane da guardia. Un’altra cosa certa è che il proprietario del cane finirà sempre e comunque per essere indagato, qualora il malvivente subisca delle lesioni, e che il cane verrà comunque sequestrato e sottoposto ai controlli sanitari del caso.
Dopodiché, a quanto sono riuscita a capire, c’è sempre un margine di discrezionalità lasciata ai giudice… ma in base a parametri che dovrebbero essere i seguenti:

a) se il cane si limita a un’aggressione tesa ad allontanare il malintenzionato, causandogli ferite non gravi (che sono quelle con prognosi inferiore a 20 giorni), il proprietario non risponderà ne civilmente ne penalmente;b) se le ferite sono gravi, dipende (e qui interviene la discrezionalità del Giudice): se sono commisurate alla difesa, il proprietario non risponde; se risultano non commisurate alla difesa, il proprietario risponderà per lesioni colpose;c) se il malintenzionato, entrato nella proprietà, viene aggredito e ucciso dal cane, il proprietario risponderà di omicidio colposo oltre al risarcimento dei danni. Se però si potesse provare che il malvivente aveva intenzione di uccidere il proprietario del cane, allora potrebbe configurarsi la legittima difesa.

Sulla carta sembra tutto abbastanza semplice: infatti il concetto base di “legittima difesa”, in Italia, è proprio quello di “difesa commisurata all’offesa”. In pratica,  è legittimo che io faccia a te (o, in questo caso, faccia fare dal cane a te) ciò che tu avresti voluto fare a me. Ma non posso andare oltre.
Se  tu mi hai minacciato a mani nude perché volevi rubarmi il portafoglio e io ti dò un pugno in faccia, è legittima difesa. Se tiro fuori un coltello e ti ammazzo (o se slego il cane e ti ammazza lui), è omicidio.
Se tu mi punti contro una pistola e io slego il cane che ti ammazza, dipende: se si scopre che la pistola era un giocattolo e che non avresti potuto uccidermi, io sono colpevole di omicidio.
Il che è francamente ridicolo, perché non ho mai sentito che qualcuno, minacciato con un’arma, chiedesse al malvivente: “Scusi,  ma quella è vera? E nel caso sia vera, lei avrebbe intenzione di spararmi oppure no? Perché, vede,  senza queste informazioni non so bene se dire al cane di morderle gentilmente una chiappa oppure  di saltarle alla gola…”
La verità è che, in ogni caso, il proprietario di un cane che morde seriamente un ladro verrà indagato e probabilmente processato… dopodiché dipenderà tutto (o quasi) dall’abilità del suo avvocato e da come la vede il Giudice. Sinceramente devo dire che non vorrei mai trovarmi nei panni di un Giudice chiamato a decidere sulle basi di una legge come la nostra: ma siccome le leggi vanno rispettate per come sono, e non per come vorremmo che fossero, bisogna mettere in conto la possibilità che l’azione sacrosanta del nostro cane da guardia, qualora abbia conseguenze serie per il malvivente, potrebbe causarci un sacco di guai.
Questo è un altro buon motivo, a mio avviso, per tenere il cane dentro casa: perché da lì è molto difficile che possa ammazzare qualcuno. Tra le altre cose, non sentendomi una Giustiziera della Notte, sinceramente non credo che sarei affatto felice se il mio cane mandasse qualcuno all’altro mondo. Per carità, non provo neppure particolare simpatia per ladri e delinquenti vari… però la vita, a mio avviso, ha un valore troppo alto per pensare di spegnerne una senza una validissima ragione (che può essere solo quella di salvare la mia).
Se invece il cane, al malvivente, stacca una manina… be’, allora andiamo pure a giocarcela in Tribunale. Ma in quel caso non proverei il minimo senso di colpa, perchè davvero la mia difesa mi sembra assolutamente commisurata all’offesa: se volevi tenerti la manina intera, te ne restavi a casa tua e non provavi a venire a rubare nella mia!

Chiusa la parentesi legislativa, veniamo a quella cinofila. Dal punto di vista cinofilo le domande più frequenti sono: “Il cane da guardia va addestrato?”,  “Qualsiasi cane può essere da guardia, o è meglio rivolgersi a razze specifiche?” e infine: “Il caneda guardia deve essere allevato ed educato in modo diverso dagli altri?”
Le prime due risposte sono semplicissime e veloci.

1 – NO, il cane non si può (né si dovrebbe)  “addestrare alla guardia”:  questa attitudine dev’essere genetica e la si mantiene attraverso la selezione, non con l’addestramento.
E’ possibile, certo, “insegnare” alcune cose al cane da guardia, così come a quello da difesa personale (civile e non sportiva): per esempio a mordere solo in determinate parti del corpo (evitando così, magari, di fargli ammazzare davvero qualcuno), o a restare a distanza tale da non poter essere raggiunto né da eventuali colpi di arma bianca (coltello), né da ipotetiche spruzzate di spray soporiferi (che secondo alcuni sono leggende metropolitane o invenzioni di chi non vuole ammettere di aver lasciato entrare i ladri in casa per pura ingenuità: non so quale sia la verità, non ho mai vissuto personalmente questa esperienza né conosco nessuno che l’abbia vissuta…e di quello che scrivono i giornali mi fido pochissimo!). Sicuramente il cane da guardia DEVE essere addestrato al rifiuto dell’esca… ma tutto questo non ha nulla a che fare con “la guardia” vera e propria: l’impulso a difendere la proprietà, o c’è o non c’è. Non lo si può “costruire” con l’addestramento. Si può costruire, al massimo, un cane squilibrato che attacca le persone a vanvera, ma questo “non” è un cane da guardia: è una bomba innescata e fuori controllo, e chi ama avere un cane di questo genere dovrebbe finirci lui, in galera.

2 – Qualsiasi cane con buona vigilanza può fare la guardia, certamente: però dipende da cosa si intende per “guardia” . Un tempo, in campagna, praticamente tutti tenevano un cane piccolo e nevrile con funzioni di semplice “avvisatore” (quello che lo Scanziani chiamava “cane campanello”) e un cane grosso capace di intervenire nel caso un malintenzionato, ignorando l’avvertimento del “campanello”, si introducesse ugualmente in una proprietà (“guardia armata”). Esempio tipico italiano, il mastino napoletano (o il cane corso) abbinato al volpino italiano.
Il cane grosso, ovviamente, aveva anche una funzione deterrente ben più efficace di quella del cagnolino, che però aveva il suo perché visto che era capace di avvisare dell’arrivo di un estraneo e quindi di mettere in allarme gli umani.
Per chi vive isolato, questa combinazione è ancora validissima: per chi vive in un quartiere residenziale molto popolato, al contrario, rischia di tramutarsi in un continuo abbaio fastidiosissimo da parte del cane piccolo (con conseguenti discussioni e liti con i vicini), che alla fine non serve più a nulla. Infatti, laddove passano centinaia di persone al giorno, il “cane campanello” ha due scelte: o quella di assuefarsi e quindi di non abbaiare più a nessuno (rara), o quella di abbaiare continuamente a tutti (più frequente, anche perché i cani campanello hanno caratteristiche particolari che non mi metto ad elencare qui, altrimenti non finisco più questo articolo, e che comunque sono a loro volta genetiche e quindi difficili da modificare).
Anche tra i cani di una certa mole, ovviamente, non tutti dispongono delle doti necessarie ad un buon cane da guardia.
A volte queste doti saltano fuori inaspettatamente: la mia meticciona Snowwhite, che per tutta la vita aveva coperto di baci e feste chiunque incontrasse, quando rimasi chiusa fuori di casa e dovetti chiamare i Vigili del Fuoco perché entrassero dalla finestra si rivelò una vera belva e non permise in alcun modo al povero vigile di entrare in casa. Provarono allora ad entrare dalla porta principale “forzandola” con la speciale lastra che hanno in dotazione, e il cane dal di dentro gliela strappò di mano con un morso.
Alla fine io chiamai il cane dalla porta da basso mentre il vigile entrava dalla finestra al piano di sopra: per fortuna sullo stesso piano c’era un pulsante apriporta, che lui fece in tempo a premere permettendomi di entrare in casa prima che la Snow, che vedendolo dentro già si stava scagliando contro di lui su per le scale, riuscisse a raggiungerlo.
Non appena io fui dentro casa e le dissi “Sono amici, sta’ buona”, la cagna cambiò completamente atteggiamento e dal vigile del fuoco andò, sì, ma per fargli le feste (che lui accolse con piacere, ma anche con un sottile velo di sudore sul volto).
In realtà, dunque, qualsiasi cane dotato di vigilanza, aggressività e combattività può fare “la guardia” in senso lato. Se però si vuole un tipo di guardia ben preciso, che comprenda anche la capacità di discernere tra amici e nemici e la capacità di dosare la propria azione a seconda del comportamento dell’intruso… allora bisogna rivolgersi necessariamente alle razze selezionate per questo.

Ora vediamo quali sono le razze più indicate a questo compito e come le si debba allevare e gestire per ottenere una valida azione di difesa della proprietà.

Diciamo subito che un buon cane da guardia non può essere un cane indiscriminatamente aggressivo: quello si chiama, semmai,  “pericolo pubblico”. Il cane da guardia deve controllare il territorio, valutare chi si avvicina, dissuaderlo dal proseguire il suo avvicinamento e, solo nel caso in cui l’intruso ignori i suoi avvertimenti, passare eventualmente alle vie di fatto.
Questa precisa attitudine ce l’hanno soprattutto i cani da guardiania, selezionati per la custodia delle greggi: quindi più o meno tutti i cane da pastore di tipo molossoide (Pastore del Caucaso, dell’Asia Centrale, di Ciarplanina, di Tatra, il nostro Pastore maremmano-abruzzese eccetera). Ci sono poi i grandi molossi selezionati per svolgere la funzione di veri e propri “guardiani della casa” (come i nostri Mastino napoletano e Cane corso), che non hanno mai avuto nulla a che vedere con le greggi ma sono stati sempre impegnati proprio nella sorveglianza delle abitazioni.
Possono “fare la guardia”, in senso lato, anche le razze da difesa (riesenschnauzer, rottweiler, dobermann e boxer: sono solo queste quattro): ma questi cani, più che la proprietà in se stessa, proteggono l’uomo (non per niente sono appunto cani “da difesa!”) e quindi il loro atteggiamento è diverso. Se il vero cane da guardia è riflessivo e valuta le situazioni prima di intervenire, il cane da difesa normalmente parte “all’attacco” contro chiunque si avvicini al cancello e non si pone neppure il problema di “fermare” l’intruso con la sua imponente presenza. E’, insomma, molto più reattivo.
Lo stesso vale, in media, per i cani da pastore adibiti alla conduzione (pastore tedesco, scozzese, belga eccetera).

Personalmente, dovendo scegliere un vero e proprio “cane da guardia”, mi orienterei per prima cosa verso le razze da “guardia abitativa”: peccato che proprio quelle italiane siano state un po’ troppo pasticciate dall’uomo a fini “bellezzari” (soprattutto il Mastino napoletano) ed oggi risultino, nel loro lavoro, molto meno efficienti che nel passato.
Oggi vediamo, purtroppo, Mastini napoletani al limite della deformità, che magari sanno ancora abbaiare ed avere un buon effetto deterrente (si tratta sempre di 70 kg di cane!), ma ai quali i ladri potrebbero facilmente sfuggire semplicemente scappandosene, perché i cani non ce la fanno neppure più a correre!
Il Cane corso non è stato reso altrettanto handicappato, ma di errori di allevamento ne sono stati commessi a bizzeffe anche lì e la razza non si può, purtroppo, più considerare “in buona salute”.
Lo stesso discorso vale un po’ per tutti i cani che hanno cominciato ad essere apprezzati per la loro bellezza: gli allevatori di cani da show (i “bellezzari”, come vengono chiamati in gergo) si sono messi a selezionare solo l’estetica, perdendo spesso di vista il carattere e  le attitudini. Un modo di allevare che fa rizzare (giustamente) i capelli in testa, ma che in molti casi ha prodotto l’effetto diametralmente opposto, e cioè la tendenza ad allevare cani badando solo al carattere e infischiandosene della morfologia, con la scusa di “mantenere il cane per ciò che è sempre stato nei secoli” (o nei millenni, a seconda della razza) e di preservarlo, appunto, dallo scempio compiuto dai bellezzari. Peccato che il risultato sia stato un ulteriore scempio, e cioè l’allevamento di cani bravissimi nel loro lavoro, ma lontanissimi dallo Standard morfologico e quindi – di fatto – dalla propria razza. Su questo argomento scriverò un articolo a parte, perché credo sia il caso di dedicargli più spazio di quello che sarebbe sensato qui: quindi limitiamoci, per ora, a prendere atto del fatto che una razza dovrebbe sempre essere rappresentata da soggetti tipici, sani e in possesso delle corrette doti caratteriali ed attitudini. Se manca uno dei tre requisiti, manca “un pezzo di cane”.

Detto questo, “corrette attitudini”, nel caso dei cani da guardia, significa anche, in alcuni casi (per esempio proprio quello dei pastori da guardiania), “felicità nel vivere all’aperto e nell’avere a disposizione ampi spazi”.
I cani che per secoli (o millenni) hanno vissuto con le pecore in aperta campagna, rimanendo da soli per la maggior parte del tempo ed avendo con l’uomo solo contatti sporadici, non possono diventare cagnolini da appartamento da un giorno all’altro. Se li si costringe ad assumere questo ruolo, si va contro la loro natura: in una parola,  si manca di rispetto al cane (e pure a tutti gli allevatori che per secoli o millenni hanno lavorato alla sua selezione: ma se di questo può anche fregarcene pochino, del cane ci  deve fregare moltissimo).
In un commento alla prima parte dell’articolo, nella quale sostenevo – e continuo a sostenerlo – che il cane da guardia “funzioni meglio” (oltre che rischiare meno la vita) se viene tenuto dentro casa, ho letto una frase che mi ha fatto saltare sulla sedia, e cioè: “I maremmani tieniteli in camera da letto”.
ARGH!  Ma anche no!!!
Il pastore maremmano-abruzzese fa proprio parte di quella categoria di cani che in casa non si sente assolutamente a suo agio: che ci può stare “per fare un piacere a noi”, ma non certo perché piaccia a lui. Lui sente proprio l’esigenza, l’impulso, la spinta interiore (chiamatela come vi pare) a controllare tutto lo spazio possibile, a tener d’occhio anche a distanza i possibili predatori/malintenzionati che potessero avvicinarsi al loro gregge (anche quando questo “gregge” è composto dai bambini della sua famiglia). Se lo chiudete in uno spazio da cui non possa controllare tutto, lui va letteralmente in paranoia: ed è questo il motivo per cui tutti coloro che tengono i maremmani-abruzzesi in campagna li ritengono i cani più meravigliosi del mondo, mentre chi li tiene in città li trova mordaci, instabili, squilibrati.
Ma non sono squilibrati loro: siamo stati noi a non rispettarne l’indole, la storia, la selezione. E quando si tratta di animali di una certa mole e dal carattere bello “tosto”, a volte capita di “pagar pegno” anche in modo molto sgradevole per queste mancanze di rispetto.
Lo stesso discorso fatto per il maremmano-abruzzese, ovviamente, vale per tutti i cani da guardiania: Caucaso, Asia Centrale, Tatra e via dicendo.

Ma allora avrei detto una cavolata quando ho suggerito di tenere in casa il cane da guardia? Mi sto rimangiando tutto?
Veramente no… perché non mi pare di aver mai detto che in casa ci si deve tenere un pastore del Caucaso. Se ci teniamo un cane da difesa, per esempio, lui sarà felicissimo (anzi, sarebbe infelice se lo lasciassimo fuori).
Il fatto è che – e non mi stancherò MAI di ripeterlo – i cani non sono tutti uguali. Sono 14.000 anni (almeno) che i cani vengono selezionati dall’uomo per compiti diversi, e non è che in cinque minuti possiamo buttar nel cesso 14.000 anni di selezione solo perché ci sembra simpatico tenere il Caucaso in camera da letto.
Ce lo vogliamo tenere, o meglio vogliamo dargli la possibilità di stare “anche” lì? Benissimo: diamogli modo di scegliere.
Basta procurarsi una porta da cani di misura adeguata e far decidere a lui se vorrà stare in casa o in giardino (in alternativa potrei anche dirvi “lasciate la porta aperta, tanto è difficile che qualcuno venga a rompervi le scatole se avete un Caucaso”: ma questo, nel 2012, mi pare un filo eccessivo. Qualcuno potrebbe arrivare, eccome: quindi è molto meglio la porta per cani). Faccio una previsione (facile): nove cani su dieci, tra le razze da guardiania, decideranno di stare fuori, ma sdraiati sulla soglia di casa. In questo modo potranno sorvegliare tutto il sorvegliabile e restare contemporaneamente a contatto con la loro famiglia.
Non sopportate proprio l’idea del cane “in esterni”, perché avete paura degli avvelenamenti o di altri eventi nefasti? E allora prendetevi un dobermann e tenetelo in camera con voi!

Esistono 342 razze diverse di cani: c’è una scelta immane tra taglie, pesi, colori e anche attitudini. Chi è più sensibile verso i pericoli che potrebbe correre un cane da guardia NON è sicuramente obbligato a sceglierne uno che ama vivere fuori: se ne prenda uno che vuole vivere dentro. Magari spalmato dentro al letto, e non solo in camera da letto.
Chi invece pensa che qualche rischio si possa anche far correre al cane, pur di evitare il più possibile i rischi per l’incolumità propria e della propria famiglia, potrà prendersi il Caucaso o l’Asia Centrale  o anche il Maremmano-abruzzese.
E potrà compiere ancora ulteriori scelte: se vuole il cane più riflessivo, che attacca solo qualora pensi che ci sia un effettivo pericolo, meglio il Maremmano Abruzzese (o il Mastino Napoletano). Se vuole un cane più reattivo, che lasci passare ben poco tempo tra l’avviso e l’attacco, meglio i pastori dell’Est (non nel senso di “provenienti dal traffico cagnaro di cuccioli”, ma nel senso di “originari dell’Est europeo”!). Se vuole una via di mezzo tra un “cane campanello” e una “guardia armata”, ovvero un cane che abbai ferocemente a tutti e che abbia però una taglia consistente e tale da poter avere un buon effetto deterrente, allora potrà prendersi un pastore tedesco. E così via.
Le possibilità di scelta sono infinite: basterebbe informarsi davvero sul tipo di cane che si ha in mente, e controllare per benino che corrisponda alla nostra idea di “cane da guardia” (e anche di “cane” in generale”) per evitare ogni problema.
Invece, purtroppo, spesso si sceglie il cane in fotografia (perché “Va’ che bello che è!”) e poi, se le sue attitudini non concidono con le nostre aspettative, si cerca di cambiare il cane anziché adeguarsi alle aspettative. Dopodiché, di solito, succede la stessa cosa che succede alle donne che sposano un uomo notoriamente bastardo inside, convinte di poterlo “cambiare”: si divorzia. Perché “gli uomini non cambiano”, come cantava Mia Martini. Ma i cani nemmeno.
O meglio, possono cambiare “un po’”: perché ci amano  (molto più degli uomini), perché si sforzano di compiacerci e di diventare come li vogliamo (immensamentepiù degli uomini)… ma il loro DNA non può cambiare solo per amore. Proprio come con i mariti, la cosa può funzionare per un po’, ma alla fine la genetica salta fuori comunque.
Quindi, perché cercare di forzarla? Non è meglio scegliere fin dall’inizio il cane più adatto a noi? E’ molto più facile con i cani che con i mariti, eh… perché gli uomini mentono e i cani no.

Nella prima parte avevamo lasciato ancora un argomento in sospeso: quello del modo di allevare/gestire/educare un cane da guardia. Abbiamo già detto che l’attitudine alla guardia è genetica, e che quindi non si può “insegnare” ad un cane ad essere territoriale o vigile: ma si possono migliorare, “allenare”, per così dire, queste attitudini?
La mia risposta è “ni”. Ovvero, potere si può, ma a mio avviso non ne vale la pena: perché se il cane le ha, le tirerà fuori comunque al momento giusto.
Quello che si può fare è cercare di non avere “cani killer” che provano a mangiarsi chiunque, anziché valutare casi e situazioni: e il modo migliore per ottenere cani che ragionano è, innanzitutto, quello di socializzare i cuccioli.
Molti appassionati di cani da guardia (compresi alcuni allevatori) credono ancora che il cane da guardia debba essere il classico “cane di un solo padrone”, che detesta tutto il resto del mondo: quindi suggeriscono di non socializzare i cuccioli con nessuno che non appartenga alla famiglia (e nei casi estremi, addirittura di fargli avere esperienze negative con gli estranei). Ma in questo modo: a) non si avrà mai un cane capace di distinguere tra amici e nemici, né di valutare e ragionare su ciò che è giusto fare: si avrà invece una bomba innescata, che personalmente non vorrei per nessun motivo al mondo; b) si avrà un cane che ha timore dell’uomo, perché gli animali (tutti, compreso l’uomo) hanno paura di ciò che non conoscono e, se attaccano, attaccano per difendere se stessi prima ancora che la loro famiglia/casa/gregge o quel che sia. Il che si traduce, molto spesso, in cani che devono essere tenuti alla catena per essere davvero efficaci: perché potendo scegliere, vedendo arrivare un estraneo, non gli vanno incontro con fare minaccioso ma scappano. Penso che chiunque di voi abbia avuto modo di incontrare qualche esemplare della categoria “finché il cancello è chiuso sembro una belva, appena il cancello si apre vado a nascondermi dietro le gambe di papà”.

Ovviamente la cosa diventa meno probabile se si sceglie una vera razza da guardia: in questo caso il cane potrà vincere il timore e la diffidenza e fare ugualmente il suo lavoro.
Però non vedo, sinceramente, il motivo per costringere un cane a lottare ogni volta con se stesso, quando una buona socializzazione (e diverse esperienze successive verso tutti i possibili “casi della vita”) possono dargli sicurezza e autostima, nonché metterlo in grado di pensare: “Tu chi saresti? Aspetta un po’ che valuto i tuoi atteggiamenti, la tua faccia, il linguaggio del tuo corpo…e poi decido se è il caso di fermarti semplicemente lì dove sei finché non arrivano i miei umani, oppure se posso morderti una chiappa. Intanto sappi che non mi fai paura, e che quello intimorito devi essere tu“.
Scordatevi la leggenda metropolitana (ahimé, diffusissima) secondo cui un cane socializzato non può essere un buon cane da guardia: è esattamente il contrario! Un cane che conosce il mondo, che conosce le persone e sa distinguere situazioni “normali” da situazioni “a rischio” sarà sempre estremamente più efficace di quello che ha paura di tutto e di tutti.
L’esempio della mia Snowwhite col vigile del fuoco, fatto nella prima parte dell’articolo, credo spieghi perfettamente il concetto: una cagna stra-socializzata, amica di tutti e giocherellona con tutti, nel momento in cui ha ritenuto che ci fosse un pericolo si è letteralmente trasformata. Se vogliamo portare avanti lo stesso esempio… nel caso in cui non fosse stata socializzata, sicura di sè e delle sua possibilità,  la Snow avrebbe potuto fare la stessa identica sceneggiata, ma una volta che il vigile fosse entrato in casa si sarebbe probabilmente rintanata in un angolo a ringhiare tremando di rabbia impotente.
Quindi, per l’amor del cielo: socializzate sempre TUTTI i cuccioli. Anzi, i futuri cani da guardia socializzateli ancora di più, perché solo così impareranno a discernere tra le varie situazioni.

Infine: uno dei motivi per cui spesso si cade nella trappola del “cane che non deve mai essere toccato/accarezzato” è l’aspettativa esagerata degli umani, che pretendono che un cane di nove-dieci mesi si comporti già come un perfetto guardiano.
Ma santa pupazza… se aveste bisogno di un body guard a DUE zampe e non a quattro, scegliereste forse un ragazzino di tredici anni?!?
Il cane deve crescere, maturare, completarsi prima di cominciare a svolgere i suoi compiti all’interno del suo branco/famiglia: e siccome i molossoidi sono proprio tra i cani che maturano più lentamente, ci vorranno almeno due anni e mezzo (più facilmente tre) per poter valutare davvero le  loro capacità.
Se avete fretta, compratevi una pistola: ma non rovinate i cuccioli pretendendo performance che non sono ancora in grado di darvi e non cercate scorciatoie inutili o addirittura controproducenti.

Valeria Rossi

fonte: tipresentoilcane.com

Sapevi che devi denunciare la tartaruga di terra al CITES?

testudo-hermanni-tartaruga-terra
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Molti di noi hanno una tartaruga in giardino, ma pochi sanno che dal 1992 è obbligatorio denunciarla al Corpo Forestale: i dettagli della normativa.

La legge 150/92 ha reso obbligatorio denunciare il possesso di tutti gli esemplari di Testudo Hermanni (la nostra comune tartaruga di terra) agli uffici del Corpo forestale dello Stato-Servizio CITES e il termine ultimo per la denuncia era il 31 dicembre 1995. Purtroppo, chi non ha denunciato i propri esemplari entro il 31/12/1995 non può sanare la propria situazione e rischia una sanzione e denunciare la testuggine solo ora equivale ad autodenunciarsi. In ogni caso, evitate di abbandonare gli esemplari non denunciati, perchè oltre a rischiare la morte, potrebbero “inquinare geneticamente” le specie locali.

Tutte le nascite in cattività o decessi degli esemplari devono essere denunciati entro 10 giorni dall’evento. A tal fine è necessario inviare la denuncia di nascita per raccomandata A/R al Corpo forestale dello Stato – Servizio CITES della vostra provincia e regione. Ovviamente, potete denunciare la nascita di un piccolo solo se i genitori sono a loro volta denunciati; in caso contrario non potete sanare la situazione nè dei genitori, nè del piccolo. Per analogia, dovete denunciare la morte di un esemplare solo se questo era stato a suo tempo denunciato.

E nel caso delle compravendite? Dal 2008 non è più possibile effettuare cessioni di tartarughe, anche gratuite, in assenza del certificato CITES. Se volete vendere o cedere gli esemplari nati, dovete fare istanza al Servizio Certificazione CITES per ottenere un’apposita certificazione, specificando gli esemplari da cedere: un funzionario effettuerà una visita per accertare la regolare posizione, il numero degli animali e la corretta stabulazione degli stessi, farà una relazione sul metodo di allevamento e poi la commissione scientifica valuterà il tutto, rilasciando l’eventuale parere positivo.

Per le testuggini europee è possibile l’applicazione di un microchip che porta un codice di lettere e numeri da inserire sotto la pelle o nei muscoli, ma la legge pone un limite di dimensioni per questa procedura, pertanto se la tartaruga ha meno di 4 anni e il carapace è lungo meno di 10cm ci si affida a delle fotografie di buona qualità del carapace e del piastrone, che consentono di identificare i singoli esemplari in modo univoco. Fate attenzione quindi a non acquistare tartarughe da allevatori che non vi consegnano i documenti, perchè non potendo regolarizzare la loro detenzione rischiereste sempre pesanti sanzioni. Inoltre, se si esemplari adulti, è facile che siano animali prelevati in natura e vi rendereste complici del bracconaggio!

Se durante le vostre escursioni trovate una testuggine non catturatela, ma lasciatela in libertà, limitatevi eventualmente ad allontanarla dalla strada, perchè non corra rischi con le automobili. Se la trovate in una zona verde, portarla a casa equivale a contribuire all’estinzione delle Testudo hermanni in natura. Inoltre, un animale nato e vissuto in natura potrebbe avere difficoltà ad adattarsi alla cattività, soprattutto se siete allevatori inesperti, e non potreste mai regolarizzarne la detenzione rimanendo sempre a rischio di pesanti sanzioni. Se invece la trovate in una zona urbanizzata, cercate nei dintorni da quale giardino potrebbe essere fuggita: di certo non avrà percorso molta strada. Anche in questo caso, portando a casa la tartaruga non avreste possibilità di regolarizzarla e sareste sempre a rischio di pesanti sanzioni.

fonte: petpassion.tv

Cos’è il benessere animale?


Animali della Fattoria
benessere animale

L’Unione europea riconosce che gli animali sono esseri senzienti e meritevoli di protezione. La normativa comunitaria stabilisce requisiti minimi volti a preservare gli animali da qualsiasi sofferenza inutile durante tre fasi principali: l’allevamento, il trasporto e l’abbattimento. Inoltre sono contemplate altre questioni, quali la sperimentazione animale ed il commercio di pellicce. Il piano d’azione 2006-2010 delinea le principali componenti dell’intervento europeo in questo settore, sia all’interno dell’Unione che oltre le sue frontiere.

Il concetto di benessere animale può risultare difficile da capire perchè non ha una sola definizione e può significare diverse cose per persone diverse. Per benessere si intende generalmente “la qualità della vita di un animale come viene percepita da un singolo animale”.

Il benessere animale nel suo complesso non include solo la salute e il benessere fisico dell’animale ma anche il suo benessere psicologico e la capacità di esprimere i suoi comportamenti naturali.

Il benessere può essere considerate rispettato se gli animali sono in buona salute, si sentono bene e sono liberi dal dolore, come viene descritto dalle “Cinque libertà”.

Le cinque libertà

        1. Prima libertà: dalla fame, dalla sete e dalla cattiva nutrizione
          garantendo all’animale l’accesso ad acqua fresca e ad una dieta che lo mantenga in piena salute
        2. Seconda libertà: di avere un ambiente fisico adeguato
          dando all’animale un ambiente che includa riparo e una comoda area di riposo
        3. Terza libertà: dal dolore, dalle ferite, dalle malattie
          prevenendole o diagnosticandole/trattandole rapidamente
        4. Quarta libertà: di manifestare le proprie caratteristiche comportamentali specie-specifiche
          fornendo all’animale spazio sufficiente, strutture adeguate e la compagnia di animali della propria specie
        5. Quinta libertà: dalla paura e dal disagio
          assicurando all’ animale condizioni e cura che non comportino sofferenza psicologica.

Si può dunque asserire il buono stato di benessere animale allorché l’animale realizzi buone condizioni fisiche e mentali; in tal senso, ad ogni animale devono soprattutto essere evitate inutili sofferenze. E’ inoltre necessario che sia garantito il benessere in allevamento, durante il trasporto, nelle fiere, mercati, esposizioni o al macello. Ciò implica la possibilità di stimarlo attraverso delle valutazioni che siano quanto più possibile oggettive.
Le cosiddette “cinque libertà” (Brambell Report, 1968) costituiscono dei criteri di riferimento per la formulazione di tale giudizio: esse permettono di perseguire il rispetto dell’animale allevato, migliorandone le condizioni di vita e, contestualmente, di salvaguardare ed implementare le scelte industriali nel settore zootecnico.

http://www.ciwf.it/

E alla fine arriva Ciccio, il nostro maiale.

maiale allevato a casa

Tanti, ma non troppi anni fa, chi aveva una corte, un’aia, uno spazio all’aperto, allevava a casa un maiale ad uso alimentare, per il consumo familiare. In Romania, ancora oggi, ogni famiglia di campagna ha il suo maiale che viene macellato nel periodo natalizio, spesso con l’aiuto del parente o del vicino di casa che a sua volta contraccambierà il favore facendosi dare una mano al momento della macellazione del suo maiale. La macellazione del maiale è sempre stata una giornata di festa, di condivisione, di aiuto reciproco. L’aria frizzante di dicembre, il fuoco, l’odore del fumo, pane, salame e del buon vino accompagnano da sempre questo giorno unico.

io con CioccioChi lo avrebbe detto…dopo tanti anni, ho deciso di riprendere il maiale anch’io! In passato avevo già fatto questa esperienza e come tradizione vuole, l’allevamento casalingo del suino a scopo alimentare è facile, biologico e di grande resa. Prima di tutto ho sentito il servizio asl veterinario della  mia zona per verificare la fattibilità. Dopo un sopralluogo del veterinario incaricato insieme ad un componente per il benessere animale, ho avuto l’ok e il mio numero di stalla utile anche per l’acquisto successivo delle pecore e delle caprette.

La sistemazione per Grugru è stata facile, abbiamo recintato circa 20mq di terreno su cui è presente un piccolo riparo in muratura. Per il recinto abbiamo utilizzato pali di legno, filo di ferro tra un palo e l’altro e del telo verde per vivaisti. All’interno abbiamo fatto passare tramite appositi anelli il nastro elettrificato. Il primo giro di nastro è a 25 cm dal terreno, IMG_7789l’altro a 50 cm. Il recinto elettrico è fondamentale per contenere un suino. Hanno una forza sul grugno pazzesca e amano tirare su col muso qualsiasi cosa anche la più pesante, come se fosse un fuscello leggero leggero…

La cassetta che fornisce l’impulso elettrico sta al di fuori, accanto al cancelletto di entrata ricavato da una pedana per pallet. Eravamo consapevoli del fatto che Ciccio avrebbe presto “arato” tutto il terreno presente per cui abbiamo fatto particolare attenzione a interrare e cementare la mangiatoia e la beverina ricavati entrambi da 2 vecchi lavandini. All’interno del riparo, provvisto di pavimento in cemento abbiamo posto abbondante paglia.

A Settembre siamo andati a prenotarlo presso un allevamento intensivo. L’allevatore è stato coscienzioso, preparato e disponibile. Lo ha tenuto per una settimana diviso dagli altri, lo IMG_7790ha sverminato e ha verificato che fosse in perfetta salute. Ci ha regalato mezzo sacco di mangime da mischiare gradualmente con quello fornito a casa. Ci ha raccomandato di tenerlo d’occhio perchè i primi giorni, i suinetti si sentono soli e non mangiano. Ci ha regalato anche un vermifugo da somministrargli qualche tempo prima della macellazione. Siccome lo prendevamo per settembre, ci ha consigliato un peso vivo di almeno una quarantina di chili in modo da essere sufficientemente grande nel periodo del freddo intenso e così abbiamo fatto. Ciccio pesa 43 kili e con 120 euro abbiamo iniziato questa esperienza.  Il trasporto è dovuto avvenire con mezzo idoneo e autorizzato al trasporto animale insieme ai documenti di cessione (modello IV) con tutti i dati dell’animale, dell’allevamento e del servizio veterinario di appartenenza. Questi documenti sono stati prontamente trasmessi al nostro servizio asl di zona collegati al nostro numero stalla. I primi 2 giorni Ciccio si è fatto delle grandi dormite nel suo riparo, letteralmente sommerso IMG_7787dalla paglia. Dormiva così profondamente che sembrava morto… poi ha iniziato ad assaggiare gli avanzi di cucina, gusti diversi, hanno risvegliato il desiderio atavico di nutrirsi… Gli diamo da mangiare due volte al giorno, mattina e sera. Si accontenta davvero di poco: avanzi di cucina come pasta, verdure cotte, minestroni, bucce di mela, pane duro, grissini, frutta bacata, ecc… Il nostro panettiere ci tiene da parte il pane avanzato che ci vende a 50 cent il kilo. E’ una ottima fonte di carboidrati a basso prezzo. Al consorzio agrario invece compriamo un saccone di fioccato misto di cereali che lo fanno letteralmente impazzire! Tutti i prodotti della serra e dell’orto non più idonei al consumo casalingo finiscono al nostro maiale di casa. Pomodori, zucchine, cetrioli, peperoni, melanzane ormai vecchiotte..

IMG_7782Tutto funziona a meraviglia. Ha scelto come “bagno” un punto opposto a dove ha l’acqua e la mangiatoia, altra dimostrazione di intelligenza. Ciccio è passato da un allevamento intensivo ad una vacanza! Passa le sue giornate a mangiare, a prendere il sole, a dormire, a sgrufolare allegramente nel terreno. Cresce a vista d’occhio. L’allevatore dice che questa razza, la Large White, ha una velocità di crescita impressionante, circa 1,7 kg al giorno… Una “macchina” da ingrasso, e si vede! Il prossimo anno ho intenzione di allevare un maiale di Cinta Senese, razza antichissima dalla qualità gastronomica elevatissima. Il fatto è che essendo un animale di razza arcaica, cresce molto meno velocemente del White quindi servono molti più mesi per portarlo ad un adeguato peso di macellazione. In cambio di qualche salsiccia e un arrosto, la pasticceria vicina ci regala scarti di pizzette, pasticcini, tortine, salatini di vario tipo e genere di cui Ciccio è ghiotto. Siamo nel 2014 e sono felice di poter vivere ancora questa esperienza, so cosa metteremo in tavola e so che la carne e i suoi derivati non avranno lo stesso sapore di quella comprata. Spero che queste informazioni possano servire ad altre famiglie come la nostra che cercano, ancor oggi, il biologico, la genuinità e gli antichi sapori di una volta!

Federico Lavanche

Aggiornamento al 29-12-2014

maiale ciccioNon è stata una buona idea lasciare al maiale tutto quello spazio di terreno perchè in poco tempo, con il suo grosso grugno, ha smosso tutto il terreno che con le piogge si è inzuppato all’inverosimile. Per fortuna il terreno ha una leggera pendenza che ha consentito il naturale deflusso delle acque. Il prossimo anno, di fronte alla apertura del suo ricovero, faremo un battuto di cemento recintato con pali di ferro.

Il carattere di Ciccio è cambiato radicalmente, non cerca più i grattini che gli regalevamo al cambio dell’acqua o al momento del pasto. Ora, l’unica cosa che cerca è il cibo. E’ diventato una “macchina da ingrasso”. Dorme, mangia, beve, sgrufola. E’ arrivato il primo freddo e gli ho messo abbondante paglia nel ricovero, cosa che ha gradito moltissimo.

Chi siamo – AnimalieAnimali.eu

allevatoreSiamo un gruppo di utenti che ama gli animali in maniera tradizionale. Riconosciamo il fatto che ogni animale, fin dalla antichità, sia stato selezionato ed allevato dall’uomo per le sue specifiche funzioni e attitudini. Il cane è stato addomesticato per accompagnare gli uomini durante le battute di caccia o per difenderli dai predoni o a difesa delle “ville” o delle “corti” o del bestiame.Altri animali, sono stati utilizzati da sempre per le uova, per la carne, per la lana o come animali da soma. Non troviamo nulla di male nel cavalcare un cavallo, a mungere una mucca o a nutrirci di un pollo o a mangiare una fiorentina. Aree di pensiero come “animalismo” o “veganismo” vengono rispettate a patto che non ci vengano imposte. Siamo assolutamente contro ogni tipo di maltrattamento e accanimento, fisico e psicologico su qualsiasi essere vivente. Se anche tu credi nei nostri valori, sei il benvenuto, se così non fosse, internet è pieno di siti di “amanti degli animali“.. facci il piacere, partecipa li…..

Roma, bimba di tre anni muore dopo essere stata azzannata dal pastore tedesco di casa

pastore tedesco25-09-2014

Una bambina di tre anni è morta dopo essere stata azzannata dal suo cane, un pastore tedesco. E’ accaduto ieri sera a Fiano Romano, in provincia di Roma. La bimba è stata morsa al collo, sulle braccia e sulla testa. Portata in gravissime condizioni in ospedale, è morta nella notte. Sul posto i carabinieri. La dinamica – A quanto ricostruito, ieri sera intorno alle 19.30 la bambina era in casa con il papà. Approfittando di un attimo di distrazione del genitore, si è avvicinata al recinto dove c’era il pastore tedesco di 9 anni, regolarmente tenuto nel rispetto delle attuali normative. Il cane l’ha morsa sul collo, rompendole la trachea, sulle braccia e sulla testa. La piccola, italiana di tre anni, è stata trasportata dal 118 in condizioni disperate al policlinico Sant’Andrea dove è arrivata in arresto cardiocorcolatorio. Ricoverata in prognosi riservata, è deceduta nella notte. Sul posto i carabinieri della stazione di Fiano Romano.

Pecora Suffolk

pecora suffolk

La razza di pecore Suffolk, originaria della Gran Bretagna, si caratterizza per l’aspetto imponente,
la rusticità e l’estrema adattabilità al pascolo anche in condizioni di clima inclemente.
Pochi capi (da 2 a 4 esemplari) sono in genere più che sufficienti per tenere «pulita» un’area
incolta di circa un ettaro senza dover ricorrere al decespugliatore

Origine.

Questa speciale razza di pecore è stata ottenuta in Gran Bretagna a metà dell’ Ottocento, incrociando pecore della Contea di Norfolk (Norfolk Homed) con arieti Southdown. Viene allevata in Scozia, Galles, Irlanda, nord-centro e sud Europa, Nord America, Nuova Zelanda. Dalla Southdown ha ereditato la qualità della carne e della lana, dalla Norfolk Homed la rusticità. Ottima razza da carne e ottima pascolatrice, da vari anni è stata importata anche in Italia centro settentrionale per incroci con razze locali e per l’allevamento per la produzione di agnelli pesanti.

Caratteristiche.

pecora suffolk 2Le Suffolk mangiano moltissima erba, hanno una taglia molto grande, il vello spesso e bianco, la testa nera e gli arti nudi e neri, non hanno corna, sono da carne e non producono latte. Il tronco è cilindrico e voluminoso. I maschi raggiungono il peso da 120 a 140 kg ed oltre , le femmine da 75 a 90 kg . Hanno un’ ottima fecondità, con grande capacità di allattamento e quindi l’accrescimento degli agnelli è molto rapido: ad appena 70 giorni di vita possono superare i 30 kg di peso. La loro carne è assai apprezzata,magra e molto digeribile.
Le pecore Suffolk hanno un aspetto bello e imponente, sono molto docili, tanto che si avvicinano alle persone, piacciono specialmente ai bambini, poiché vengono a prendere il mangime dalle loro mani.
Sono molto resistenti, vivono sempre all’aperto anche in inverno. Non temono le basse temperature, anche quando piove o nevica raramente si riparano. Soffrono nelle estati molto calde, per questo è bene che nei loro recinti ci siano delle piante che facciano ombra e, naturalmente, devono avere sempre buona acqua a disposizione.

In Italia.

Il maggior numero di capi Suffolk si trova nell’italia centro settentrionale, in special modo in Emilia Romagna sono dislocati parecchi allevamenti con una consistenza di circa 2.700 capi. La Toscana è al secondo posto con circa 340 capi ma al primo posto per l’allevamento in selezione di riproduttori di altissima qualità di razza Suffolk. In particolare nella Vallata del Mugello, in provincia di Firenze, si trovano oltre il 95% dei capi di tutta la regione.

Tosatura

come-tosare-le-pecore (2)È noto che la tosatura degli ovini avviene, in generale, nello stesso periodo per tutte le razze. Nel caso della pecora Suffolk, è da considerare che questo esemplare patisce le afose giornate estive e quindi dovrete comportarvi di conseguenza. Detto questo dovrete effettuare la tosatura delle vostre pecore all’inizio della primavera, in particolare verso la fine di Marzo e l’inizio di Aprile. All’occorrenza potreste andare addirittura incontro alla necessità di effettuare anche due tosature per anno, nel caso in cui le temperature si dovessero assestare per lunghi periodi verso i 30 gradi.Dunque a seconda delle temperature, mettete in preventivo la possibilità di effettuate la seconda tosatura durante come-tosare-le-pecorel’estate, nel periodo di Luglio. Badate che la lana sia molto asciutta, quindi possibilmente procedete alla tosatura oltre metà mattinata, non prima poiché la lana potrebbe risultare umida per la brina notturna.È consigliabile, radunare le pecore in una stanza coperta, almeno il pomeriggio prima della rasatura, in maniera da proteggerle dalla brina notturna. Per effettuare la rasatura, vi consiglio sia le tipiche forbici da tosatura oppure le pratiche macchinette elettriche, facilmente acquistabili sul mercato.Procedete alla tosatura tenendo fermo l’animale con una mano, mentre con l’altra impugnate le forbici o la macchinetta elettrica. Iniziate a tosare la pancia della pecora, e in successione passate agli arti inferiori, al dorso e infine agli arti superiori.

Manuale Allevamento Suffolk PDF (da leggere!)manuale-suffolk-1

Anatra da carne – anatra Pechino

pechino-grande

L’anatra Pechino è la razza più tipica da carne. Precoce, ben sviluppata, è perfettamente adatta per la produzione di carne.
L’origine è orientale, importata probabilmente dalla Cina, ma l’attuale razza ha subito l’influenza della selezione operata intorno al 1870 in Belgio. Da oltre un secolo è allevata anche nel nostro paese.
È un’anatra con forme massicce e portamento rilevato per cui l’asse centrale forma, rispetto all’orizzonte, un angolo di circa 70°. La sua andatura diritta è spontanea e permanente conferendo alla Pechino un aspetto da pinguino. Il becco è breve, largo e diritto di colore arancio vivace e uniforme. Le zampe sono forti e diritte di colore arancio.
Il piumaggio, di colore bianco, è abbondante e fitto con grande quantità di piumino.
Il maschio adulto raggiunge il peso di circa 4,00 kg; il peso della femmina è leggermente inferiore: 3,500 Kg..
E’ un’anatra molto rustica che non vola e si adatta bene a qualsiasi tipo di alimentazione. Il suo allevamento non richiede la presenza di acqua per la produzione di carne. Nell’allevamento dei riproduttori la presenza di acqua favorisce una maggiore fecondità delle uova.
Ha una buona produzione di uova, a guscio bianco, arrivando a deporre circa 130-150 uova e più se soggette ad accurata selezione.
È una razza prevalentemente da carne. Gli anatroccoli sono molto precoci: a otto settimane pesano già circa 2,5-3,00 Kg. mentre a 11 settimane superano di molto i 4,00 Kg.
Se allevata in purezza produce carni abbastanza grasse. Data la sua notevole precocità l’anatra Pechino viene utilizzata, come linea femminile, incrociata con maschi di anatre rustiche ottenendo carni di maggiore qualità e più magre. La femmina di Pechino viene anche incrociata con maschi di anatra muta (di Barberia) per la produzione dei Mulard che sono degli ottimi ibridi (sterili) in grado di produrre carni di qualità pregiata.

fonte: biozootec.it

Capra camosciata delle Alpi

camosciata delle alpi

Federico e capretteFin da bambino, grazie all’amore per gli animali trasmesso da mia madre, ho avuto a che fare con caprette tibetane e saanen che producevano una discreta quantità di latte per il fabbisogno familiare. Vivendo in Piemonte, ho avuto modo di avvicinarmi ad una razza di capra molto bella e rustica che proviene dei monti Svizzeri: la capra camosciata delle Alpi. E’ una capretta di dimensioni medio/grandi, curiosa e domestica, adatta sia per la pianura che in montagna. E’ una grande produttrice di latte a tal punto che durante la lattazione, le primipare ne producono in media 300 litri, le pluripare fino a 500 litri…

Molto apprezzata nel suo Paese di origine, si è diffusa anche in Francia e in Germania. In Italia è molto diffusa al nord.

Caratteristiche morfologiche e produttive

Taglia: medio-grande.
Testa: relativamente piccola, leggera e fine, barba nei maschi. Orecchie: lunghe, oblique in avanti mai pendenti.
Tronco: torace ed addome ampi, mammelle di tipo piriforme e capezzoli ben sviluppati.
Vello: fulvo con varie tonalità, pelo corto, con riga mulina. Estremità degli arti e unghielli neri, caratteristica maschera facciale.
Pelle: sottile, pigmentata in nero; lingua, palato ed aperture naturali scure.
Altezza al garrese: Maschi a. cm. 86 – Femmine a. cm. 74
Peso medio: Maschi a. Kg. 100 – Femmine a. Kg. 70
Produzioni medie latte: primipare lt. 324 – pluripare lt. 507
Fertilità: 95%
Peso medio dei capretti alla nascita 3,5 kg, a 60 giorni 12,5 kg.

Prezzo indicativo a capo: tra i 150 euro e i 250 euro

Proprietà del latte di capra

Il latte di capra, decisamente poco utilizzato da noi rispetto al latte vaccino, trova invece notevole utilizzo in altri paesi, come la Francia, nella produzioni di prodotti caseari.
In effetti il latte di capra, poco conosciuto e poco gradito dai consumatori italiani, è ricco di proprietà benefiche che lo dovrebbero far preferire al latte che quotidianamente consumiamo.
Tanti sono i benefici che si traggono dall’assunzione del latte di capra.
Innanzi tutto il latte di capra è più digeribile, dato che la catena dei suoi grassi è di natura completamente diversa rispetto al latte vaccino.
Le proteine presenti in questo latte sono sostanzialmente dello stesso gruppo e livello di quelle presenti nel latte vaccino, con in più la taurina, un aminoacido che svolge una funzione di primaria importanza nella sintesi degli acidi biliari.
Inoltre è caratterizzato dalla assoluta mancanza di potere aterogeno, quello che innesca il processo aterosclerotico così pericoloso per la salute delle arterie e del cuore.
Il latte di capra si contraddistingue per il contributo in calcio e fosforo ottimo per le ossa, e per la sua ricchezza di vitamine.
Dopo quello di asina, è il più simile al latte materno, ideale per i bambini.

In primavera, quando nasceranno i capretti, avremo il primo latte con il quale faremo formaggi freschi e stagionati, tranquilli, faremo anche le foto e vi diremo come farli al meglio!

Continuate a seguirci!

Federico Lavanche

Il Paradosso Legato al Consumo di Carne: Come Possiamo Amare gli Animali e al Contempo Mangiarli?

amare animali

Steve Loughnan,Boyka Bratanova e Elisa Puvia
University of Kent, e Université Libre de Bruxelles.

bistecca-alla-fiorentinaLa relazione tra esseri umani e animali è moralmente complessa. Tale complessità deriva dal nostro comportamento ambivalente nei confronti degli animali ed è esemplificata al meglio nel consumo di carne. Mangiare carne è moralmente problematico perché contrappone il nostro desiderio di non far del male agli animali con il nostro appetito per le loro carni. Questa tensione – amare gli animali e consumare carne – rappresenta l’essenza del paradosso legato al consumo di carne.
La carne costituisce una parte importante della dieta dei paesi occidentali. Un italiano medio consuma all’incirca 90 kg di carne l’anno, con un incremento di circa il 200% dagli anni ’60 (WRI, 2010). Per soddisfare questa crescente richiesta è necessario produrre una gran quantità di carne. Prendendo in considerazione la sola produzione interna, nel 2001 l’Italia ha prodotto 4.1 milioni tonnellate di carne (WRI, 2010). La produzione di questa muccagran quantità di carne richiede la macellazione di un gran numero di animali. Nei soli Stati Uniti il numero di animali uccisi ha raggiunto il tetto di 9 miliardi di animali per anno (Joy, 2010). Questa cifra non comprende il consumo dei paesi europei, il crescente consumo di carne nei paesi non-occidentali e l’allevamento e consumo di pesce. In breve, mangiamo sempre più carne e questo significa che un maggior numero di animali è destinato a essere ucciso.
i-gattti-preferiscono-le-donne-618x412Queste statistiche potrebbero indurci a pensare che viviamo in un epoca in cui non ci si cura affatto degli animali. Macelliamo un numero sempre crescente di animali per soddisfare il nostro crescente appetito di carne. Tuttavia, ci sono buone ragioni per sostenere che la società
in cui viviamo mostra un interesse sempre crescente per il benessere degli animali. Secondo la American Pet Association, un terzo degli americani possiede un cane (39%) oppure un gatto (33%) e i proprietari di animali da compagnia spendono complessivamente 43 miliardi di dollari l’anno per i loro animali (APPA, 2009). Possedere un numero crescente di animali fa si che in generale ci si prenda maggiormente cura di loro. In Italia, atti di crudeltà nei confronti degli animali possono portare a una condanna fino a tre anni di reclusione (Gazzetta
Ufficiale, 2004). Il fatto che il possesso di animali sia così diffuso e la presenza di leggi così severe contro atti di crudeltà nei loro confronti, sembra contrastare con il nostro crescente consumo di carne. Come può una società da una parte uccidere miliardi di animali per cibo e dall’altra farli entrare nelle proprie case e approvare leggi per proteggerli? Come possono le persone amare al contempo gli animali e le loro carni? In altre parole,come fanno le persone a gestire il paradosso legato al consumo di carne? Voi, cosa ne pensate? Non voglio aprire una diatriba tra vegetariani, vegani o tra i convinti consumatori di carne ma semplicemente sapere la vostra opinione a riguardo. Grazie.

Tenia nel gatto: cos’è, il contagio, sintomi, diagnosi, prevenzione e trattamento

tenia-02La tenia (o cestode) è un verme, color bianco-crema, un parassita intestinale che può arrivare a raggiungere i 15-60 cm. E’ abbastanza comune nei gatti anche se le tipologie più frequenti sono essenzialmente due: il Dipylidium canium e la Taenia taeniaeformis. Per il contagio questi parassiti hanno bisogno di un ospite intermedio e di uno finale (che nella fattispecie è il vostro gatto domestico). Il Dipylidium alberga in forma di larva nelle pulci dei mici ( e dei cani) che vengono involontariamente ingerite dall’animale durante la normale toelettatura.

Si agganciano all’intestino tenue del felino, e diventano tenie adulte che nell’arco di 2-3 settimane sono in grado di rilasciare uova. A differenza di altri vermi intestinali la tenia tenie riesce a eliminare le uova nelle feci di gatto, attraverso dei segmenti mobili (proglottidi) che escono dall’ano. Sembrano chicchi di riso, ed una volta essiccati assomigliano a semi di sesamo. E’ buona norma prestare attenzione all’individuazione di tali segmenti in giro per la casa e soprattutto nell’area anale del gatto. L’ospite intermedio della taeniae taeniaeformis è caratterizzato dai piccoli roditori (topolini che vengono mangiati dal gatto).
I sintomi della tenia nel gatto
La tenia nel gatto non è pericolosa, non almeno come la filaria. Il sintomo più noto (anche per assimilazione alla tenia che colpisce l’essere umano) è la perdita di peso: il verme infatti assimila le sostanze nutritive direttamente dal suo ospite. Questo accade però ad uno stadio molto avanzato dell’infestazione e si accompagna anche ad una debolezza generale (dovuta a carenza nutrizionale) e ad un manto arruffato e stressato. Si può assistere ad alterazioni della motilità intestinale, con episodi di diarrea alternati a costipazione, oltre che un intenso prurito anale, dovuto al movimento e alla fuoriuscita degli stessi parassiti.

Come si fa la diagnosi di tenia nel gatto?
E’ chiaro che (come per gli ossiuri nei bambini) basta osservare la zona anale con attenzione per vedere ad occhio nudo i parassiti, ma è più opportuno un controllo dal medico veterinario che, dopo l’osservazione diretta potrebbe richiedere anche un’analisi al microscopio delle feci del gatto. E’ buona norma tenere sotto controllo anche la zona in cui il micio dorme.

Esiste una cura per la tenia nel gatto? E la prevenzione?
Ovviamente sì. E’ un verme, e si può utilizzare un vermifugo capace di uccidere il parassita all’interno dell’organismo del micio che poi verrà assorbito direttamente dall’intestino col cibo ed eliminato con le feci. La prevenzione consta essenzialmente nel tenere lontani gli ospiti intermedi: “abbastanza semplice” per la t. taeniformis (i roditori), più complesso con le pulci, ma sicuramente possibile. Una disinfestazione (da pulci e ratti) dell’ambiente dovrà necessariamente combinarsi alla terapia farmacologia antiparassitaria. Questo parassita per contagiare un altro gatto o l’essere umano necessita sempre e solo l’ingestione degli animali ospiti.

Una storia vera, tenia del gatto
Buongiorno,
vi scrivo per avere maggiori chiarimenti in merito alla tenia.
Avevo notato delle cose strane in casa: sul divano ho
rinvenuto dei cosi del tutto simili a piccolissimi chicchi di riso, sia per forma che per consistenza… e mi domandavo che diavolo fossero…. e poi anche sul copriletto dove dormono al pomeriggio.

Ieri sera ho avuto una brutta sorpresa: mi si siede in
braccio la gatta e siccome ero in calzoncini corti sento il suo sederino bagnato, così la alzo per spostarla e sorpresa! trovo un vermicino bianco tipo quelli delle ciliegie.
Insomma che stamane chiamo il veterinario che mi conferma che è tenia: io nemmeno immaginavo che dei gatti adulti potessero avere “i vermi” perchè ero convinta che dopo esser stati svermati da cuccioli fossero protetti per tutta la vita… e invece..

Il Dott. mi dice che possono averla presa ingoiando pulci (che non hanno visto che stanno solo in casa) o feci contenenti la tenia: ora mi domando come sia stato possibile il contagio? ..un mistero!

Ora mi ha detto di somministrargli del Droncit e poi altra mezza pasticca per il richiamo tra 21 gg.

Domande:
1. non sono sicura che ce l’abbiano tutti e 4 i gatti con cui vivo e il vet. dice di fare comunque la profilassi a tutti che tanto non gli fa male: voi che ne dite?
2. è una cosa “grave”? che conseguenze può avere?
3. con che cosa devo pulire la casa onde evitare il ricontagio? Conegrina, alcool o amoniaca?

Grazie in anticipo per la cortese risposta.

Valentina
Risposta di Paola Cavana
Buongiorno,
l’infestazione da tenia solitamente non è una cosa grave. I farmaci somministrati per eliminare le tenie sono generalmente ben tollerati dai gatti e la tenia, una volta eliminata, non lascia conseguenze. Quanto a come i suoi gatti abbiano potuto contrarre la tenia vivendo in casa, come già le è stato detto, è probabile che la causa sia da ricercare nella presenza di qualche pulce e che si tratti quindi di una tenia chiamata Dipylidium caninum: il gatto, durante le normali operazioni di toelettatura, ingerisce la pulce infestata dalla tenia (è la larva della pulce che si infesta con la tenia) che dopo aver raggiunto l’intestino del gatto si sviluppa e diventa adulta iniziando a produrre le uova che vengono eliminate nell’ambiente nelle cosiddette proglottidi (che sono quelle che lei ha identificato come chicchi di riso o vermicino delle ciliegie).
Come prevenzione, per evitare nuove infestazioni, è necessario utilizzare regolarmente un prodotto antipulci anche se i gatti vivono in casa (vanno bene le pipette spot-on da mettere mensilmente sulla cute in mezzo alle scapole: ad esempio, il Frontline Combo spot-on, ma comunque si faccia consigliare dal suo veterinario il prodotto più adatto ai suoi gatti). Per quanto riguarda la casa non occorre usare particolari disinfettanti: le consiglierei di lavare i pavimenti e di compiere le normali pulizie per eliminare le eventuali larve di pulce presenti.
E’ consigliabile somministrare il farmaco contro la tenia a tutti i gatti conviventi ed effettuare a tutti la profilassi antipulci mensile.

droncitDRONCIT:

Azienda:
Bayer S.p.a.
Data pubblicazione:
08/11/2013
Categoria:
Medicinale Veterinario
AIC – Codice EAN:
100388038
Confezione:
Confezione da 6 compresse
Indicazioni:
Droncit è efficace contro: Echinococcus granulosus * Echinococcus multilocularis Taenia ovis Taenia hydatigena Taenia multiceps Hydatigena (Taenia) taeniaeformis Dipylidium caninum Mesocestoides corti Taenia pisiformis Diphyllobothrium (Spirometra) erinacei * Echinococcus granulosus: Il cane, portatore della tenia echinococco, s’infesta tramite l’ovino, bovino o suino e può trasmettere anche all’uomo l’echinococcosi (idatidosi, forma cistica), grave malattia sociale delle regioni con allevamento ovino. L’intervento terapeutico e/o profilattico con Droncit (possibilmente programmato su vasta scala) interrompe il ciclo biologico del parassita ed evita la trasmissione all’uomo.
Posologia:
Dosaggio consigliato La dose base per cani e gatti è di 5 mg/kg p.v. Quindi: 1 compressa fino a 10 kg p.v. 2 ” da 11 a 20 kg 3 ” da 21 a 30 kg Contro il Diphyllobothrium (Spirometra) è necessaria la dose di una compressa per 2,5 kg p.v. Eventuali sovradosaggi fino al doppio della dose consigliata non sono pregiudizievoli soprattutto nei casi di intervento contro massive infestazioni da tenia echinococco. Modalità d’uso Droncit viene tollerato molto bene. Il trattamento va effettuato a digiuno e gli animali debbono essere tenuti sotto controllo subito dopo la somministrazione in modo da poter ripetere il trattamento nel caso di eventuale rigetto delle compresse. Droncit può essere somministrato direttamente o avvolto nella carne, oppure frantumato nell’alimento.
Regime dispensazione:
Senza obbligo di prescrizione
Gruppo Anatomico ATCvet:
QP – 52 – Antielmintici
Somministrazione:
Orale
Specie:
Cani, Gatti
Principi attivi:
Nome/Concentrazione
praziquantel (FU)
50 mg

Recinti elettrici per animali, funzionamento, uso e tipologie.

recinzioni elettrificate

Cos’è la recinzione elettrificata?

La recinzione elettrificata è una barriera psicologica per il controllo degli animali domestici e selvatici.

Quali sono i principali componenti recinzione elettrica

elettrificatoreI principali componenti della recinzione elettrificata sono:

  • L’elettrificatore che eroga gli impulsi elettrici
  • I cavi di collegamento per collegare l’elettrificatore alla recinzione ed al sistema di messa a terra, per collegare tra loro diversi paddock, per passaggi interrati sotto cancelli e strade, ecc.
  • La recinzione vera e propria che deve contenere gli animali. Composta a sua volta da pali, isolatori, fili conduttori, ecc.
  • Il sistema di messa a terra composto da uno o più pali di messa a terra collegati tra loro.

Come funziona?

L’elettrificatore lancia impulsi elettrici lungo i fili della recinzione. L’impulso elettrico, se non ci sono grosse dispersioni, si esaurisce sulla recinzione. Quando l’animale tocca la recinzione chiude il circuito, come fosse un interruttore, e l’impulso elettrico attraversa l’animale e, attraverso il terreno, fluisce verso il sistema di messa a terra e ritorna all’elettrificatore. Quando l’animale tocca la recinzione elettrica riceve una scossa che gli causa dolore.

Quando la recinzione è efficace?

Affinché l’animale rispetti la barriera, è necessario che la paura che l’animale ha della recinzione sia superiore alla voglia che ha di oltrepassarla. Per imprimere questa paura è indispensabile che l’animale prenda una scossa dolorosa ogni volta che tocca la recinzione. Questo è particolarmente vero durante il periodo d’addestramento ma, per mantenere vivo il rispetto della barriera, è indispensabile che la recinzione elettrica sia sempre efficiente.

Come progettare una recinzione efficace?

recinto elettrico per cinghialiPer prima cosa è indispensabile avere un’idea chiara di quello che si vuole. Una buona progettazione consente di raggiungere più facilmente gli obbiettivi prefissati. Aiutandosi con un disegno è opportuno rispondere alla maggior parte delle seguenti domane non necessariamente in questo ordine:

  • Che animali devo controllare. Animali alti, bassi, che saltano, bovini, cavalli, ecc.
  • È una recinzione mobile (da spostare di frequente), permanente (da non spostare mai) o semi permanente (da spostare ogni tanto o da installare solo in certi periodi dell’anno).
  • Quanto è lunga la recinzione
  • Quanti e quali conduttori utilizzare?
  • Come movimento e gestisco gli animali?
  • Quanti sono i paddock o i recinti da realizzare?
  • Quanti ingressi o passaggi ci sono? Quanto sono larghi?
  • Quanti e quali pali si vogliono utilizzare?
  • Che tipo di elettrificatore si vuole utilizzare (9V,12V,220V, solare) e dove sarà installato?

Le prestazioni complessive del circuito dipendono dalla qualità dei singoli componenti e sono fortemente limitate dalle prestazioni del componente più scadente. Se, ad esempio, utilizzo un ottimo apparecchio e dei buoni conduttori ma realizzo un sistema di messa a terra inadeguato, la scossa percepita dall’animale sarà poco dolorosa. Più grande è la recinzione e maggiore deve essere l’attenzione nella scelta dei componenti e nella realizzazione della recinzione. Ecco alcuni consigli su come scegliere i componenti più adatti. Restiamo a vostra completa disposizione per assistervi nella scelta allo 0363 938700.

L’elettrificatore:

elettrificatoreL’elettrificatore è il cuore del sistema e da esso dipende, in gran parte, l’efficacia della recinzione. Scegliere l’elettrificatore adatto è estremamente importante per realizzare una barriera efficace, adatta alle proprie esigenze, che richieda limitati interventi di manutenzione e, non ultimo, con adeguati costi d’acquisto e di mantenimento.

È opportuno valutare gli elettrificatori in base alle seguenti caratteristiche:

  • Alimentazione (9V, 12V, 220V, Solare): Gli elettrificatori possono essere alimentati da pile non ricaricabili a 9V, da batterie ricaricabili a 12V o dalla rete elettrica a 220V. Gli elettrificatori alimentati a 12V possono essere collegati a pannelli solari che ricaricano la batteria. Esistono in commercio elettrificatori che possono essere alimentati, tramite appositi adattatori, sia da batterie che dalla rete elettrica.
  • Energia Caricata (valore espresso in Joule): è il valore che, solitamente, viene utilizzato per identificare la potenza in quanto è l’unico dato certo e che non cambia in base alle condizioni della recinzione. Può essere più realisticamente paragonato alla cilindrata di un motore.
  • Energia erogata a 500 Ohm (valore espresso in Joule): L’energia effettivamente erogata dall’elettrificatore cambia in base alle condizioni della recinzione. Per poter comparare le prestazioni di elettrificatori diversi si utilizza, per convenzione, l’energia erogata su un circuito con impedenza di 500 Ohm. Più alto è il valore in Joule e più performante è l’apparecchio.
  • Voltaggio erogato a 500 Ohm (valore espresso in migliaia di Volt = KV): Come per l’energia anche il voltaggio dell’impulso varia in base all’impedenza del circuito ed è per questo che , per comparare le prestazioni, si misura il voltaggio degli elettrificatori al valore convenzionale di 500 Ohm. Il voltaggio di picco, ovvero il voltaggio dell’impulso emesso da un elettrificatore non collegato alla recinzione, è un dato assolutamente irrilevante ed è paragonabile ai giri di un motore non soggetto ad alcuno sforzo.
  • Consumo di corrente (valore espresso in Ampere o in Watt): È importante per conoscere la durata o la frequenza di ricarica delle batterie. Gli elettrificatori a rete hanno, generalmente, un consumo molto basso quantificabile in pochi euro all’anno.
  • Grado di impermeabilizzazione ed altre caratteristiche costruttive: La qualità dei materiali e le caratteristiche costruttive sono importanti per la sicurezza e la durata dell’apparecchio. Tutti gli elettrificatori, in particolare quelli a rete 220V, per poter essere istallati all’aperto devono avere un adeguato grado di impermeabilizzazione (IP).
  • Funzioni di controllo e dispositivi di segnalazione guasti: I moderni elettrificatori dispongono di funzioni di controllo della recinzione che consentono, avvisando in caso di guasti, di limitare gli interventi di manutenzione.

Come scegliere l’elettrificatore più adatto?

Trovare l’elettrificatore giusto significa trovare il giusto mix tra potenza, consumi, mobilità, prestazioni e, non ultimo, il costo. I consigli che posso dare sono i seguenti:

  • Per recinzioni permanenti o semi permanenti scegliere:
    • Apparecchi a 220V se la rete elettrica è nel raggio di qualche decina di metri. Sono più performanti, non dipendono dalle condizioni della batteria, hanno costi d’acquisto e di mantenimento più bassi, richiedono meno manutenzione.
    • Apparecchi a 12V con o senza pannello solare in aree remote. Hanno ottime prestazioni e modesti costi d’esercizio.
    • Apparecchi a 9V solo per recinzioni molto piccole in aree remote.
  • Per recinzioni mobili scegliere:
    • Apparecchi a 12V con cassetto porta batteria per grandi recinzioni. Attenzione che il peso dell’elettrificatore inclusa la batteria può facilmente superare i 20Kg
    • Apparecchi a 9V per recinzioni piccole
  • Se scegliete un elettrificatore a 220V potete sovradimensionarlo per aumentare l’efficacia della recinzione e ridurre gli interventi di manutenzione.
  • Se scegliete un elettrificatore a batteria fate attenzione ai consumi per limitare la frequenza di ricarica delle batterie (apparecchi a 12V) o ridurre i costi di mantenimento (apparecchi a 9V).
  • Se possibile scegliete apparecchi con funzioni di controllo della recinzione. Le informazioni fornite aiutano ad individuare il malfunzionamento prima che gli animali siano evasi e a programmare meglio gli interventi di pulizia e manutenzione.

Qual è la potenza necessaria?

Non è facile stabilire quanto che potenza deve avere l’elettrificatore adatto ad una cera recinzione perché i fattori che influiscono sulle prestazioni dell’apparecchio sono molteplici. Le distanze in km dichiarate dai produttori sono teoriche e, molto spesso, lontane dalla realtà.

La seguente tabella vi aiuta a scegliere l’apparecchio più adatto alle vostre esigenze tenendo conto dei principali fattori che influenzano le prestazioni dell’apparecchio. Moltiplicando i fattori corrispondenti alle diverse componenti della recinzione si ottiene il valore della potenza minima (energia caricata) richiesta all’apparecchio per elettrificarla efficacemente. Il valore ottenuto è, in genere, molto conservativo ma consente di scegliere apparecchi che garantiscono il funzionamento della recinzione anche in condizioni molto difficili. Scegliere un apparecchio con un valore di energia caricata almeno uguale o superiore al prodotto ottenuto dalle moltiplicazioni.

NB. Se la recinzione supera i 500 mt di perimetro è importante utilizzare fili conduttori ad alta conducibilità.

E

X

A

X

L

X

C

X

N

=

Tipo di Elettrificatore

Specie Animale

Lunghezza della Recinzione

Tipo di Conduttori

Numero di Conduttori

A 220 V

1

Bovini

1

500 metri

0,5

Fili Zinco-Alluminio
Ø 2,5 mm

1

un conduttore

1,25

A batteria 12V

0,4

Ovini

1,5

1.000 metri

1

Fili Zinco-Alluminio
Ø 1,6 mm

1,5

due conduttori

1

A batteria 9V

0,2

Equini

0,9

1.500 metri

1,5

Filo Equiwire

1

tre o più conduttori

2

Conigli

1,5

2.000 metri

2

Filo PowerLine

3

Rete elettrificata

3

Polli

1,5

2.500 metri

2,5

Filo TurboLine

1,5

Maiali

1,5

Ecc.

Fettuccia PowerLine

3

Selvatici

1,5

Fettuccia TurboLine

1,5

Corda PowerLine

3

Corda TurboLine

1,5

Es.: Recinzione per cavalli lunga 1200 metri con 3 fettucce Turbo. Elettrificatore a 220V.

Apparecchio a 220V

1,0 X

Recinzione per Cavalli

0,9 X

Lunghezza 1,2 km

1,2 X

Fettuccia TurboLine

1,5 X

Recinzione a 3 fettucce

2,0 X

_____

Potenza min. richiesta

3,24 =

Dove usare i cavi di collegamento

I cavi di collegamento servono per collegare l’elettrificatore alla recinzione ed al sistema di messa a terra. Gli elettrificatori alimentati a batteria necessitano di cavi di modesta lunghezza, di solito in dotazione, in quanto si installano, abitualmente, vicino alla recinzione. Gli elettrificatori a rete devono, per motivi di sicurezza, essere installati al coperto e, spesso, lontano dalla recinzione. Per questo motivo, per collegarli alla recinzione, sono necessari cavi speciali che devono essere isolati per almeno 10.000V ed avere un’adeguata conducibilità elettrica (I normali cavi ad uso civile non sono abbastanza isolati per queste applicazioni). Lo stesso tipo di cavo isolato deve essere utilizzato anche per collegare l’elettrificatore al sistema di messa a terra, per passare sotto i cancelli e in ogni altra situazione che richieda un collegamento isolato. Per una maggiore protezione è opportuno infilare il cavo a doppio isolamento in una guaina protettiva.

Utilizzare il cavo a doppio isolamento con diametro 1.6mm per collegare elettrificatori con potenza inferiore ai 5J, per bypass sotto i cancelli, per brevi collegamenti e per i collegamenti tra i fili. Il cavo a doppio isolamento da 2.5mm di diametro è indicato per elettrificatori con potenza superiore a 5J, per lunghi cablaggi, attraversamento di strade, fossi, torrenti, ecc.

Come deve essere realizzato il sistema di messa a terra

Il sistema di messa a terra è una delle parti più importanti della recinzione ma anche una delle più sottovalutate e trascurate. Quando la messa a terra non è adeguata si produce un effetto “collo di bottiglia” che riduce il flusso di corrente sul circuito e, di conseguenza, la scossa percepita dall’animale è meno dolorosa.

Il sistema di messa a terra deve essere realizzato seguendo i seguenti punti:

  • Con apparecchi a batteria collegati a recinzioni mobili installare almeno un picchetto da un metro.
  • Con apparecchia batteria collegati a recinzioni permanenti usare le stesse indicazioni degli elettrificatori a 220V
  • Con gli elettrificatori a 220V installare almeno un picchetto di messa a terra lungo due metri per ogni 5 J di energia caricata dall’elettrificatore (es: un picchetto per un apparecchio da 3J, 2 picchetti per uno da 6J, 3 picchetti per uno da 12J, ecc.)
  • Installare il sistema di messa a terra ad almeno 10 mt di distanza da qualsiasi altro sistema di messa a terra, cavo elettrico o telefonico interrato.
  • Installare il sistema di messa a terra in un posto sempre umido o utilizzare lo speciale kit con bentonite (un picchetto installato con in kit bentonite equivale a 3 picchetti normali).
  • Installare i picchetti di messa a terra ad almeno 3 metri di distanza uno dall’altro.
  • I picchetti devono essere di ferro zincato e non devono essere arrugginiti.
  • Il cavo a doppio isolamento proveniente dall’elettrificatore deve essere collegato ai picchetti con morsetti adeguati e ben stretti.

In terreni poco conduttivi, sassosi o rocciosi è possibile realizzare un sistema alternando fili attivi, collegati all’elettrificatore, a fili di messa a terra, collegati al sistema di messa a terra e a l terminate di messa a terra dell’elettrificatore.. Quando l’animale tocca sia il filo attivo (+) che quello terra (-) chiude immediatamente il circuito e percepisce la scossa. Per migliorare ulteriormente il sistema è consigliabile installare lungo la recinzione, a distanza di 100-200 metri uno dall’altro, picchetti di messa a terra collegati al filo di messa a terra. Per maggiori informazioni chiedere al nostro servizio assistenza allo 0363 938700

Quali sono le caratteristiche principali della recinzione?

La recinzione è l’insieme dei fili conduttori, sui quali corre l’impulso elettrico erogato dall’elettrificatore, è la barriera fisica che impedisce l’ingresso o l’uscita degli animali. Per realizzare una recinzione, oltre ai fili conduttori, agli isolatori e ai pali, possono essere necessari anche connettori, tenditori, cancelli ed altri dispositivi.

Le recinzioni possono essere classificate in permanenti, semipermanenti e. Le recinzioni permanenti devono essere robuste, durevoli ed efficaci nel tempo. Tutti i materiali utilizzati per la realizzazione devono avere elevata qualità proprio per garantire una notevole durata nel tempo ed una ridotta manutenzione. Le recinzioni mobili, invece, devono essere facili da installare e da rimuovere. I materiali utilizzati per le recinzioni mobili devono essere leggeri e facili da trasportare ma sempre di elevata qualità per assicurare durata nel tempo ed efficacia della recinzione. Le recinzioni semi permanenti sono un mix di queste caratteristiche; un po’ più robuste delle recinzioni mobili ma più facili da installare e rimuovere di quelle permanenti.

Indipendentemente dal fatto che la recinzione sia mobile o permanente, le caratteristiche che deve avere sono le seguenti:

  • Elevata conducibilità dei fili conduttori in particolare su recinzioni che superano i 500 mt di lunghezza.
  • Fili ben isolati grazie ad isolatori adeguati. Nastro isolante, tubo di gomma ecc non assicurano un sufficiente isolamento della recinzione.
  • Collegamenti ben fatti. In molti casi un semplice nodo non è sufficiente per assicurare un buon passaggio di corrente.
  • Struttura adeguata all’animale da controllare. Altezza, numero dei fili e spaziatura dei fili devono essere studiati in modo che l’animale non abbia la possibilità di infilarsi sotto, attraverso o sopra la recinzione senza prendere la scossa.
  • I fili devono sempre essere ben tesi in modo da non lasciare varchi o facili passaggi per gli animali.
  • La recinzione deve seguire il profilo del terreno ma essere anche elastica. I pali devono, quindi, essere posti ad una adeguata distanza ma non troppo fitti. (4 metri su terreni molto ondulati, 8-10 metri su terreni pianeggianti)
  • Per migliorare la conducibilità elettrica del circuito tutti i fili della recinzione devono essere collegati in parallelo all’inizio e alla fine di ogni tratta di recinzione.
  • Realizzare sempre un by pass sotto i cancelli per evitare che un cancello aperto interrompa il flusso di corrente sulla recinzione.

I fili conduttori

recinzioni-elettriche per animaliLa conducibilità elettrica dei fili conduttori è un fattore estremamente importante per massimizzare le prestazioni dell’elettrificatore e l’efficacia della recinzione. La conducibilità elettrica è misurata in Ohms ed è una scala inversa ossia valori bassi indicano un’elevata conducibilità mentre valori alti indicano una scarsa conducibilità elettrica. Anche il numero dei fili metallici presenti nel conduttore è molto importante; più fili ci sono e più possibilità ha l’animale di prendere la scossa. Un numero elevato di fili metallici, inoltre, assicura una maggior durata nel tempo.

La visibilità della recinzione è importante, soprattutto per evitare che persone o veicoli possano travolgerla. Per questa ragione è importante che lungo le strade e vicino ai cancelli, sia ben evidenziata e segnalata con gli appositi cartelli. Gli animali, invece, sono più prudenti e vedono molto meglio degli esseri umani e travolgono la recinzione solo se spaventati. È possibile, aumentare la visibilità delle recinzioni realizzate con filo zinco alluminio integrando delle fettucce da 12 mm o piazzando dei fiocchi di nastro colorato ad intervalli periodici. Lo sventolio dei fiocchi contribuisce a richiamare l’attenzione degli animali, in genere, molto sensibili al movimento.

I pali

Per realizzare recinzioni permanenti consigliamo l’utilizzo di pali robusti, durevoli e ben piantati nel terreno. Per le recinzioni mobili consigliamo l’utilizzo degli appositi paletti in plastica, fibra di vetro o metallo già pronti all’uso e con gli isolatori alle altezze giuste. È possibile utilizzare anche pali in ferro ma bisogna far attenzione ai cortocircuiti che possono rendere la recinzione completamente inefficace. Sui pali di cemento è difficile fissare gli isolatori. È importante installare i pali alle distanze consigliate per evitare lavoro e costi inutili.

Gli isolatori

Per realizzare una buona recinzione possiamo aver bisogno di isolatori di testa, d’angolo e di linea. Gli isolatori di resta si mettono all’inizio ed alla fine di ogni tratta di recinzione, sono molto robusti e ben fissati al palo per consentire la trazione dei fili conduttori.

Anche gli isolatori d’angolo sono robusti e ben fissati ai pali e devono essere installati su tutti gli angoli che superano i 15-20° ossia dove la trazione del filo tende a rompere gli isolatori di linea.

Gli isolatori di linea si installano sulle tratte diritte ma, in alcuni casi, possono essere utilizzati per gli angoli facendo passare il filo dietro al palo.

Numero di fili e distanze

E347_MEDDe seguenti tabelle danno un’indicazione del tipo, numero e spaziatura dei fili e della distanza tra i pali. Naturalmente questi sono dati indicativi che devono essere adattati alle diverse situazioni ambientali. La distanza tra i pali, ad esempio, si riferisce a terreni pianeggianti e deve essere ridotta su terreni ondulati affinché la recinzione segua il profilo del terreno.

Recinzioni Permanenti

Conduttori

Animale

Tipo

Numero

Altezze cm

Distanza tra i pali

Bovini – Vacche Filo zinco-alluminio 2,5 mm

2

50-95

10m

Bovini – Manze Filo zinco-alluminio 2,5 mm

3

50-80-110

10m

Bovini da carne Filo zinco-alluminio 2,5 mm

3

50-80-110

10m

Cavalli Fettuccia 40 mm

3

65-100-135

5-7m

Cavalli Equifence

3

65-100-135

9m

Maiali Filo zinco-alluminio 2,5 mm

4

15-30-50-70

8-10m

Pecore/Capre Filo zinco-alluminio 2,5 mm

5

15-30-45-65-90

10m

Pecore/Capre Filo zinco-alluminio 2,5 mm

6

15-30-45-60-80-110

10m

Cinghiali (esclusione) Filo zinco-alluminio 2,5 mm

3

15-35-55

8-10m

Cervi (esclusione) Filo zinco-alluminio 2,5 mm

7

20-40-60-80-100-125-150

8-10m

Orsi (esclusione) Filo zinco-alluminio 2,5 mm

5

30-55-80-105-130

8-10m

Lupi (esclusione) Filo zinco-alluminio 2,5 mm

7

20-40-60-80-100-125-150

8-10m

Recinzioni Mobili

Conduttori

Animale

Tipo

Numero

Altezze cm

Distanza tra i pali

Bovini – Vacche Filo Vidoflex 3 mm*

2

50-95

8-10m

Cavalli Fettuccia 12 mm o 20mm

2

65-130

8-10m

Maiali Filo Vidoflex 3 mm*

2

30-50

8-10m

Pecore/Capre Filo Vidoflex 3 mm*

4

15-35-55-90

8-10m

Pecore/Capre Rete per Ovini
Cinghiali (esclusione) Filo Vidoflex 3 mm*

3

15-35-55

8-10m

Cervi (esclusione) 3x Filo Vidoflex 3 mm
2x Fettuccia 12 mm

5

20-50-80-100-130

8-10m

Orsi (esclusione) Filo Vidoflex 3 mm*

5

20-50-80-100-130

8-10m

Lupi (esclusione) Filo Vidoflex 3 mm*

5

20-50-80-100-130

8-10m

* è possibile utilizzare anche lo SmartFence T4100

Qual è la procedura per l’installazione dell’elettrificatore?

A Batteria 9-12V

A 220V

Collegare la batteria Installare l’elettrificatore sulla parete.
Collegare il pannello solare (se disponibile)
Installare il picchetto di messa a terra Installare il sistema di messa a terra
Collegare l’elettrificatore al picchetto di messa a terra usando il cavetto in dotazione Collegare l’elettrificatore al sistema di messa a terra usando il cavo a doppio isolamento
Collegare l’elettrificatore alla recinzione usando il cavetto in dotazione Collegare l’elettrificatore alla recinzione usando il cavo a doppio isolamento
Accendere l’elettrificatore Infilare la spina dell’elettrificatore nella presa di corrente ed accendere l’apparecchio
Controllare con un tester il regolare funzionamento dell’impianto Controllare con un tester il regolare funzionamento dell’impianto

Qual è la procedura per l’installazione della recinzione?

Terreni pianeggianti e con profilo regolare Terreni ondulati e con profilo irregolare
Installare i pali di testa e d’angolo. Installare i pali di testa e d’angolo.
Installare gli isolatori sui pali di testa e d’angolo Installare gli isolatori sui pali di testa e d’angolo
Stendere i fili fissandoli sugli isolatori di testa e d’angolo. Installare i pali di linea con i relativi isolatori
Tendere almeno un filo Stendere i fili senza farli scorrere negli isolatori di linea per evitare di danneggiarli.
Installare i pali di linea seguendo la linea tracciata da filo teso Fissare i fili sugli isolatori di linea, di testa e d’angolo.
Installare gi isolatori sui pali di linea e fissare i fili negli isolatori Tendere i fili e farei collegamenti.
Tendere i fili e fare i collegamenti.

Manutenzione della recinzione elettrificata

Se è stato installato un buon elettrificatore e la recinzione è ben progettata la la manutenzione si limita ad una pulizia periodica per massimizzarne le prestazioni.

E’ importante verificare il buon funzionamento della recinzione settimanalmente o ogni volta che si sospetta un malfunzionamento.

Con l’apposito tester verificare che sulla recinzione ci siano almeno 3.000 volt e se, anche dopo l’intervento di pulizia, resta basso seguire passo passo le seguenti istruzioni fino all’individuazione del guasto.

Le cause di basso voltaggio possono essere:

  • 1. Elettrificatore troppo piccolo
  • 2. Elettrificatore guasto
  • 3. Messa a terra inadeguata
  • 4. Cortocircuiti o dispersioni (vegetazione)
  • 5. Alta resistenza del circuito (cavi di connessione inadeguati, connessioni fatte male, fili arrugginiti, ecc)

1) Come si capisce se l’elettrificatore è guasto?

Scollegare l’elettrificatore dalla recinzione

Accenderlo.

Se l’elettrificatore funziona correttamente ed eroga un voltaggio adeguato all’apparecchio passare al punto 2, altrimenti, se non si accende o si accende ma non eroga impulsi procedere alle seguenti verifiche:

A) Come si verifica l’alimentazione?

  • Assicurarsi che l’apparecchio sia correttamente alimentato.
    • Se l’apparecchio è alimentato dalla rete elettrica assicurarsi che ci sia la corrente e che la presa funzioni correttamente collegando un’altra apparecchiatura.
    • Se l’apparecchio è alimentato a batteria assicurarsi che la batteria sia carica misurandone il voltaggio o provando a sostituirla con una nuova certamente carica. Alcuni elettrificatori hanno spie o indicatori di carica della batteria.
  • Verificare che il cavo di collegamento alla presa 220V o alla batteria siano integri.

Se il problema non è risolto continuare nella verifica dell’elettrificatore passando al punto B.

B) Come si verifica l’elettrificatore

Con l’apparecchio scollegato dalla recinzione

  • Se l’apparecchio non da segni di vita,
    • Richiedere assistenza tecnica.
  • Se l’elettrificatore funziona, con l’apposito tester, misurare il voltaggio dell’apparecchio direttamente sui terminali d’uscita (rosso) e di messa a terra (verde).
    • Se il voltaggio è molto inferiore a quello normale (misurato in fabbrica e riportato sull’etichetta interna dell’apparecchio) l’elettrificatore è guasto. Richiedere assistenza tecnica.
    • Se il voltaggio è normale significa che l’apparecchio funziona correttamente. Ricollegare la recinzione e proseguire nelle verifiche.

Se dalle precedenti verifiche si è riscontrato che l’elettrificatore funziona correttamente ma il voltaggio sulla recinzione è troppo basso, procedere alle seguenti verifiche:

2) Come si verifica il sistema di messa a terra?

Con l’apparecchio acceso e collegato dalla recinzione

  • Con il tester controllare il voltaggio della messa a terra.
    • Se supera i 200V controllare i cavi di collegamento, stringere i morsetti e, se necessario, aggiungere altri picchetti di messa a terra. Leggere il manuale per informazioni più dettagliate su come realizzare un buon sistema di messa a terra.
    • Un alto voltaggio della messa a terra, in combinazione con un basso voltaggio della recinzione, è un indicatore certo di corto circuiti e/o forti dispersioni sulla recinzione che devono essere trovate ed eliminate.

3) Come si verificani i cavi di collegamento?

È possibile chi i cavi che collegano l’elettrificatore alla recinzione siano deteriorati o non adatti all’utilizzo con elettrificatori (isolamento dei cavi inferiore ai10.000V)

  • Avvicinarsi al punto in cui i cavi di collegamento si connettono alla recinzione.
  • Scollegare i cavi di collegamento dalla recinzione.
  • Misurare con il tester il voltaggio del cavo di collegamento.
    • Se il voltaggio resta basso significa che il cortocircuito è sui cavi di collegamento. Sostituirli con gli appositi cavi a doppio isolamento.
    • Se il voltaggio torna normale significa che il problema è sulla recinzione. Passare al punto 4

4) Come si verifica la recinzione?

A questo punto il problema può essere solamente sulla recinzione che deve essere ispezionata accuratamente alla ricerca di:

  • Fili rotti o aggrovigliati
  • Corto circuiti tra i fili della recinzione e parti metalliche non isolate.
  • Alberi o rami caduti sopra la recinzione
  • Connessioni allentate o arrugginite
  • Isolatori rotti o molto sporchi
  • Vegetazione intensa
  • Interruttori danneggiati

Suggerenti:

Ascoltare i “click” causati dalle dispersioni

Fare particolare attenzione dove i fili elettrificati passano vicino a parti metalliche non isolate (reti , pali, attrezzi, ecc) ed in particolare vicino a cancelli, angoli variazioni di livello, ecc. Un solo punto di contatto può azzerare completamente il voltaggio della recinzione.

Se la recinzione è costituita da diverse tratte, scollegarle progressivamente per capire in quale tratto c’è il guasto.

Utilizzare gli interruttori per dividere la recinzione in diversi settori.

Utilizzare lo Smartfix

Se il voltaggio cala progressivamente man mano che ci si allontana dall’elettrificatore, significa che i fili utilizzati hanno una scarsa conducibilità elettrica e vanno sostituiti con conduttori migliori.

Se, dopo tutti questi controlli, il voltaggio resta basso è possibile che l’apparecchio non sia adeguato alle dimensioni della recinzione.

Altre informazioni: distanza tra i fili, esempio recinto e voltaggi: vedi FILE pdf:

funzionamento recinto elettrico per animali

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Tartaruga ferita dal taglia erba

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Il binomio “giardino” e “tosaerba” non può esistere senza un altro importante soggetto: la tartaruga di terra. E’ un animale tranquillo, rustico, di poche pretese che anima il nostro giardino tra piante e fiori per decine di anni. La mia me la regalarono da bambino ed è rimasta con la nostra famiglia fino ad oggi, sono passati ormai 30 anni…

Quando taglio l’erba, faccio sempre attenzione a dove si trova la tartaruga in modo da prevenire incidenti. La scorsa domenica era tranquilla in un punto del giardino ma, tempo di spegnere la tosa erba, fare il rabbocco di benzina, si è spostata e si è nascosta al di sotto di alcune fronde. fr_686_size880Purtroppo non l’ho vista spostarsi ma quando sono andato a tagliare quelle fronde piuttosto alte ho dovuto alzare la macchina sulle ruote posteriori… Subito dopo ho sentito un rumore assordante, un po’ come aver preso un ceppo o una radice superficiale… Non era nulla di tutto ciò ma era la mia cara tartaruga….

fr_685_size880La lama le ha completamente asportato la parte superiore del carapace provocandole un buco. Al di sotto si vedeva il tessuto rosso vivo con una lieve perdita di sangue.Il tessuto faceva su e giù con la respirazione dell’animale. I sensi di colpa mi hanno distrutto…

Con l’aiuto di mia moglie abbiamo provveduto subito a pulire l’apertura dai numerosissimi frammenti di erba sparsi sul tessuto molle. Avevamo della soluzione fisiologica con all’interno una piccola percentuale di Betadine. Aspirando il liquido con una siringa, lo spruzzavamo poi direttamente sulla ferita aperta. La tartaruga veniva tenuta in posizione leggermente inclinata in modo che il liquido in eccesso scolasse via. Subito dopo le abbiamo cosparso direttamente sulla ferita altro Betadine e poi del normalissimo zucchero bianco, diffuso uniformemente su tutta la ferita. Lo zucchero ha potere anti batterico e cicatrizzante. Dopo di ciò la abbiamo fasciata accuratamente con una garza e poi con un tessuto per fasciature elastico e al tatto umido che aderisce perfettamente al carapace. Bisogna fasciarla in modo che non le dia fastidio se cammina in modo che non riesca a prenderla con le zampe.

tartaruga e tosaerbaBisogna fare molta attenzione perchè la ferita, essendo aperta, oltre ad essere soggetta ad attacchi batterici, è anche aperta alle mosche….che ci possono depositare sopra le uova….causando un disastro assolutamente da evitare! La tartaruga fasciata non deve neanche essere bagnata ma va ricoverata in una zona asciutta. Il sole è fondamentale per la guarigione e per la cicatrizzazione, i rettili ne hanno davvero una grande necessità. Dopo due giorni le abbiamo tolto la fasciatura, ripulita nuovamente e le abbiamo asportato un coagulo di sangue, poi altro Betadine e l’abbiamo richiusa con la fasciatura nuova. Abbiamo provveduto ad una copertura antibiotica con Ampicillina iniettabile con una normale siringa da insulina in dose da 0,2 ml ogni 2 giorni. La puntura va fatta intramuscolare. Noi l’abbiamo fatta all’interno delle zampette posteriori. Conviene trovare il punto prima con tartaruga e tosaerbail dito per sentire il muscoletto ma è una operazione che va fatta in due. Uno trattiene la tartaruga e la zampina tirata in fuori, l’altra persona trova il punto e fa l’iniezione. La cosa che ci ha sollevato da subito è che, nonostante il trauma, facesse incetta di cubetti di pomodoro che le riponevamo davanti dopo ogni trattamento. Al terzo trattamento, pulita come al solito la lacerazione, le abbiamo spruzzato su tutta l’apertura del Trofodermin spray, antibiotico locale e cicatrizzante. Vedendo la ferita migliorare sempre più, abbiamo deciso di farle la puntura di antibiotico ogni 2 giorni e la medicazione ogni 4. Carlos, così si chiama la nostra cara tartaruga, sta in giardino durante le belle giornate di sole e vine riparata quando minaccia pioggia. Posso dire che se le è davvero vista brutta ma per fortuna sta bene, è attiva e mangia regolarmente. Per questo motivo ho deciso di scrivere questo articoletto per offrire la nostra esperienza. Ho scoperto anche che non sono l’unico a
cui è capitato questo incidente e spero di poter essere di aiuto a qualcuno.

Federico Lavanche

Pollo razza Marans

marans“E’ un pollo elegante, robusto, con ossatura assai fine, e assai rustico”. Così la prof.ssa Giavarini definisce la razza Marans nel suo libro “Le razze dei polli” (Edagricole, 1983).
Di categoria medio pesante, ottimo pascolatore, il pollo Marans è molto rustico e non teme gli sbalzi di temperatura e le condizioni meteorologiche più disagevoli.
La gallina depone dalle 160 alle 180 uova annue, grandissime e di un colore rosso ruggine molto carico o rosso fegato, più o meno uniformi o macchiettate.
Basterebbe questo a motivare l’interesse degli allevatori, amatoriali e non, verso la Marans, ma questa antica razza francese ha ancora molte frecce al suo arco.Le origini
Le radici più lontane, dal punto di vista genetico, risalgono addirittura al XII-XIV secolo, periodo di intensi traffici commerciali tra Francia e Inghilterra. I combattimenti tra galli erano allora già diffusi e molto praticati, anche a bordo delle navi mercantili che facevano la spola tra la Cornovaglia ed il porto di La Rochelle, nei pressi della cittadina di Marans. I galli reduci dai combattimenti, sbarcati, ebbero modo di incrociarsi con i polli locali, di origine del tutto ignota, allevati diffusamente nel marais costiero ed abituati a prosperare in un ambiente difficile. Da questo primo rimescolamento di geni nasce una razza locale di polli rurali estremamente rustici, piuttosto variabili nella colorazione, visto che i combattenti erano selezionati per la forza e l’aggressività, non certo per il colore, di corporatura relativamente robusta e deponenti un uovo rossiccio.
Ben poco cambia fino alla seconda metà del 1800, quando vengono importate in Europa le razze giganti cinesi, in particolare la Langshan, che verrà allevata verso il 1880 da L.Rouillè poco lontano da Marans, e di cui si apprezzavano molto la stazza, la carne, l’uovo grande e rosso.
Dall’incrocio dei Langshan acquistati dagli allevatori del marais con i soggetti locali, nascono i primi Marans più propriamente detti, simili alla versione odierna. Animali che hanno colorazione molto variabile, ma presentano per il resto caratteristiche sufficientemente uniformi di rusticità e struttura fisica, deponendo inoltre un uovo piuttosto grande e fortemente colorato.
Bisognerà attendere il 1920 perchè si inizi una selezione rigorosa ad opera di M.me Rousseau ed il 1928-1929 per una presenza un po’ più diffusa alle esposizioni ed i primi riconoscimenti ufficiali. Nel 1929 viene anche fondato il Marans Club de France con lo scopo di tutelare e diffondere la razza, definita inizialmente “Marandaise” e poi semplicemente”Marans”, dal nome del luogo di origine. Lo standard viene approvato nel 1931 e si trasforma successivamente senza troppe modifiche in quello attuale.

L’aspetto
La struttura fisica suggerisce l’idea di un pollo rustico, di altezza media, piuttosto massiccio ma non appesantito, con piumaggio abbondante ma aderente al corpo, come si conviene ad un degno erede di razze combattenti, il che maschera in qualche modo il suo peso reale, che secondo lo standard francese, è di 3,5-4 Kg per il gallo e di 2,6-3,2 Kg per la gallina.
Il corpo risulta piuttosto allungato anziché rotondeggiante, con petto ampio e ben formato, spalle larghe e con ali corte e portate alte e strette al corpo. Dorso anch’esso largo e piatto con sella ben guarnita di lancette.
Il collo è lungo e robusto, fornito di una ricca mantellina che copre anche le spalle. Tende tipicamente a flettersi all’apice, verso il cranio, soprattutto nella femmina.
Faccia, cresta, bargigli ed orecchioni sono rosso vivo, la cresta è semplice e portata dritta nel gallo, mentre nella femmina può anche presentarsi piegata. I dentelli sono bene incisi e separati, il lobo posteriore non tocca la nuca. L’occhio è di colore rosso aranciato, vivo e ardito, ed il becco robusto, un po’ ricurvo, color corno. Nel complesso, la testa trasmette un’impressione di forza e di fierezza, ma non di grande aggressività, come capita nelle razze combattenti.
La coda è piccola e corta sia nel maschio che nella femmina, portata con un angolo non superiore ai 45°. I tarsi e le dita sono impiumati più o meno leggermente, solo sulla parte esterna, chiara eredità lasciata dal progenitore Langshan. Il loro colore è bianco rosato, tranne che nelle femmine di varietà nera e nero ramata, in cui sono grigi. La misura dell’anello di identificazione, rilasciato dalle associazioni avicole nazionali (per l’Italia lo distribuisce la Federazione Italiana Associazioni Avicole FIAV) e indispensabile per presentare i soggetti nelle manifestazioni che prevedono il giudizio, è di 22mm per il gallo e 20mm per la gallina.
L’uovo, grande, rotondeggiante e molto colorato, caratterizza la razza Marans in modo inconfondibile ed esclusivo.

L’uovo
uovo maransL’uovo è forse il motivo principale di interesse verso questa razza. Ha un aspetto assolutamente spettacolare ed un colore rosso unico, tanto che vedendone per la prima volta uno di buona qualità, viene spontaneo esclamare: “Ma è stato colorato!?!”.
In effetti è proprio così, l’uovo è dipinto, ed il maestro pittore che produce tanta meraviglia è la gallina stessa, che è dotata, a circa dieci centimetri dalla fine dell’ovidotto, di un tessuto spugnoso in grado di secernere il pigmento colorante rosso fegato. Inoltre il muco che ricopre l’uovo può conferirgli un certo grado di lucentezza. Una volta che l’uovo è stato deposto e si asciuga, il colore si fissa sul guscio e non si altera più, a meno che venga lavato via intenzionalmente.
La quantità di pigmento che si deposita sul guscio dipende da moltissimi fattori, tra cui il tempo di attraversamento impiegato dall’uovo, la quantità di pigmento secreto dal tessuto spugnoso, la quantità di uova deposte, il periodo dell’anno, le condizioni fisiche dell’ovaiola, la grandezza, e quindi la superficie esterna dell’uovo stesso.
E’ quindi normale che la stessa gallina deponga uova anche molto diverse tra loro, soprattutto se esse vengono deposte in sequenza: le prime saranno più scure e diventeranno via via più chiare fino al giorno fisiologico di riposo, in cui non viene deposto l’uovo, per poi riprendere con il colore base. Nello stesso modo, ad inizio deposizione le uova sono generalmente più scure che verso la fine. In generale, comunque, ogni gallina tende a mantenere una sua tipologia nella disposizione delle chiazze o dei puntini scuri sulla superficie del guscio, così come del grado di lucentezza dell’uovo, quindi in un certo senso ogni gallina ‘firma’ le sue creazioni, per l’occhio attento dell’allevatore.
Esistono uova molto uniformi, in cui il pigmento si spalma su tutta la superficie senza irregolarità, uova puntinate, che hanno un fondo più chiaro ma ricoperto di una fitta rete di puntini più scuri e uova maculate, spruzzate di macchie di una certa grandezza, di cui talvolta si riesce anche a percepire lo spessore.
Il Marans Club de France ha messo a punto una scala colorimetrica per la misurazione del colore dell’uovo. La gradazione parte dal valore 1 per l’uovo bianco, fino a 3 per l’uovo rossiccio di tipo industriale. Il valore 4 è il minimo accettato per la Marans, dal 5 al 7 si progredisce nel grado di colore, avvicinandosi alla tonalità cioccolato, i gradi 8 e 9 sono riservati alle uova eccezionali, in cui il pigmento si presenta praticamente puro, e che di solito vengono prodotti come eccezione anche dalle stesse campionesse di razza. In Francia si tengono normalmente concorsi in cui le uova vengono sottoposte a giudizio come gli esemplari vivi, in base al complesso delle loro qualità.
Nella sua forma più tipica, l’uovo di Marans non è allungato, ma rotondeggiante e globoso, tanto che spesso è difficile distinguere il polo acuto da quello ottuso. La lucentezza è qualità desiderabile.
Il peso dell’uovo si attesta rapidamente tra i 70 e gli 80 grammi (si pensi per confronto che un uovo di Livorno pesa attorno ai 55 grammi), ma nella gallina ormai adulta e a fine deposizione, o al secondo anno, non sono affatto rare medie attorno ai 100 grammi.
Una volta aperto, l’uovo mostra l’interno inaspettatamente bianco candido, per cui rammenta tantissimo le note uova di cioccolata con sorpresa di cui vanno pazzi i bambini, e non solo loro.
Va detto inoltre che per il suo guscio con spessore più alto del normale, e per la particolare resistenza delle membrane testacee interne, l’uovo di Marans risulta più conservabile, meno o per nulla soggetto a contaminazioni esterne (es: salmonella) e meno soggetto a rotture, caratteristiche molto interessanti sul piano industriale.

Le varietà
Come si è detto, la Marans possiede un patrimonio genetico estremamente variegato, che inevitabilmente ha dato origine a molte varietà di colorazione; alcune storiche, ben affermate e fissate e pertanto riconosciute dallo standard, altre in corso di omologazione, altre ad oggi ancora oggetto di selezione da parte di allevatori e amatori avanzati, che non rinunciano al tentativo di estrarre dal grande serbatoio genetico nascosto nella Marans delle livree sempre nuove.
Si deve ribadire a questo proposito (cfr. paragrafo sulla selezione) che la necessità di mantenere le eccezionali caratteristiche dell’uovo rende impossibile la ricerca di nuove colorazioni attraverso incroci extra-razza, per cui in effetti non si tratta di creare nuove varietà, quanto piuttosto di portare alla luce, nel fenotipo, qualche caratteristica già contenuta nel genotipo della razza.
Lo standard italiano riconosce ufficialmente ad oggi soltanto le colorazioni bianca, nera, nera argentata, nera ramata, dorata frumento, fulva a coda nera, sparviero argentata.
Per la corretta interpretazione della descrizione delle varie colorazioni che segue, i termini ‘sparviero’ e ‘cucù’ sono da considerare sinonimi, così come i termini ‘frumento’ e ‘dorata frumento’.
Cucù Dorato, Cucù (o Sparviero) Argentato
La prima è ancora relativamente rara, mentre la seconda è piuttosto diffusa ed è stata la varietà principale per molti anni. Lo splendido piumaggio sparviero si distribuisce secondo una barratura grossolana e irregolare, che non forma striature precise. La mantellina, le lancette e le spalle sono rispettivamente dorate ed argentate e formano uno splendido effetto. Inoltre, come succede nelle colorazioni di questo tipo, i maschi sono molto più chiari delle femmine, fenomeno che si spiega con il fatto che la barratura chiara del maschio ha altezza doppia rispetto a quella scura, mentre nella femmina i due colori si equivalgono. Questa caratteristica, legata al sesso, rende i pulcini autosessanti, in quanto la differenza di piumaggio è evidente molto presto. Alla nascita il piumino è nero con ventre bianco argentato o giallastro ed una macchia dello stesso colore sulla testa.
Nero, Blu, Bianco Splash
La varietà nera pura, dominante rispetto a tutti gli altri colori, è quasi scomparsa ed anche le altre due sono relativamente rare. Specificamente per la livrea nero puro, ma anche più in generale nella Marans, non e’ richiesto né desiderabile che le parti di piumaggio nere presentino abbondanti riflessi verde lucente, indice di alta produzione di melanina, ma piuttosto devono avere riflessi verdi e violacei non particolarmente scintillanti. Di fatto il nero, il bianco ed il blu sono strettamente correlati tra loro. Il blu non è che un nero ‘diluito’, mentre il bianco splash, o chiazzato, è un lavanda molto molto chiaro in cui alcune piume si presentano marcate di blu, un po’ come i piccioni ‘arlecchino’. Si deve notare che l’incrocio di nero e bianco splash genera il blu, mentre l’accoppiamento di soggetti blu genera un 25% di nero, un 50% di blu e un 25% di bianco splash. Questo indica che in pratica il bianco splash è in realtà il colore blu omozigote, che quando si presenta nel genotipo in combinazione con le altre colorazioni, agisce come ‘diluitore’ delle parti di piumaggio nere, le quali diventano appunto blu nel fenotipo.
Nero Ramato, Nero Argentato, Blu Ramato, Blu Argentato
La prima è ad oggi la varietà più diffusa, di cui si conoscono stirpi che producono uova tra le più colorate. Le altre sono numericamente molto meno rappresentate, ma ugualmente affascinanti. Si tratta in definitiva di variazioni sul tema della livrea totalmente nera tranne che per la mantellina e, nel gallo anche il dorso e le spalle ramati, con tonalità che possono andare dal rosso ruggine al rosso mogano sostenuto. Il nero può essere diluito e diventare blu, il ramato può essere sostituito dal carattere argentato, generando appunto le varianti citate. Si tratta in ogni caso di soggetti molto appariscenti ed apprezzati. Bisogna fare attenzione a non confondere esemplari nero ramato che presentano eccesso di nero, e quindi dal piumaggio completamente nero, con esemplari realmente nero unito (rarissimi). Anche se i fenotipi possono essere identici, dal punto di vista genetico le due colorazioni appartengono a gruppi diversi con livelli di dominanza diversi (il nero unito domina), e questo non mancherà di essere evidente appena si tenterà di riprodurre i soggetti, ottenendo risultati inaspettati.
Frumento (o Dorata Frumento)
E’ anch’essa una varietà molto diffusa oggigiorno. La livrea del maschio è molto simile a quella del gallo nero ramato, da cui si distingue per il piumino grigiastro più chiaro nel frumento e dal triangolo dell’ala color cannella anziché nero. Anche i riflessi delle parti nere tendono più al violaceo e meno al verde scarabeo. La femmina è completamente diversa, possiede una livrea colore del chicco di grano, con dorso fulvo chiaro, mantellina più scura, parte inferiore del corpo color crema e coda e remiganti nere. La somiglianza del maschio di questa varietà con quello nero ramato e con quello salmonato ha causato in passato parecchia confusione, in quanto gli abbinamenti per la riproduzione potevano avvenire, inconsapevolmente, tra varietà diverse, è quindi necessario prestare la massima attenzione ai dettagli identificativi. I pulcini della varietà frumento sono gialli, al contrario dei nero ramato, che sono neri, e dei salmone, che hanno delle strisce sul dorso come i polli di colorazione selvatica. A tre settimane, poi, i galletti si distinguono nettamente dalle femmine perché hanno già le copritrici dell’ala nere, mentre le pollastre le hanno color frumento. La colorazione frumento è recessiva rispetto al nero ramato e dominante (tranne eccezioni rarissime che non è il caso di approfondire qui) rispetto al salmonato.
Salmone Dorato, Salmone Argentato. Sono varietà poco diffuse, di cui si conoscono ceppi dall’uovo splendido ma con esemplari di massa ancora troppo leggera. La colorazione è quella che più si avvicina a quella selvatica del gallus Bankiva e ricorda, per intenderci, quella della Livorno collo oro. La pettorina salmone dorata o argentata e la mantellina oro o argento delle femmine hanno valso alle due varietà il loro nome. Il maschio assomiglia molto al nero ramato e soprattutto al fumento, ma ha pettorina leggermente più chiara, un po’ più grigiastra. I pulcini hanno piumino giallo e recano sul dorso le strisce tipiche dei piccoli selvatici. Essendo inoltre anche qui come nel frumento il triangolo dell’ala color cannella, bisogna essere molto accorti se si intende procedere alla selezione in purezza.
Ermellinato
Anche questa varietà è molto rara. Si era quasi estinta, ma qualche appassionato sta cercando con pazienza di recuperarla. Il piumaggio è bianco ermellinato, cioè con fiamme nere sulla mantellina e sulle lancette e coda e punta delle remiganti nere. La testa resta bianca. Esiste anche, ma ancora più rara, una versione fulva dell’emellinato in cui le parti bianche vengono sostituite dal colore fulvo.
Fulvo a Coda Nera
Numericamente poco rappresentata, questa bellissima e capricciosa varietà rammenta come colorazione la New Hampshire, ed è vicina, per certi versi, alla Marans frumento. La femmina è di un colore fulvo sostenuto il più possibile uniforme, non come nella frumento che ha mantellina scura e pettorina chiara, mentre il gallo presenta la parure ramata, ma il ventre resta di un bel colore fulvo, mentre il gallo frumento ha il corpo nero. La coda e parte delle remiganti sono nere.
Bianco
Questa colorazione ha avuto in passato molto seguito, essendo stata utilizzata a scopo industriale. Successivamente semi-abbandonata, è stata invece recuperata ed è ad oggi abbastanza diffusa. Il bianco totale si può presentare nella Marans con diverse modalità: come colore-non-colore, che maschera gli altri colori presenti nel genotipo manifestandosi da solo nel fenotipo, ed in questo caso risulta dominante, oppure come colore bianco recessivo, che scompare dal fenotipo al primo incrocio. Di solito si incontra il bianco del secondo tipo, che si manifesta solo se omozigote e che, sotto l’influenza di altri geni, tende a presentare su dorso, spalle e mantellina, dove sarebbe stata presente la parure, dei riflessi paglierini che infatti sono ammessi dallo standard di colorazione. Un tempo il colore delle uova era più debole, ma oggi si conoscono ceppi con uovo molto ben colorato.
Nana
Esiste anche una varietà nana, o piuttosto semi-nana o miniatura, anche se non è molto diffusa. La taglia dovrebbe essere circa la metà di quella grande, mentre il peso circa il 30%, quindi attorno al Kg. Le colorazioni e tutti gli altri parametri di riferimento sono identici a quelli adottati per la razza di taglia normale. L’uovo è di solito di colore meno scuro di quello della Marans grande e necessita ancora di selezione.
Altre varietà
Nonostante l’enorme numero di varietà già presenti, o forse proprio per il fatto di disporre di così tanto materiale, alcuni allevatori evoluti si cimentano nella creazione di nuove colorazioni. Per esempio, l’allevatore olandese sig. P.Verwimp ha creato il cucù giallo, in cui la barratura si applica non al classico colore grigio, ma piuttosto ad un bel fulvo-limone, con risultati a dire poco spettacolari. L’allevatore francese sig. E.Mèon ha dato di recente notizia dei suoi primi risultati nella creazione di una varietà di argentato che non ha ancora nemmeno un nome ufficiale. La testa ed il collo, come la parte superiore della pettorina restano bianche, mentre il resto del corpo presenta delle barrature a fiocchi molto attraenti. L’insieme rammenta, ad esempio, la Braekel. L’allevatore francese sig. M.Martinod sta lavorando su un gruppo di ermellinate e bianco splash portatrici di ramato e di argentato con risultati vagamente simili al Faverolle.

Varietà in via di creazione (foto Marans Club de France)

Caratteri generali e comportamento
Come abbiamo visto, questo pollo è originario della zona paludosa prossima alla foce della Loira, esposta ai gelidi venti invernali che discendono dall’Artico attraverso l’Atlantico, ma con estati torride e relativamente asciutte. Non stupisce, di conseguenza, la sua estrema rusticità e la sua attitudine di pascolatore, che lo rende capace, in ambiente adatto, di ricavare buona parte del proprio nutrimento giornaliero razzolando qua e là.
Prospera nei grandi spazi, allontanandosi anche parecchio dal pollaio, se ne ha la possibilità. Ciò non toglie che sia capace di adattarsi anche alla vita in ambienti contenuti, purchè vengano rispettate le normali condizioni di densità (circa quattro soggetti per m2 di superficie dei ricoveri).
Entrambi i sessi sono piuttosto confidenti e addomesticabili, personalmente li ho abituati a prendere il mangime dalle mie mani e non posso entrare nel pollaio senza che mi sciolgano le stringhe delle scarpe tirandole con il becco. Probabilmente le scambiano per succulenti lombrichi. Le femmine sono sempre piuttosto tranquille, mentre i galletti si rivelano abbastanza battaglieri, soprattutto quando il gruppo di appartenenza non possiede una gerarchia stabile e ben definita. Non ho mai osservato direttamente, invece, alcun eccesso di aggressività né dei maschi verso le femmine, né viceversa, né verso gli umani, e non ho mai notato alcun accanimento verso animali più giovani. Talvolta anche le femmine sviluppano, con l’età, dei piccoli speroni, spesso su un tarso solo. Probabilmente questa è una eredità proveniente dagli avi combattenti, ma lo standard non la contempla e quindi è da evitare.
La femmina può chiocciare, ma non è detto che lo faccia, dipende soprattutto dal ceppo di appartenenza. Quando cova, comunque, è una buona madre e si prende cura senza problemi della sua prole. Le caratteristiche dell’uovo (grandezza, spessore del guscio) ostacolano in qualche misura la nascita del pulcino, il che si traduce talvolta in percentuali di schiusa leggermente inferiori alla norma. Per questo è importante selezionare per la cova le uova di peso medio, da 70 a 80 grammi, ben formate, senza asimmetrie e difetti visibili.
L’impennamento e la crescita del pulcino sono generalmente rapidi, anche se ogni tanto ne capitano alcuni che tendono a rimanere di corporatura più piccola del normale o ad impennarsi tardivamente, cosa che obbliga ad escluderli dalle linee di riproduzione. In diverse varietà di colorazione, come abbiamo visto, i pulcini sono autosessanti.
Di regola il peso di 2,5-3kg circa viene raggiunto dai maschi poco dopo il quarto mese, il che dimostra la buona attitudine alla produzione di carne dalle ottime qualità organolettiche (il sapore rammenta la faraona). Tutti i tessuti sono particolarmente consistenti e fermi, la pelle, bianca per tutte le colorazioni di piumaggio, è abbastanza resistente alla lacerazione anche nell’animale giovane, come ben sa chi ha provato a spiumarne qualcuno a mano.

La selezione
I principi di selezione sono relativamente semplici, ma la selezione in sé è abbastanza laboriosa, complicata dal fatto che per apprezzare correttamente le qualità di un riproduttore, si dovrebbe attendere la produzione di uova della sua prole e valutarne il colore, il che non è sempre possibile e/o agevole. Inoltre, l’insieme di geni che originano l’uovo extra-rosso è talmente complesso che ogni inquinamento proveniente da incroci fuori razza produce immediatamente uova troppo chiare. Questo fornisce una prima, importantissima regola da seguire: nessun incrocio fuori razza è ammissibile.
Per quanto non si conosca il meccanismo in dettaglio, almeno una parte dei geni “uovo rosso” è legato al sesso, lo testimonia il fatto che viene trasmesso dal gallo in maniera doppiamente forte rispetto alla gallina, come hanno dimostrato incroci sperimentali condotti ad hoc. Un’altra regola di selezione, quindi, sarà la scelta di riproduttori, soprattutto galli, nati da uova molto scure.
A questo proposito è anche opportuno, nel valutare il grado di colore dell’uovo, tenere ben presenti tutti i principi di variabilità della sua colorazione già enunciati, allo scopo di evitare di dare la preferenza, per esempio, a uova di una mediocre ovaiola, che essendo deposte più di rado sono di regola più scure, rispetto a quelle di una buona ovaiola, che magari ne produce di altrettanto scure, ma in maggior numero, o più grandi, per cui al momento risultano un po’ più chiare.
In ogni caso, anche se le prime due regole vengono osservate, è sempre possibile che una pollastra deponga uova brutte o non sufficientemente scure, dunque sarà necessario escludere comunque dalla selezione le femmine che producono uova non nello standard e anche quelle che ne producono troppo poche, visto che non si deve dimenticare l’origine rurale ed utilitaristica di questo pollo. Oltre a questo, dovranno essere preservate la velocità di crescita e di impennamento così come il piumaggio aderente al corpo e ben conformato nelle ali, cosa che garantisce che gli animali siano perfettamente capaci di volare.
Come per tutte le razze, la selezione dovrà poi mirare al mantenimento delle caratteristiche dichiarate come desiderabili nello standard, quindi: mantenimento del peso, della silhouette, della costituzione fisica, del portamento previsti, mantenimento del colore e dell’impiumatura dei tarsi e infine miglioramento della colorazione del piumaggio in termini di rispondenza a quello previsto per la varietà di appartenenza.
Il primo e più importante punto da curare, comunque, resta la deposizione di un uovo extra-rosso, tanto che è preferibile eventualmente ‘allargare’ i parametri di selezione per qualche altro carattere, da migliorare in un secondo tempo, pur di mantenere costantemente alto quanto possibile il livello qualitativo dell’uovo. L’insieme dei geni responsabili delle sue caratteristiche, una volta disperso, potrebbe non essere più riproducibile.

Bibliografia
– S.Deprez-C.Herment – La Marans – Ed. Rupella, 2000 (in lingua francese)
– I.Giavarini – Le Razze dei Polli – Ed. Edagricole, 1983
– F.Focardi – Il colore delle uova nella Marans – Avicoltura/Avicoltura n.11 Lug.-Set.2004
– www.marans.eu – sito ufficiale del Marans Club de France curato da C.Herment (anche pagine in italiano)
– www.marans.be – sito sulla Marans curato da C.Veltenaar (anche pagine in italiano)
– www.fiav.info – sito ufficiale della Federazione Italiana Associazioni Avicole curato da S.Tonetto

Paolo Rasoini abita in provincia di Pisa ed alleva polli a livello amatoriale da molti anni. Fa parte dell’Associazione Toscana Avicoltori e dal 2003 si interessa della Marans collaborando anche con il Marans Club de France di cui è socio. E-mail: prasoin@tin.it

La Brambilla vuole chiudere i delfinari: «Una barbarie contro animali intelligenti e sensibili»

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immaginiDelfinarioRimini_Delfinario_4L’ex ministro presenta una «proposta di legge per vietare in Italia la detenzione e l’addestramento dei cetacei»
L’ex ministro del Turismo, Michela Vittoria Brambilla, lancia un appello chiedendo di «non visitare i delfinari». «Costringere i mammiferi marini, creature intelligenti e sensibili, a vivere in vasche e ad esibirsi per il divertimento della folla è pura barbarie – spiega l’ex ministro Brambilla – Per questa ragione ho presentato una proposta di legge che vieta nel nostro paese la detenzione e l’addestramento di cetacei e porterebbe, se approvata, alla chiusura dei delfinari esistenti».
«NO AI DELFINARI» – Balene e delfini sono «animali molto intelligenti – ricorda la parlamentare del Pdl – che vivono in gruppi sociali complessi ed hanno bisogno Delfinario-Sonora-03di relazioni» e «separarli ancora piccoli dalle loro famiglie vuol dire infliggere loro un trauma gravissimo, in molti casi insuperabile». Da sempre in prima linea per la difesa dei diritti degli animali, Michela Vittoria Brambilla aggiunge: «Come se non bastasse questi poveri animali devono imparare ed eseguire “numeri da circo” di fronte a spettatori paganti. Non c’è da stupirsi se lo stress mentale, emozionale e fisico indebolisce il delicato sistema immunitario dei cetacei, li porta spesso alla malattia e alla morte. L’elevato indice di mortalità alimenta nuove catture in tutto il mondo, a volte con metodi particolarmente crudeli». Come dire: «La loro casa è l’oceano, non certo una vasca di 400 metri quadri per cinque esemplari e 100 metri quadrati per ogni esemplare aggiuntivo – sottolinea Brambilla – lo standard minimo fissato dalla normativa italiana, considerata “generosa”».

delfinarioINTERVENGA LA POLITICA – Ricorda inoltre l’ex ministro Brambilla che «i delfinari sono a tutti gli effetti imprese commerciali e non dovrebbero ottenere permessi di importare cetacei, neppure vantando presunti “scopi scientifici” che al dunque si rivelano inesistenti». Eppure, continua la deputata animalista, «il regolamento europeo 338/1997 vieta l’importazione di cetacei nell’Unione per scopi prevalentemente commerciali». «Per questo – conclude Michela Vittoria Brambilla – faccio appello a tutte le forze politiche affinché sostengano la mia proposta di legge che vieta nel nostro paese la detenzione e l’addestramento di questi meravigliosi animali».

fonte: corriere.it

Voi, cosa ne pensate?

Caccia alle balene illegale, L’Aja ordina lo stop al Giappone

caccia alle balene

Finora la “finalità scientifica” era usata come un pretesto, ma la Corte internazionale chiude il contenzioso decennale. Il Paese ha sempre difeso la sua “tradizione secolare”, ma lo scorso anno 6000 tonnellate di carne di balena sono andate sprecate: eccessivi i livelli di mercurio

ANSA
Una nave giapponese impegnata nella caccia alla balena

ILARIA MARIA SALA
Non vi sono “fini scientifici” nella pesca alla balena giapponese, ha deciso la Corte internazionale di giustizia (CIG) all’Aja, e dunque il Giappone non potrà più continuare a pescare balene con questa scusante: la CIG infatti ha disposto la sospensione della pesca dei cetacei per fini “scientifici”, portato avanti da Tokyo dal 1988 – ovvero, dopo che la caccia alle balene era stata dichiarata illegale.

Prima del verdetto Tokyo aveva annunciato che avrebbe rispettato il volere della CIG, ma nel corso degli anni la posizione giapponese ha mostrato di essere arroccata sulla questione della pesca dei cetacei per motivi quasi inspiegabili, se non da una testardaggine che sfiora nel nazionalismo, dato che il consumo della carne di balena è spesso descritto come “tradizione” giapponese, su cui, dunque, gli stranieri non dovrebbero pronunciarsi.

Eppure, anche i giapponesi sembrano ormai guardare a questa spuria “tradizione” con un certo sospetto, in particolar modo a causa dell’enorme potenziale tossico della carne di balena. Come tutti i pesci di grossa pezzatura, infatti, anche la balena accumula nel suo corpo, in particolare nelle molecole grasse, tutti i veleni che oggi si trovano nel mare, in particolare i metalli pesanti. Così, secondo uno studio del Journal of Environmental Science and Technology del 2003 mostrava come, già allora, la carne di balena contenesse livelli “allarmanti” di mercurio. Da allora, l’inquinamento marino è solo peggiorato, e la presenza di metalli pesanti nei cetacei – come nelle carni di molti altri pesci – non ha fatto che aumentare.

Ma il Giappone, da tempo, ha ormai perso il piacere di consumare carne di balena, vuoi per l’evolversi della dieta nazionale, vuoi per i pericoli associati al mercurio: e così, lo scorso anno il Giappone aveva in magazzino 6000 tonnellate di carne di balena, di cui, rari esperimenti scientifici a parte, non sapeva davvero cosa farsene. Questo rappresenta un costo considerevole per il Giappone, la cui dimostrazione scientifica nel cacciare balene, voleva provare anche che questa fosse una pratica sia ecologicamente che commercialmente sostenibile: invece, ora che si appronta ai notevoli costi del riparare la Nisshin Maru, la baleniera nazionale, il Giappone deve affrontare anche il crescente numero di genitori arrabbiati per la pratica di rimpinguare i pasti scolastici dei bambini aggiungendo carne di balena nelle mense nazionali, per cercare di liberare un po’ dei depositi debordanti. Operazione commerciale fallimentare, dunque, fonte di tensioni sociali e scacco totale rispetto alle relazioni pubbliche internazionali: e se il Giappone approfittasse del verdetto all’Aja per smettere di cacciare balene e delfini?

fonte: lastampa.it

Il 28 aprile arriva la “Festa del cane”

Come per la donna, il papà, la mamma, gli innamorati ed i nonni, esiste il giorno solenne del cane, notoriamente miglior amico dell’uomo. Anche nel 2014 la Festa del cane  si celebrerà il 28 Aprile. 

festa del cane

Una festa dedicata agli amici a quattro zampe

festa del cane3Dopo la trentaquattresima edizione della festa del cane bastardino e la rassegna di concerti canini, tenutesi nel mese di Febbraio rispettivamente ad Empoli e Catania, si avvicina una data cara agli estimatori di quest’animale, considerato oramai da decenni, il miglior amico dell’uomo. Anche quest’anno infatti, il 28 Aprile è stato scelto come anniversario delle celebrazioni degli amici a quattro zampe. La Festa del Cane è un evento relativamente recente, fortemente rivendicato ed acclamato dagli animalisti di tutto il mondo, desiderosi di vedere finalmente riconosciuti e tutelati i diritti di una specie che è entrata a far parte della nostra quotidianità.

 

L’importanza di questa data

festa del cane2La ricorrenza annuale, che riunisce cinofili provenienti da tutte le regioni d’Italia e non solo, cade nel giorno della liberazione dei Beagle di Green Hill, un successo senza precedenti nel panorama delle battaglie antivivisezione sostenute dagli animalisti di tutto il mondo. Una vittoria importante quella contro l’organizzazione, che allevava animali destinati alla sperimentazione in laboratorio, al fine di testare farmaci, pesticidi ed altri prodotti chimici altamente nocivi. Più di duemila esemplari sono stati letteralmente salvati con l’ultima sentenza della Corte di Cassazione, cifre che val la pena di evidenziare, ma soprattutto ricordare con un’apposita giornata. Così a dispetto delle altre date proposte, tra cui spiccavano il primo Dicembre, per la costellazione del Cane Maggiore, il 30 Aprile, compleanno di Pluto, ed il 3 Novembre, per la missione della cagnetta Laika nello spazio, la data della liberazione dei Beagle, ha raccolto maggiore consenso.

Chi aderisce

Ad aderire all’iniziativa del 28 Aprile, tutti coloro che abbiano deciso d’impegnarsi concretamente a favore dei cani, rispettandoli per ciò che sono, ossia esseri viventi bisognosi di cure e di attenzioni come chiunque altro. Diverse associazioni di volontariato per l’adozione dei cuccioli abbandonati, e rivenditori specializzati che da anni si battono per la tutela dei diritti degli animali, faranno sentire la propria voce su tutto il territorio nazionale, con attività ludiche, workshop e conferenze dedicate. ll ritrovamento di un animale in difficoltà, il modo in cui approcciare al cane e dargli la giusta considerazione, i temi più caldi in programma. Nel frattempo, chi fosse interessato a prendere parte alle iniziative o volesse proporre un evento, potrà trovare molteplici spunti consultando siti specializzati come http://animalmania.it/blog/.

L’idea comune è che la Festa del cane debba essere innanzitutto una giornata di speranza, da vivere serenamente insieme ai propri fidati amici animali.

Valentina Barretta

Anatra

L’anatra è un uccello dell’ordine degli Anseriformi, classe Anatidi.

anatra muta 2Le specie di anatra allevate in cattività sono molte, e alcune di esse sono state addomesticate. Vengono utilizzate soprattutto per scopo alimentare, per produrre uova, per la carne e per il fegato, ma possono anche essere impiegate per la caccia e per scopi ornamentali.

Le anatre allevate discendono da due specie selvatiche, la Chairina moschata, la famosa anatra muta o muschiata, detta anche anatra di Barberia, e il Germano reale o anatra selvatica (Anas platyrhynchos), che ha dato origine a tutte le anatre domestiche, spesso chiamate anatre comuni.

Allevamento dell’anatra

anatra mutaL’anatra presenta alcuni vantaggi rispetto al pollo. Non razzolando, non danneggia i giardini e libera la vegetazione e il terreno da larve, insetti (anche zanzare), molluschi, essendo instancabile nella ricerca del cibo; il piccolo di anatra non ha bisogno né del caldo artificiale, né di quello materno già dopo pochi giorni di vita; la sua alimentazione è molto più semplice, la crescita molto rapida; è meno sensibile alle intemperie, quindi si ammala di meno e necessita di ricoveri meno protettivi.

L’anatra domestica è diventata negli ultimi anni una forte concorrente dei polli nella produzione di uova, che sono più grandi (circa 70 g), e vengono utilizzate soprattutto in pasticceria e nella produzione di pasta.

Le anatre da carne sono solitamente macellate intorno alle 7-8 settimane di vita.

L’anatra muta è utilizzata per la produzione di carne di eccellente qualità e del fegato, che è adatto per produrre foie gras (fegato grasso).

L’anatra in cucina

anatra muta cucinaLa classica ricetta a base di carne di anatra prevede l’uso dell’arancia, che ben si sposa con l’aroma caldo e intenso di questo animale. C’è da dire che le carni degli animali allevati in modo intensivo non hanno aromi e sapori particolarmente spiccati e quindi possono essere gradite a tutti coloro che non amano carni dai sapori forti.

L’anatra è un uccello volatore e quindi il suo petto contiene mioglobina, rendendo la sua carne di colore rosso. Il petto di anatra si presenta come una grossa bistecca con la pelle da un lato, va cotto brevemente, lasciandolo rosato all’interno, e la pelle va utilizzata per liberare il grasso da utilizzare in cottura, che rende questa carne magrissima più tenera e succosa.

La coscia di anatra può essere utilizzata per preparazioni in umido, come quella del pollo, mentre l’anatra intera può essere preparata arrosto alla stregua del pollo.

Il germano reale (anatra selvatica), ha carni scure dall’aroma molto intenso e va in genere preparato in umido con l’aggiunta di spezie (ginepro, chiodo di garofano, cannella), con un soffritto di odori (sedano, carota, cipolla) sfumati nel vino che poi vanno frullati per preparare la salsa di accompagnamento.

La Francia dice sì alla caccia al lupo rischio invasione in Piemonte

Sono circa 200 gli animali che vivono sulle Alpi al confine tra i due paesi e cinque branchi si spostano tra le valli francesi e quelle di Susa e Chisone. L’allarme dei pastori del Torinese

lupoLa Francia ha deciso: il lupo si potrà cacciare, e le operazioni di prelievo partiranno proprio dalle regioni confinanti con il Piemonte: Rhone Alpes e Paca. Lo ha annunciato il ministro dell’Agricoltura Stéphane Le Foll, durante un convegno, pochi giorni fa nella cittadina di Drome. Il ministro ha spiegato di aver scritto una lettera ai prefetti, con il responsabile del dicastero dell’Ecologia, Philippe Martin, in cui si autorizzano le operazioni di prelievo per i cacciatori addestrati, nei boschi francesi che confinano con la montagna torinese. Ad esempio a ridosso della Val Susa e Val Chisone, ma senza dimenticare la zona delle Alpi Marittime. L’elevata concentrazione di branchi (si stima la presenza di circa 200 lupi in tutta la Francia) unita ai continui attacchi agli allevamenti di ovini e bovini, ha convinto i francesi a una scelta drastica, per tutelare l’economia montana. Ovviamente la caccia al predatore delle Alpi dovrà rispettare le prescrizioni della direttiva Habitat, essendo il lupo un animale protetto a livello europeo. “Nel 2013, su 24 abbattimenti autorizzati, ne sono stati effettuati solo tre – ha spiegato il ministro – i nostri mezzi non sono sufficienti e per quello chiederemo il supporto dei cacciatori locali”.
Il provvedimento francese avrà delle ripercussioni anche in Piemonte, proprio perché alcuni dei branchi che saranno colpiti, sono quelli definiti “transfrontalieri”. Ce ne sono cinque di questo genere, di cui due nella provincia di Torino: tra Bardonecchia e Nevache in Val Claree, e tra l’Haute Maurienne e la Val Cenischia, al Moncenisio. Ma occorre citare anche il branco della Valle Ripa, con lupi che si spostano tra Cesana e il Monginevro. Nella provincia di Torino, altri branchi sono presenti in Val Germanasca, Val Chisone, nel Gran Bosco di Salbertrand e nel parco Orsiera, e dall’estate scorsa anche nelle Valli di Lanzo. Un totale di 2530 lupi, mentre in tutto il Piemonte si è stimata la presenza di circa 40 esemplari. Ma in futuro sarà più difficile monitorarne la presenza: la Regione ha infatti deciso dopo 13 anni di tagliare il progetto di ricerca partito nel 1999. 

Intanto sale la protesta tra gli allevatori piemontesi: “Solo quest’anno mi hanno massacrato oltre trenta pecore, non si può più andare avanti – dice sconsolato Silvano Galfione, che ha l’alpeggio in Val Chisone – sono venuti anche in queste ultime due notti”. Secondo gli allevatori non si può permettere ad un predatore simile di riprodursi senza controlli: “La Francia fa bene a permettere la caccia controllata – aggiunge – ma noi pastori non contiamo nulla, i politici sono senza palle, e temono di perdere voti perché il lupo piace ai cittadini, è bello da vedere nelle foto”. Della stessa opinione Silvia Fiore, con alpeggio a Venaus: “Siamo esasperati, coi tempi che corrono, non possiamo più permetterci di pagare un guardiano notturno per sorvegliare gli animali e contro i branchi non basta un cane da guardia”. Iniziando la caccia in Francia, i lupi cercheranno un rifugio sicuro nelle vallate piemontesi? La ricercatrice Elisa Avanzinelli tranquillizza gli animi: “Non c’è rischio di invasioni, ma non è abbattendo i lupi che si risolvono i problemi della pastorizia. Solo la prevenzione può tutelare gli allevatori: installando recinzioni elettrificate, non lasciando incustoditi le greggi, e rinforzando la sorveglianza con guardiani e cani”.

Procione – Procyon lotor

Procyon lotorNome comune: PROCIONE

Nome scientifico: Procyon lotor

Famiglia: Procionidi

Ordine: Carnivori

Classe: Mammiferi

CARATTERISTICHE:

ProcioneLa dimensione del procione ricorda quella della volpe. La lunghezza testa-corpo è di 40-70 cm e l’altezza alla spalla è di 23-35 cm. Il peso varia dai 4 ai 9 kg.

La testa è rotonda e il muso allungato; le orecchie sono tondeggianti e bordate di bianco.

La folta pelliccia del procione è caratterizzata da tonalità del grigio. Distintiva è la mascherina sul muso di colore nero e bordata di bianco.

Le zampe presentano delle “dita” piuttosto lunghe provviste di artigli taglienti.

Un’altra specie è il procione granchiaiolo che ha il corpo più lungo rispetto agli altri, sebbene abbia una coda leggermente più corta; i denti sono, inoltre, più spessi e robusti e la pelliccia è più corta, di colore grigio scuro con macchie gialle.

VITA ED ABITUDINI:

procione (1)I procioni conducono una vita solitaria, anche se nel periodo invernale si possono creare delle aggregazioni più o meno numerose.

Questi animali non difendono un territorio in modo particolarmente marcato, tanto che le aree familiari si possono sovrapporre.

Generalmente il periodo riproduttivo cade tra gennaio e marzo. Durante questa fase i maschi visitano le tane delle femmine e si accoppiano, quindi non si creano dei legami di coppia stabili.

Tra aprile e maggio vengono alla luce 2-8 piccoli completamente ciechi e dal peso di 60-70 gr. Il legame tra la madre e la prole s’interrompe con il successivo periodo riproduttivo. A questo punto i giovani creano dei gruppi, prima di cercare individualmente un proprio territorio.

orsetti-lavatoriIl procione è una specie onnivora, che si adatta a qualsiasi disponibilità alimentare. Si nutre di frutta, ghiande, avena, mais, lombrichi, insetti, micromammiferi, uccelli e uova.

E’ un ottimo scalatore e un eccezionale nuotatore. Spesso utilizza vecchie tane (per trascorre il giorno, per allevare la prole e per ibernare) costruite dalla volpe o dal tasso, oppure delle cavità naturali.

Occupa diversi habitat, anche se preferisce le zone agricole e le foreste miste procioni (3)ricche di aree umide. Lo possiamo incontrare ai margini delle città, nei parchi e nei frutteti. Il suo attuale areale di distribuzione comprende gli Stati Uniti, il Canada, l’Europa centrale e l’Asia.

La pelliccia dei procioni, pur essendo ruvida, è molto bella; quella della specie nordamericana, in particolare, è apprezzata fin dal XVII secolo e ancora oggi viene utilizzata per confezionare berretti e altri capi di vestiario. La caccia al procione è molto praticata negli Stati Uniti meridionali e avviene di notte utilizzando i cani, che stanano questi mammiferi nei pressi delle paludi e dei corsi d’acqua.

NON TUTTI SANNO CHE:

Il procione, prima di ingerire il cibo lo manipola ripetutamente con le zampe anteriori, dando l’impressione che desideri lavarlo, ciò gli è valso il nome di orsetto “lavatore”.

IL PROCIONE IN ITALIA:

Raccoon_(Procyon_lotor)_2Sono così carini, simpatici, sono tanto amabili gli orsacchiotti dalla maschera bianca e nera, quelli che lavano nell’acqua il cibo prima di mangiarlo! Peccato che l’intero genere dei Procyionidae, cui appartiene il Procione o anche Orsetto lavatore, non può essere allevato in cattività in quanto è inserito nell’elenco degli animali «che possono costituire pericolo per la salute e l’incolumità pubblica e di cui è proibita la detenzione», come stabilito dal Decreto del Ministero dell’Ambiente del 19 aprile del 1996.
La caratteristica principale del Procione è la mascherina di pelo nero attorno agli occhi, in forte contrasto con il colore bianco che la circonda.

Chi, nelle sue terre d’origine (Stati Uniti, Messico e America centrale), ha a che fare abitualmente con l’Orsetto lavatore ne conosce le caratteristiche di pericolosità dovute non solo alla possibilità di aggressione fisica, ma sopratutto alle malattie che questo animale è in grado di trasmettere agli uomini e agli animali. Rabbia, leptospirosi e altre amenità di questo tipo rendono poco simpatico e tollerato questo animale a chi spesso lo incontra di sera nel proprio giardino.

ProcioneSenza contare la cosiddetta «Conhound raccoon disease», una grave paralisi che colpisce alcune razze di cani che sono entrate in contatto e sono state più volte morsicate dal simpatico orsacchiotto che lava la mela nell’acqua prima di mangiarsela.

Ora, il problema è che alcuni procioni, nel secolo scorso, sono stati deliberatamente introdotti in Francia e Germania e da qui si sono diffusi anche in Lombardia trovando un ambiente ideale lungo le sponde dell’Adda. Ed è proprio in un paese che si chiama Fara Gera d’Adda, in provincia di Bergamo, che i guai sono diventati insostenibili, quando la presenza dell’orsetto dalla mascherina nera ha cominciato a farsi ingombrante a causa del numero di esemplari. Non più un paio che desta la curiosità della gente, ma un centinaio che ormai tiene sotto scacco il paese. Rumori notturni strani, galline che scompaiono o si trovano a terra in un lago di sangue, tubi rosicchiati che perdono acqua… di chi la colpa? Dei procioni.

procione italiaAvvistamenti sono stati segnalati fin dal 2004 e poi nel 2008. Negli ultimi anni si sono moltiplicati e, secondo gli esperti, vi sarebbero addirittura due o tre colonie nella zona di Fara Gera d’Adda nel Parco regionale dell’Adda Nord. Altre segnalazioni sono state fatte alla Forestale e ai vigili del fuoco per la presenza di procioni nei sottotetti di abitazioni, nei container dei rifiuti e anche nelle vicinanze del laghetto della Trucca vicino all’Ospedale di Bergamo. Ciò significa che il procione si sta diffondendo sempre più. «È un problema che ormai ci trasciniamo da qualche anno» commenta il sindaco Valerio Piazzalunga «ogni tanto ci sono cittadini che li segnalano. E gli operatori della piattaforma ecologica raccontano che se li ritrovano nei cassoni della spazzatura a mangiare gli avanzi, e devono metterli in fuga prima di poter scaricare nuovi rifiuti. Noi non possiamo intervenire, perché si tratta di animali classificati come pericolosi, e quindi serve l’intervento di personale specializzato. Ora temiamo che possano anche diffondersi nella zona tra l’Adda, il canale e l’ex Linificio, ormai dismesso».

Gli assedi di paesi e città da parte di animali non sono infrequenti. Poco tempo fa, a Livorno, sembrava di rivivere le scene de Gli Uccelli di Hitchcock, solo che si trattava di gabbiani reali, che proteggevano uova e piccoli attaccando chi capitava. A Cinisello Balsamo, pochi giorni orsono dopo aver subito un’invasione di afidi (piccoli insetti tipo cimici), il centro è andato in allarme per la presenza di un elevato numero di grosse api per nulla rassicuranti. Un’invasione originale e tutto sommato gradita è quella avvenuta a Blagoveshchensk, nella regione di Amur nell’Estremo Oriente russo. Il paese, forse per l’estate piovosa, ha subito l’invasione da parte di centinaia di migliaia di coccinelle. Non male, portano fortuna.

fonte: ilgiornale.it

Aquila reale uccisa da una fucilata

aquila reale morta

SPOLETO – È una specie rara e protetta a livello comunitario e in tutto l’Appennino umbro-marchigiano se ne contano non più di 15 coppie nidificanti, di cui almeno 4 all’interno del Parco Nazionale dei Monti Sibillini. Eppure è stata proprio un’aquila reale di due o tre anni ad essere stata uccisa dai pallini di un cacciatore nel giorno di preapertura della stagione venatoria. La sua carcassa è stata trovata a settembre scorso sull’alto versante meridionale di Monte Maggiore, nel territorio comunale di Campello. La conferma che si trattasse della “regina dei cieli appenninici” è arrivata dopo la necroscopia congiunta eseguita all’Istituto Zooprofilattico Sperimentale e presso la Sezione di Chirurgia e Radiodiagnostica della Facoltà di Veterinaria di Perugia. Secondo gli esami compiuti, l’animale al momento della morte era “in perfette condizione fisiche, nel pieno delle proprie capacità locomotorie e sensoriali”. La causa del decesso dunque sarebbe da attribuirsi ai tre pallini da caccia rinvenuti nel corpo dell’esemplare dagli esperti: “Due in posizione centrale nella cavità basso-addominale, uno nella cavità toracica a tre millimetri del segmento toracico della colonna vertebrale, tutti in posizioni e condizioni letali”. Il colpo di fucile sarebbe stato sparato a non più di venti metri di distanza da un’arma lunga, probabilmente un fucile. E secondo la ricostruzione, avrebbe colpito l’animale in volo “strappandogli il possente becco”.

 

Un precedente a lieto fine

Nel 2001, un’aquila reale era stata trovata nei pressi di Bolognola, dal Corpo forestale dello Stato, su segnalazione di alcuni cercatori di funghi. Le sue condizioni apparivano disperate, a causa delle ferite d’arma da fuoco su un’ala procuratele da un cacciatore. Subito affidata al Centro di recupero animali selvatici dell’Oasi Wwf Bosco Frasassi di Fabriano, l’aquila si era salvata, ma l’ala non aveva recuperato la sua funzionalità. Poi, a 10 anni di distanza dal suo ritrovamento, è tornata tra le sue montagne, nel Centro Faunistico di Castelsantangelo sul Nera, nel Parco Nazionale dei Monti Sibillini. anche se costretta a vivere in cattività.

di Antonella Manni

fonte: il messaggero.it

– See more at: http://www.falconeria.org/aquila-reale-uccisa-da-un-cacciatore-si-cerca-il-colpevole/#comment-74

Il Lupo in Italia – Canis lupus italicus

canis lupus italicus2

Il lupo (Canis lupus, Linnaeus 1758) è un mammifero appartenente all’ordine dei Carnivori e alla famiglia dei Canidi.
Il lupo “Garganico”, per cui il lupo dell’ Appennino (Canis lupus italicus), è una sottospecie del lupo. Sulla classificazione esistono tuttora controversie tra gli esperti relative all’attribuzione del rango di sottospecie, ma è indubbiamente caratterizzato da peculiari adattamenti all’ambiente appenninico che lo rendono unico. Il lupo appenninico è più piccolo rispetto al lupo comune, la taglia è quella di un cane di medie dimensioni, infatti, il peso di un maschio si aggira attorno ai 30-35 Kg., mentre una femmina è di circa 20-25 Kg., la lunghezza media è di circa 120 cm, mentre l’altezza al garrese varia dai 60 ai 70 cm.
Il lupo è un carnivoro puro, che oltre a predare animali di grandi dimensioni quali cervi, caprioli, cinghiali e occasionalmente ovini e bovini domestici, può mangiare di tutto, bacche, funghi, insetti, lucertole, rane, uccelli, topi ed altri piccoli mammiferi, nonché, carcasse e rifiuti vari.

 

Distribuzione

Distribution_Canis_Lupus_ItalicusLa popolazione odierna, tenendo conto delle comunità alpine e di quelle presenti nel territorio peninsulare, è composta da un numero di individui che si aggira tra le 600 e le 1.000 unità, con la popolazione alpina composta da circa 100-120 esemplari e quella peninsulare da 500-800 individui, sebbene alcune stime parlino di 1.000-1.200 esemplari presenti in tutto il territorio italiano. Tuttavia, trattandosi di stime, il numero esatto non è al momento conosciuto. La popolazione alpina, pur crescendo con ritmi piuttosto veloci (10% all’anno), risulta ancora in pericolo per l’esiguità del numero di individui e per lo scarso contatto con altre popolazioni di Canis lupus, entrambi fattori che potrebbero indebolire il corredo genetico. Per questo motivo, tale popolazione è considerata in pericolo, mentre la popolazione appenninica, a causa della maggiore consistenza numerica è considerata a minore rischio e categorizzata come vulnerabile. Tuttavia anche per questa popolazione la riduzione del flusso genico e la pressione antropica, esercitata soprattutto attraverso il bracconaggio rappresentano evidentemente dei fattori di rischio elevati. Tuttora, infatti, persistono campagne di persecuzione, attraverso il bracconaggio, che utilizza principalmente armi da fuoco, bocconi avvelenati e lacci. Si tratta in ogni caso di comportamenti illegali, perché tutte le Leggi Regionali sulla caccia tutelano senza eccezioni il lupo e, a livello nazionale, esso è specie integralmente protetta.
Uno dei maggiori pericoli a cui è esposto attualmente il lupo appenninico è l’ibridazione, causata dall’accoppiamento con cani rinselvatichiti, con conseguente corruzione del patrimonio genetico di questo animale.
Come detto, il lupo appenninico è attualmente presente sull’intera catena degli Appennini e sulle Alpi Occidentali. Il maggior numero di branchi ed esemplari è presente in Abruzzo, con i nuclei principali nell’area del Parco Nazionale omonimo e nei settori a cavallo tra il Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, il Parco Nazionale della Majella ed il Parco nazionale dei Monti Sibillini e, in Calabria, nel Parco Nazionale della Sila; il territorio abruzzese, inoltre, grazie alla presenza di efficaci corridoi faunistici è l’unico in tutto l’Appennino a permettere spostamenti da parte del lupo sull’asse Ovest-Est e viceversa.
Nel Lazio è presente sulla dorsale appenninica (particolarmente nel Parco dei Monti Simbruini), ma anche sui Monti della Tolfa, sui Monti Lepini e sui Monti Ausoni. Da circa 5 o 6 anni è stato registrato il suo ritorno anche nel Parco naturale dei Monti Aurunci. Ci sono stati avvistamenti anche nella campagna romana con un branco di 4-5 lupi. Negli ultimi anni alcuni esemplari sono stati avvistati all’interno del territorio del Parco Regionale dei Castelli Romani e nel Parco naturale regionale delle Serre. Nel 2010 sono avvenuti sporadici avvistamenti di 3-4 esemplari sui boschi del Subappenino Dauno nella Puglia settentrionale e 5 esemplari sulle Murge. Nel 2011 è stato accertato il ritorno del lupo italico nel Parco nazionale del Gargano dove alcune ricerche hanno confermato la presenza di almeno un nucleo familiare. Da poco tempo poi si è stabilito un branco nel Parco nazionale del Gran Paradiso.
reintroduzione lupo italicusDa qualche anno si registra inoltre la presenza di alcuni esemplari di Canis lupus italicus in Svizzera, Valle d’Aosta e Lombardia. Altri individui erratici sono stati avvistati anche sui Pirenei. È infine probabile il ricongiungimento della popolazione del lupo appenninico con la popolazione del lupo sloveno: alcuni esemplari sono stati infatti segnalati nel Friuli-Venezia Giulia a partire dal 2000. Nel 2009 sulle Dolomiti è stata trovata la carcassa di un lupo, morto per cause naturali. Nella Provincia di Imperia, dopo operazioni atti ad aiutare il ripopolamento, sono stati fotografati a partire dal 2011. Nel 2012 nel Parco naturale regionale della Lessinia è stata verificata la presenza di una coppia di lupi, una femmina della popolazione italiana e un maschio di quella balcanica, diventando il primo caso verificato di ricongiungimento tra le due popolazioni, (ne parleremo più dettagliatamente nel seguito di questo articolo); la coppia si è riprodotta nel 2013. Le uniche regioni d’Italia dalle quali il lupo non è mai scomparso sono Campania, Basilicata, Calabria e Abruzzo, dove, all’interno delle foreste dei Monti Picentini-Alburni, del Pollino, del Vulture, della Sila e Parco nazionale d’Abruzzo, ha potuto proseguire la sua vita in relativa serenità e isolamento.

canis lupus italicusIl lupo, può vivere isolato o in branchi gerarchicamente organizzati, con la presenza di un maschio e una femmina, capo-branco, detti “alfa” che hanno la dominanza assoluta sugli altri componenti del branco; le dimensioni dei branchi variano a seconda delle disponibilità ambientali ed alimentari, possono essere composti da 2 a 15/20 e più individui. Nel branco solo la coppia “alfa” si riproduce, il resto del branco protegge ed assiste nella crescita i loro cuccioli. L’accoppiamento avviene all’incirca nel mese di marzo, la gestazione dura intorno ai 2 mesi ed il numero dei nuovi nati (in genere nel mese di maggio) varia: dai 2 agli 8 cuccioli, i lupi hanno 1 solo periodo riproduttivo all’anno. La vita media di un lupo è di circa 10 anni ed è strettamente legata alla capacità di provvedere al proprio sostentamento. Il verso più caratteristico ed affascinate del lupo è l’ululato che serve sia a segnalare la propria presenza che come richiamo per gli altri membri del proprio branco.
L’habitat naturale del Lupo è rappresentato da zone boscose in generale ma è capace di adattarsi ad ambienti diversi, purché ampi e selvaggi e non disturbati dall’azione o dalla presenza dell’uomo. E’ prevalentemente notturno, durante il giorno si rifugia nei luoghi più selvaggi ed inaccessibili, dove passa il tempo riposando e giocando, talvolta compie piccoli e rari spostamenti diurni, ed è un animale difficile da avvistare, per cui, l’incontro con un lupo in natura, diventa un evento eccezionale che pochissimi fortunati possono vantarsi di aver vissuto. Il Lupo non ha predatori naturali, se si esclude l’uomo.
Del lupo, a parte illustrare le caratteristiche zoologiche più o meno note, non è facile scrivere, anche perché molto si è gia scritto o detto su di esso. E’ l’animale che più di ogni altro ha ispirato, in tutto il mondo, sia positivamente che negativamente favole, romanzi, racconti, film e leggende, era ed è tuttora, simbolo di forza e astuzia, creatura misteriosa e mitologica, ma anche un animale associato a forze oscure e maligne, simbolo di paura e cattiveria. Chi non conosce la storia della lupa di Roma che allattò Romolo e Remo, chi non conosce la fiaba di Cappuccetto Rosso e il lupo cattivo, ecc. ecc., gli scritti, i racconti, le fiabe e le leggende sul lupo sono tantissimi.

La Ripresa

canis_lupus_italicus_aA partire dagli anni ’70 vennero attuate le prime politiche di conservazione, che favorirono l’aumento della popolazione. Nel 1971 partì la campagna del Parco Nazionale d’Abruzzo e del WWF significativamente chiamata “Operazione San Francesco” e nel 1976 vennero promulgate le prime leggi di conservazione[8]. Nei primi anni ’80 una nuova indagine stimò il numero degli esemplari in circa 220-240 individui, in espansione. Negli anni ’90 nuove stime portarono il numero a circa 400 lupi, con in più il ripopolamento di zone, come le Alpi Occidentali, dalle quali questi animali erano scomparsi da quasi un secolo.
Contemporaneamente rinascevano comportamenti persecutori da parte dell’uomo: ad esempio, negli anni ’80, a seguito della ricomparsa di un piccolo nucleo di lupi nel comprensorio dei Monti Lepini, si attivarono nella zona squadre di armati che spesso arsero vive nelle tane intere cucciolate. In un episodio emblematico, accaduto nel 1983 a Carpineto Romano, un cucciolo di lupo, dopo essere stato barbaramente ucciso, venne inchiodato al portone del municipio, come monito per gli ambientalisti.

L’addomesticamento del Lupo

addomesticamento lupoNell’antichità, il lupo veniva visto, dai popoli nomadi legati alla caccia, in maniera molto positiva. Essendo anch’esso cacciatore, il lupo era un mito, ne veniva esaltata l’audacia, la potenza, l’astuzia, l’abilità nelle azioni di caccia (la straordinaria coordinazione del branco durante una battuta di caccia) e ne venivano imitate le tecniche, si può affermare, infatti, che le prime tecniche di caccia utilizzate dall’uomo derivano dall’osservazione dello stile predatorio del lupo.
Tutto cambiò quando nacquero le prime civiltà stanziali, fondate sull’agricoltura e sulla pastorizia, dove si è cominciato a vedere il lupo come un competitore, un nemico da combattere e da eliminare. Questa situazione fece sì che nel medioevo l’odio nei confronti del lupo aumentasse notevolmente, fino ad associarlo come un animale vicino alle forze oscure e maligne, cattive e sleali, e addirittura al diavolo.
Niente di più falso, la vera cattiveria e slealtà è stata perpetrata dall’uomo, nei confronti di questa mitica e misteriosa creatura, che ricopriva un ruolo principale nella catena alimentare di predatore insieme all’uomo. Il lupo non era preda dell’uomo come l’uomo non era preda del lupo, ma, un concorrente, due cacciatori antagonisti, una competizione vinta dall’uomo in modo sleale. Dal medioevo fino agli anni 70’, venne cacciato, braccato, ucciso con ogni mezzo; il lupo, insomma, da grande predatore, da grande cacciatore, una volta venerato, veniva cacciato, divenendo preda dell’uomo che da antagonista cacciatore divenne cacciatore di lupi. Tutto ciò, solo perché il lupo era divenuto un concorrente scomodo, perché l’uomo aveva mutato il suo modo di vivere, non più legato solo alla caccia, ma cominciava ad allevare le proprie prede (le greggi).
Per queste azioni repressive il lupo rischiò di scomparire, ma negli anni 70’ per fortuna, divenne specie protetta. Il lupo attualmente è una specie “particolarmente” protetta e non cacciabile. Con il passare degli anni però, per il sempre meno spazio di natura selvaggia e il moltiplicarsi senza controllo del lupo, sarà inevitabile una nuova contrapposizione dei due cacciatori storici, il lupo e l’uomo, predatore contro predatore, il maestro (lupo) contro l’allievo (uomo). Ma l’allievo ha superato il maestro, con l’evidente vantaggio dell’uomo aiutato dalla tecnologia. Questa volta, una battaglia tra titani, già vinta in partenza dall’uomo per ovvi motivi, al solo scopo di ristabilire un equilibrio ecologico.

Nonostante tutto, l’uomo cacciatore (un po’ meno l’uomo allevatore o urbano) continuerà ad onorare il suo maestro (il lupo), perché, sa bene, che, ci fu un tempo in cui il lupo insegnò all’uomo le sue tecniche di caccia. C’è stato un tempo in cui il rispetto reciproco di cacciatori si è trasformato da concorrenza ad alleanza, infatti, nella notte dei tempi e con modalità ancora sconosciute, qualche lupo ammirata l’intelligenza dell’uomo, decideva di avvicinarsi pian piano agli accampamenti dell’uomo, si sottometteva e accettava scarti ed avanzi che l’uomo gli porgeva con stima, ammirazione e stupore. Sempre più attratto dall’amicizia sincera dell’uomo decideva di partorire i suoi cuccioli tra gli uomini, fino al punto di lasciar toccare ed accudire i propri piccoli dal nuovo branco umano, il lupo trovò nell’uomo un alleato sincero, cominciò a fidarsi, da divenire pian piano negli anni un suo fedele ausiliario “IL CANE”, si perché il lupo è il progenitore selvatico del cane domestico, pronto a cacciare al fianco dell’uomo ed a morire, se necessario per lui. Un rapporto Lupo-Uomo che ha arricchito entrambi, con una solo differenza, la fedeltà del lupo per il tramite del cane non è eguagliabile da nessun sentimento umano.

La storia di Slavc e di Giulietta

E’ un evento storico, ma loro non lo sanno.

Slavc e Giulietta sono due Lupi.   Nei giorni scorsi, nel parco naturale regionale della Lessinia (VR, VI), hanno avuto due cuccioli, due piccoli di Lupo ed è già un avvenimento storico, perché si tratta della prima riproduzione lupesca sulle Alpi orientali da almeno un secolo.

Ma non basta.   Slavc è un Lupo balcanico, di provenienza dinarica, appartiene alla specie Canis lupus, mentre Giulietta è un Lupo italiano e appartiene alla sottospecie Canis lupus italicus.  Dopo più di 150 anni, c’è stato un nuovo incontro e una nuova riproduzione fra le due distinte popolazioni.

Un avvenimento storico che fa ben sperare per la sopravvivenza del nostro Lupo, della nostraTerra.

A.N.S.A.16 agosto 2013

Nati due cuccioli lupo nel Parco Lessinia. Evento nel Veronese, i ‘piccoli’ filmati dal Corpo Forestale dello Stato.

Due cuccioli di lupo hanno preso possesso di un’area della Lessinia veronese. Una ‘videotrappola’, nei giorni scorsi, ha documentato l’avvenuta riproduzione con la presenza di due cuccioli di lupo. E’ stata quindi accertata la riproduzione della prima coppia di lupo delle Alpi orientali, formatasi lo scorso anno in Lessinia dall’incontro tra un lupo balcanico di provenienza dinarica, ‘Slavc’, e una femmina di lupo italico, ‘Giulietta’. Nel corso degli accertamenti svolti nei giorni successivi, è stato possibile riprendere ‘dal vivo’ le prime immagini dei due cuccioli. È il risultato del costante monitoraggio svolto dal personale del Parco della Lessinia e del Comando Stazione di Bosco Chiesanuova del Corpo Forestale dello Stato.

L’eccezionale evento riconduce a quanto zoologi e ricercatori avevano previsto e attendevano da tempo: il ricongiungimento di due popolazioni diverse non più in contatto da secoli con la formazione di un nucleo familiare, l’unico noto per le Alpi orientali, fatto di elevatissimo valore biologico e conservazionistico. Le attività di monitoraggio e vigilanza continuano al fine non solo di identificare geneticamente i nuovi nati ma anche di seguire e tenere costantemente sotto controllo le attività del nuovo nucleo familiare. La specie, ‘particolarmente protetta’ dalle normative nazionali e comunitarie, ha un importante ruolo al vertice della piramide alimentare nell’ecosistema alpino.

Si sottolinea che quest’ospite speciale, estremamente schivo ed elusivo con abitudini prettamente notturne e crepuscolari, non rappresenta alcun pericolo per l’uomo, e riuscire ad osservarlo in natura è un evento eccezionale e fortuito. Come testimoniano i dati relativi al restante territorio italiano, Appennino e Alpi occidentali, a fronte di diverse centinaia di animali presenti – rileva una nota del Parco delle Lessinia – non è mai stato documentato alcun caso di aggressione nei confronti dell’uomo nell’ultimo secolo.

La cuccia ideale

cuccia per caneLa scelta della cuccia per il tuo fedele amico è fondamentale, quanto la scelta della casa per te: sarà il luogo sicuro dove andrà a ripararsi da intemperie e dove potrà trovare tranquillità quando necessario.

La cuccia ideale non è solo quella resa confortevole dal nostro affetto, imbottita e arredata, ma soprattutto quella più adatta per dimensioni:

  •  Deve esserci sufficiente spazio da permettere al cane di stare in piedi davanti all’ingresso, sdraiarsi e girare su sé stesso comodamente: la cuccia dovrà essere di circa 30 cm più larga, 45 cm pù lunga e 22 cm più alta rispetto al tuo cane (l’altezza é quella del garrese del cane).
  • L’ingresso dovrà essere di una dimensione consona alla grandezza dell’animale per permettergli di entrare e uscire agevolmente dalla cuccia: circa 5 cm oltre l’altezza del garrese e 5 cm oltre la larghezza del cane:
  • Per dare maggiore protezione al cane, l’entrata andrebbe meglio fatta da un lato anziché nel mezzo.
  • Se invece il vostro è un cane da guardia, la porta di accesso dovrà essere più grande considerato che questi cani istintivamente ispezionano il territorio circostante e necessitano di avere una visuale più ampia.

Posizionamento

L’indicazione generale è di preferiere posizioni intermedie, dove l’escursione termica sia moderata: mai troppo fredda d’inverno nè troppo calda d’estate.

La soluzione ideale potrebbe essere di posizionare la cuccia sotto coperture preesistenti, come porticati, pensiline o pergolati. Se non ce ne fossero, andrà benissimo anche a ridosso delle mura di casa: l’importante è che sia sufficientemente riparata da vento e intemperie, non esposta al calore diretto del sole nei periodi più caldi dell’anno.

Dovrebbe essere posizionata vicino all’ingresso di casa, in modo che sia ben visibile, così che il cane possa sorvegliare facilmente il luogo, altrimenti potrebbe trovarsi una posizione diversa dove riposare!

Manuntenzione

  •  smontare, lavare e disinfestare con regolare frequenza durante l’estate
  •  se possibile ribaltare il fondo per evitare deformazioni
  •  rimuoverla, pulire e disinfestare abbondantemente la parte sottostante e permettere una buona asciugatura
  •  disinfestare le paratie di protezione
  •  se la lettiera è composta da paglia, sostituire e bruciare la vecchia
  •  se la lettiera è composta da vecchi indumenti, sostituire molto spesso in quanto la stoffa può favorire lo sviluppo dei parassiti e il ristagno dell’umidità (sostituire più spesso nella stagione umida)

Il ritorno dell’orso sulle Alpi Centrali

Ursus arctos

Quale futuro per l’orso bruno (Ursus arctos)? Malgrado sia una specie protetta fin dal 1939, il rapporto tra uomini e orsi non sempre è stato corretto, tanto che alla fine del secolo scorso se ne paventava addirittura l’estinzione. Con l’intervento dell’Unione europea, ha preso avvio nel 1996 un progetto, rifinanziato nel 2000, per la salvaguardia del celebrato planti-grado. Il progetto è stato promosso dal Parco Naturale Adamello Brenta e con-dotto in collaborazione con la Provincia Autonoma di Trento e l’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica. Il fu-turo degli orsi sembra oggi meno precario, anche se sarà necessario che gli enti coinvolti nella tutela del plantigrado trovino le opportune sinergie e collaborazioni.
L’orso bruno (Ursus arctos) è una specie particolarmente rilevante a livello europeo, come sancito dalle direttive comunitarie preposte alla salvaguardia della biodiversità. Nella direttiva “Habitat” (92/43 CEE), il plantigrado è indicato come “specie prioritaria” (con asterisco), ovvero come specie «per la cui conservazione la Comunità ha una responsabilità particolare» (Art. 1), «per cui gli Stati membri garantiscono la sorveglianza dello stato di conservazione» (Art. 11) e infine elencato tra le specie «di interesse comunitario che richiedono una protezione rigorosa» (allegato IV). Inoltre, in Europa l’orso bruno è una specie inclusa nell’appendice II (“Specie di fauna rigorosamente protette”) della Convenzione di Berna del 1979, in cui le nazioni aderenti vengono stimolate a trovare opportune misure di salvaguardia della specie e di conservazione degli habitat.

A dispetto del supporto legale (l’orso bruno è una specie protetta fin dal 1939 in base all’art. 38 del Testo Unico della Caccia, secondo il qua-le veniva considerato raro e meritevole di protezione), il rapporto tra uomini e orsi è sempre stato ambivalente. Se, per un verso, l’orso ha condiviso il suo territorio con l’uomo fin dall’antichità, entrando a pie-no titolo nella cultura delle genti alpine, alcuni fattori conflittuali hanno condannato la specie ad una caccia spietata che, intorno al XIX-XX se-colo, ne ha decretato l’estinzione quasi totale dall’arco alpino. Già dopo la seconda guerra mondiale, il plantigrado è dunque rimasto confinato in una ristretta area del Trentino occidentale che nel 1988, anche per questo scopo, è divenuta area protetta con il nome di Parco Naturale Adamello Brenta. Alla fine del secolo scorso, tuttavia, anche il nucleo di orsi del Brenta, ridotto a non più di 2-3 individui, aveva superato la so-glia dell’estinzione: una ripresa naturale era considerata assolutamente improbabile.

In questo contesto, nel 1996, ha preso avvio mediante finanziamenti “Life” dell’Unione Europea il Progetto “Ursus – Tutela della popolazione di orso bruno del Brenta”, rifinanziato nel 2000 (sempre dall’Unione Europea) con il titolo “Ursus – Seconda fase di tutela del-l’orso bruno del Brenta”.

Il progetto “Life-Ursus”


Ursus arctos2L’intervento di salvaguardia nei confronti del plantigrado – promos-so dal Parco Naturale Adamello Brenta e condotto in stretta collaborazione con la Provincia Autonoma di Trento (PAT) e l’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica (INFS) – si è basato su una attenta fase preparatoria. In base ad un apposito “Studio di fattibilità”, la reintroduzione è stata individuata come l’unico metodo in grado di riportare gli orsi sul Brenta: 9 individui (3 maschi e 6 femmine di età compresa tra 3 e 6 anni) sono stati indicati come il contingente minimo per la ricostituzione, nel medio-lungo periodo (20-40 anni), di una popolazione vitale di orsi sulle Alpi Centrali, formata da almeno 40-50 individui. Lo “Studio di fattibilità” ha inoltre stimato – mediante un’approfondita modellizzazione del territorio comprendente il Trentino occidentale e parte delle province di Bolzano, Brescia, Sondrio e Verona – in più di 1.700 km2 le aree idonee alla presenza del plantigrado: superficie giudicata sufficientemente ampia per ospitare la popolazione minima vitale.

Proprio in base all’estensione territoriale dell’area interessata dal progetto ed alla sua complessità, numerosi sono stati i partner che han-no collaborato all’iniziativa. Sono infatti stati formalizzati accordi operativi, oltre che con le quattro province confinanti con quella di Trento, anche con l’Associazione Cacciatori Trentini, che collabora tuttora al monitoraggio degli orsi immessi, con il WWF di Trento e con numero-si altri enti, organizzazioni ed associazioni di categoria.
Dato l’elevato impatto emotivo della specie, la fase preparatoria del progetto ha previsto altresì la realizzazione di un sondaggio di opinione (affidato all’Istituto Doxa di Milano): più di 1500 abitanti dell’area di studio sono stati intervistati telefonicamente per verificare l’attitudine, la percezione nei confronti della specie e la possibile reazione di fronte ai problemi derivanti dalla sua presenza. I risultati sono stati sorprendenti: più del 70percento dei residenti interpellati si sono dichiarati a favore del rilascio di orsi nell’area e la percentuale ha raggiunto addirittura l’80per-cento di fronte all’assicurazione che sarebbero state adottate misure di prevenzione dei danni e gestione delle situazioni di emergenza.

Questi ultimi provvedimenti sono stati adeguatamente e dettagliata-mente pianificati dal Parco nell’ambito delle “Linee Guida” che, oltre a definire l’organizzazione generale del progetto, hanno permesso di individuare gli enti e le figure coinvolte a vario titolo, identificando compiti e responsabilità nell’ambito di tutte le attività previste per favorire una positiva realizzazione della reintroduzione.
La fase operativa del progetto ha preso avvio nel 1999, con la liberazione dei primi due esemplari: Masun e Kirka, catturati nelle riserve di caccia della Slovenia meridionale. Tra il 2000 e il 2002 sono stati liberati altri 8 individui, per un totale di 10 complessivi (l’ultima femmina, Maja, è stata liberata per sostituire Irma, morta nel 2001 a causa di una slavina).

Tutti gli orsi rilasciati sono stati dotati di un radiocollare e di due marche auricolari trasmittenti. Questi dispositivi hanno consentito di monitorare gli spostamenti degli animali per il periodo successivo al ri-lascio, confermando le previsioni dello “Studio di fattibilità” e l’ottimo adattamento degli individui reintrodotti al nuovo territorio di vita.

 

Presente e futuro degli orsi sulle Alpi


Ursus-arctos-horribilisIl successo dell’operazione di reintroduzione è stato sancito soprattutto dal rapido accrescimento della popolazione. A seguito degli otto eventi riproduttivi accertati tra il 2002 e i primi mesi del 2006 (per un totale di 20 cuccioli nati in 5 anni) dopo più di un decennio di inattività riproduttiva, il nucleo di orsi che ha il Parco come sua core area è oggi stimato in più di 20 esemplari.

Parallelamente all’incremento numerico, la popolazione di orsi si sta espandendo anche dal punto di vista territoriale: la presenza della specie non è infatti più limitata al Trentino occidentale ma comprende aree distanti qualche decina di chilometri dal Parco. L’esplorazione del territorio, sintomo del raggiungimento della capacità portante dell’area pro-tetta e dell’idoneità ambientale dei territori confinanti, lascia ben spera-re per un eventuale futuro ricongiungimento di tutte le popolazioni alpine, anche se il pericolo di estinzione non può ancora dirsi scongiurato. Desta infatti particolare preoccupazione la consanguineità tra gli individui derivante dal fatto che la maggior parte dei cuccioli nati in Trentino negli ultimi anni sono figli di un unico maschio (Joze, 11 anni di età), con un conseguente elevato rischio di depressione da inbreeding per le prossime generazioni se non si interverrà preventivamente.

ursus-arctos-tegnProprio per questo motivo, nonostante la fine dei finanziamenti europei, il Parco prosegue le sue attività di tutela nei confronti del plantigrado, in stretta collaborazione con gli altri enti coinvolti (in primis la Provincia Autonoma di Trento, ente legalmente preposto alla gestione della specie).
Nel dettaglio, per favorire il raggiungimento di una popolazione minima vitale sulle Alpi Centrali, l’impegno del Parco si è concretizzato mediante l’istituzione, al suo interno, di un “Gruppo di Ricerca e Conservazione dell’Orso Bruno” composto da biologi, naturalisti ed un eterinario che coordinano le attività di ricerca scientifica e divulga-zione nei confronti della specie. Conoscere il numero di individui, la distribuzione sul territorio e la ripartizione per sesso ed età, ma anche le abitudini alimentari, le caratteristiche dell’ibernazione e i potenziali fattori di disturbo della popolazione di orsi è infatti indispensabile per controllarne l’evoluzione nel tempo e prendere conseguentemente le decisioni gestionali più idonee. Considerando inoltre che a tutt’oggi l’immagine dell’orso bruno nell’opinione pubblica rimane basata più su miti e leggende che su assunzioni di ordine biologico ed ecologico, il progetto di conservazione del Parco prevede, oltre alle attività di monitoraggio e ricerca scientifica cui si è appena accennato, un’ampia opera di divulgazione e comunicazione rivolta a tutte le categorie sociali. Proprio per ottimizzare la realizzazione di tali interventi di informazione, e per rendere altresì disponibile la propria esperienza anche al di fuori dei propri confini territoriali, il Parco, insieme ad alcuni tra gli enti storicamente impegnati per la salvaguardia del plantigrado sul-l’arco alpino (Servizio Foreste sloveno, WWF Austria e Dipartimento di Scienze Animali dell’Università di Udine), ha delineato alcune azio-ni di comunicazione utili per favorire la convivenza con il plantigrado, con particolare riferimento alle azioni urgenti necessarie nelle zone di nuova colonizzazione. Tali principi sono stati redatti – insieme ad un modello predittivo di dinamica di popolazione tendente ad individua-re le aree di possibile espansione futura degli orsi sulle Alpi – nell’ambito di un apposito progetto ancora una volta promosso dall’Unione Europea (LIFE Co-op Natura “Criteri per la creazione di una metapopolazione alpina di orso bruno”).

Il futuro degli orsi sembra dunque oggi meno incerto, anche se il ri-torno definitivo della specie sulle Alpi è tuttora strettamente dipenden-te dalla possibilità di ricongiungimento tra l’unica popolazione stabile di orsi sull’arco alpino, quella slovena, e i nuclei presenti in Austria e in Italia. Tale possibilità potrà divenire realtà solo se tutti gli enti coinvolti nella tutela del plantigrado sapranno trovare le più opportune sinergie e forme di cooperazione. Purtroppo le collaborazioni in tal senso, attual-mente, rappresentano più un’eccezione che non la regola.

di Filippo Zibordi

Bibliografia

AA.VV. 2005 – Criteri di comunicazione per la conservazione dell’Orso Bruno sulle Alpi. Rapporto redatto nell’ambito dell’Azione A3 del progetto LIFE Co-op Natura LIFE2003NAT/CP/IT/000003 (Criteri per la creazione di una me-tapopolazione alpina di orso bruno). http://www.pnab.it/Lifecoop/azione_a3.htm

 

DUPRÉ, E. – GENOVESI, P. – PEDROTTI, L. 1998 – Studio di fattibilità per la rein-troduzione dell’orso bruno (Ursus arctos) sulle Alpi centrali. Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica e Parco Naturale Adamello-Brenta. Rapporto Tecnico: pagg. 1-96.

 

GRUPPO DI RICERCA E CONS. DELL’ORSO BRUNO DEL PNAB 2002 – La rein-

 

troduzione dell’orso bruno nel Parco Naturale Adamello Brenta. Attività di ricerca scien-tifica e tesi di laurea. Documenti Parco n. 15. Parco Naturale Adamello Brenta Ed. Strembo, pp. 254.

 

GRUPPO DI RICERCA E CONS. DELL’ORSO BRUNO DEL PNAB 2002 – La rein-

 

troduzione dell’orso bruno nel Parco Naturale Adamello Brenta. Attività di ricerca scien-tifica e tesi di laurea – seconda parte. Documenti Parco n. 16. Parco Naturale Adamello Brenta Ed. Strembo, pp. 144.

 

MUSTONI, A. 2004 – L’Orso Bruno sulle Alpi, Nitida Immagine Editrice, Cles, pp. 236.

 

PARCO NATURALE ADAMELLO BRENTA 1998 – Linee guida per l’organizzazione e la realizzazione dell’intervento di immissione di orsi nel Parco Naturale Adamello Brenta, pp. 1-25.

 

SWENSON, J. – GERSTL, N. – DAHLE, B. – ZEDROSSER, A. 2000 – Action plan for the conservation of the brown bear in Europe (Ursus arctos), Council of Europe, Nature and Environment, 114: pp. 1-69.

Sperimentazione animale: superflua o necessità?

ratto da laboratorio

L’argomento è interessante e dibattuto ed anche di attualità.
La sperimentazione sugli animali è l’effettuazione di test su esseri viventi a scopo di ricerca, qualcosa che serve non solo a provare l’efficacia di una molecola, ma anche a chiarirne la sua pericolosità, la tossicità, la dose utile e quella “inutile”, c’è un solo passaggio che precede l’uso sull’uomo, quello su esseri più vicini possibile all’essere umano, gli animali.
Per questo motivo i test su animali oggi sono obbligatori per testare l’efficacia e la tossicità di un prodotto, l’alternativa sarebbe quella (drammatica) di passare dalla teoria (le ipotesi scientifiche e le provette) direttamente all’uomo con tutto ciò che potrebbe conseguirne.
Beagle-9C’è però un limite, quello etico: molti animali hanno un valore “affettivo”, possono cioè rappresentare un affetto per tutti noi, i cani, i gatti ma anche altri animali, oggi sono stati addomesticati e sono spesso parte integrante delle nostre famiglie, nascono quindi diversi movimenti che protestano contro la “vivisezione” (ma è un termine corretto?) e che chiedono che si sospendano i test sugli animali a tutti i costi, a questo argomento si può ragionevolmente rispondere con il fatto che la stragrande maggioranza dei test animali a scopo scientifico sono realizzati su animali non “affettivi” quali i topi ed i moscerini. Per questo il dibattito corretto non dovrebbe essere posto solo sul piano etico ma dovrebbe considerare anche il buon senso e la logica: raggiungere un compromesso tra “etica” e “scienza”, obiettivo che già da tempo è discusso proprio negli ambienti scientifici, molto raramente nei movimenti cosiddetti “animalisti”.
Questi movimenti di pensiero hanno molte sfumature, da quelli più “ragionevoli” (che chiedono ad esempio di evitare i test su animali di tipo affettivo o per motivi “superflui”) a quelli più ideologici (che chiedono la sospensione di qualsiasi test su animale, una prospettiva praticamente inapplicabile) fino ad arrivare a movimenti violenti (che attaccano anche fisicamente chiunque sia anche solo teoricamente a favore della sperimentazione animale).
Il problema, come spesso accade, crea fazioni, divisioni, urla e confusione ed il cittadino (quello che alla fine usa ed è destinatario di ciò che si sperimenta sull’animale) è spesso confuso, non sa bene di cosa si parla, è inondato da informazioni di tutti i tipi, molte delle quali false e strumentali. Si tende infatti a far passare l’idea che i ricercatori che sperimentano anche su animali siano persone senza scrupoli né pietà e che gli esperimenti effettuati non servano a niente. In realtà, i movimenti “contro” la sperimentazione non oppongono molti argomenti a quelli di chi spiega l’importanza dell’uso di animali nella ricerca e così il dialogo, spesso animato, si basa quasi unicamente su posizioni etiche ed affettive.
Ci sono anche molte contraddizioni che nascono obbligatoriamente, ancora di più in questo momento, nel quale il parlamento italiano sta discutendo una nuova legge sulla sperimentazione animale che contiene molti punti piuttosto discutibili. Uno di questo è quello relativo agli “xenotrapianti”, ovvero il trapianto di tessuti da una specie animale all’altra. La norma è piuttosto strana, se approvata vi sarebbero conseguenze piuttosto singolari. Ad esempio continuerebbe ad essere permessa la macellazione e consumazione di suini ma sarebbe proibito usare le loro valvole cardiache per salvare la vita ad un essere umano o sarebbe permessa la derattizzazione ma proibito usare un ratto per sperimentare su problemi gravissimi come il cancro o le ustioni.

Proviamo allora a fare chiarezza e chiediamo cos’è ed a cosa serve la sperimentazione animale a chi si occupa di queste cose e lo fa per motivi di ricerca.
Propongo quindi un’intervista al dottor Giuliano Grignaschi, responsabile Animal Care Unit IRCCS Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Milano.

Ringraziandolo per aver concesso l’intervista credo che questa possa essere una buona occasione per chiarire qualche dubbio.

Dottor Grignaschi, iniziamo chiarendo un concetto: il termine “vivisezione” è corretto? C’è una differenza tra questa e la sperimentazione animale?

Il termine vivisezione indica, ovviamente, la sezione di un essere vivente e quindi potrebbe essere utilizzato per indicare qualsiasi intervento chirurgico, su un animale come su un uomo. Ad esempio, andando dal dentista potrei dire di essere “vivisezionato” e non sbaglierei dal punto di vista grammaticale ma sicuramente la definizione non sarebbe accettata. Il problema infatti è nel significato che comunemente si da a questo termine, utilizzato ad arte per evocare immagini di sofferenza e tortura. Per questo motivo il mondo della ricerca oggi non accetta più l’utilizzo strumentale di questo termine e vuole chiedere che si utilizzi la definizione più corretta di “sperimentazione animale”. Per quanto questa discussione possa apparire banale, va considerato il fatto che stiamo parlando di un argomento ad alto impatto emotivo quindi l’abuso di definizioni particolari, come appunto “vivisezione”, viene utilizzato per stimolare l’emotività della gente e sopraffare la razionalità. Un esempio evidente di questo è la domanda che frequentemente ci sentiamo rivolgere da attivisti di gruppi animalisti: “Perché la vivisezione non la fate sui cadaveri?”; ovviamente chi pronuncia una domanda di questo genere, sopraffatto dall’emotività, non si ferma nemmeno un attimo a ragionare sul significato di ciò che sta chiedendo. Possiamo quindi dire che la differenza tra “vivisezione” e “sperimentazione animale” è nel significato che comunemente si attribuisce ai due termini: nel primo caso una pratica rozza e crudele che è già vietata da tanto tempo mentre nel secondo caso una pratica bio-medica condotta in accordo con normative rigorose ed utilizzando le più moderne tecniche di anestesia ed analgesia.

Il punto più dibattuto e che molti non comprendono è relativo al fatto che l’uso di animali da esperimento sia così necessario. Vi sono alternative? La ricerca sulle malattie e sui farmaci ha la possibilità di affidarsi ad esperimenti senza animali?

La ricerca bio-medica ha numerosi stadi: si inizia dallo studio della biologia di base e del normale funzionamento degli organismi per poi passare alla analisi delle malattie (dell’uomo o degli animali) cercando di capire cosa sta funzionando non correttamente per poi individuare un possibile rimedio (farmaci ma anche dispositivi biomedici come pacemaker, arti meccanici etc.), da validare in test pre-clinici in cellule o con simulazioni a computer e, prima di passare nell’uomo, test pre-clinici in-vivo nell’animale da laboratorio. Dopo aver superato tutte queste fasi si può passare all’uomo, prima con volontari sani, poi piccoli gruppi di pazienti e se tutto va bene, l’ultima fase della sperimentazione è data dalla osservazione degli effetti del farmaco (o del dispositivo biomedico) quando immessi sul mercato e utilizzati da milioni di pazienti. Ognuno di questi passaggi è assolutamente necessario ed è fondamentale che venga svolto in stretta correlazione con il precedente e con il successivo allo scopo di evitare effetti disastrosi. Per essere chiaro provo ad utilizzare un esempio che conosco bene: la ricerca di terapie per la sclerosi laterale amiotrofica (quella che ha colpito molti calciatori recentemente, per intendersi). Si tratta di una patologia rara che colpisce i neuroni di moto (quelli che ci permettono di azionare la muscolatura volontaria) e li porta a morte (neurodegenerazione) nell’arco di pochi anni; la malattia purtroppo diventa evidente nell’uomo solo quando molti neuroni sono già morti e agli ammalati restano pochi anni di vita. La morte sopravviene generalmente a causa della totale paralisi della muscolatura volontaria e quindi anche di quei muscoli che ci permettono di respirare. Ad oggi purtroppo non si sa ancora per quale motivo i neuroni muoiano e quindi come fare a salvarli; inoltre è praticamente impossibile poter prelevare un neurone ammalato e poterlo studiare quindi generalmente si possono utilizzare solo tessuti provenienti da pazienti deceduti che non sono molto utili. Nello studio di questa patologia gli animali sono coinvolti in più stadi, dalla ricerca di base che cerca di individuare i meccanismi che causano la morte dei neuroni in animali ammalati, a quella farmacologica che testa tutte le possibili terapie proposte sulla base dei risultati della ricerca di base, prima di testarle nell’uomo. Senza l’aiuto del modello animale la ricerca su questa malattia sarebbe praticamente ferma poiché sarebbe difficilissimo studiarne le cause all’interno dei neuroni e sarebbe praticamente impossibile testare l’efficacia di possibili trattamenti, visto il relativamente basso numero di pazienti e la difficoltà nell’eseguire la diagnosi che, come detto, solitamente avviene quando ormai la patologia è in fase molto avanzata. In altri campi invece, quali ad esempio la tossicologia acuta, la ricerca ha individuato metodiche che non richiedono più l’utilizzo di animali da laboratorio e oggi tutto viene fatto in-vitro, con grande soddisfazione di tutti (anche delle aziende farmaceutiche che risparmiano enormi quantità di denaro). Purtroppo però questi casi sono assolutamente limitati (circa 40 metodiche alternative validate) e coprono una piccolissima parte della ricerca biomedica.

Cosa dobbiamo alla sperimentazione animale?

Come detto la sperimentazione animale è solo un anello di una lunga catena quindi la riflessione che vorrei fare è leggermente diversa da quella che forse si aspetta. Innanzitutto c’è da dire che nella ricerca di base praticamente tutte la attività degli organismi viventi sono state evidenziate e studiate per la prima volta in animali o piante, basti pensare a Gregor Mendel, padre della genetica, che utilizzò piante di pisello per i suoi studi anche perché non gli fu consentito di utilizzare topi, considerati all’epoca assolutamente indegni di essere ospitati in un laboratorio o ancor meno in un convento. Mi piace inoltre qui ricordare inoltre il premio nobel della prof. Montalcini meritato grazie a studi di base effettuati su ratti che hanno portato all’individuazione di importantissimi fattori di crescita presenti nel cervello. Analogamente al caso della prof. Montalcini, circa il 90% dei premi nobel per la medicina sono stati assegnati a ricercatori che utilizzavano modelli animali. E’ però molto importante un altro aspetto, quello che riguarda l’enorme contributo dato dal modello animale al controllo della tossicità e degli effetti negativi delle molecole in fase di sviluppo. Ad esempio, è stato calcolato che su 100 molecole proposte come possibili chemioterapici, circa 40 vengono scartate nelle fasi di studio in-vitro o in-silico; delle 60 rimaste, circa 50 vengono scartate nelle fasi in-vivo (cioè negli studi in animali) perché non si dimostrano efficaci o perché evidenziano effetti tossici troppo elevati che nelle fasi precedenti non si erano osservati. Dei 10 rimasti, in media, solo uno arriva con successo all’uomo mentre gli altri vengono scartati perché non sono più efficaci di quelli già in commercio (o hanno più effetti collaterali). La sperimentazione animale quindi ha evitato che tante molecole non efficaci o molto tossiche arrivassero direttamente ai nostri malati. Non mi sembra davvero poco! Oggi poi si parla di Avatar e di terapia personalizzata: tumori che vengono prelevati dal paziente e inoculati ai topi nei quali si testano farmaci diversi per trovare il migliore che, una volta individuato, viene somministrato al paziente aumentando le probabilità di successo immediato.

Esistono secondo lei laboratori o sperimentatori che “trattano male” gli animali?

Non posso assolutamente escludere che esistano centri che non rispettano le normative internazionali e che non fanno buona ricerca “trattando male” gli animali e, magari, falsificando i risultati; la comunità scientifica deve essere attenta e isolare immediatamente chi non rispetta né la legge né le buone pratiche di laboratorio. Ripeto: la legge esiste e chi la vìola deve essere denunciato.
Le norme che abbiamo in Italia sono un giusto compromesso tra esigenze della ricerca e rispetto degli animali?
Le norme che abbiamo in Italia sono ottime; il D.to L.vo 116/92 che regolamenta la sperimentazione animale può sicuramente essere migliorato con il recepimento della nuova direttiva ma il livello era già ottimo. Oltre a questo mi lasci dire che la serietà e la competenza degli organismi deputati a controllare le attività dei centri di ricerca (ASL, Ministero della Salute e ISS) hanno sempre garantito il pieno rispetto della normativa vigente.

Il mio cane Frank, sano (e…molto vivace, sigh) anche grazie alla sperimentazione animale

Quali sono le precauzioni e le misure che si adottano per ridurre al minimo lo stress negli animali da esperimento?

Quella delle scienze degli animali da laboratorio è una vera e propria disciplina che negli anni ha portato ad individuare metodiche in grado di ridurre al minimo lo stress e la sofferenza degli animali da laboratorio. Innanzitutto è importante sapere che ogni laboratorio che ospita animali deve avere una speciale autorizzazione ministeriale che viene rilasciata solo se è dimostrato:

• Di possedere una struttura adeguata al mantenimento in condizioni ottimali degli animali (temperatura, umidità, ventilazione, condizioni igieniche etc). Il commento di molti medici che visitano la nostra struttura è “questi animali sono tenuti in condizioni migliori di molti pazienti”.

• Di avere un veterinario responsabile del benessere e della salute degli animali ospitati, sempre disponibile.

• Di avere personale di servizio qualificato in grado di garantire il controllo giornaliero delle condizioni degli animali.

• Di registrare puntualmente tutti gli animali inseriti nelle sperimentazioni

• Di essere in grado di controllare che tutti gli esperimenti siano stati autorizzati dalle autorità competenti.

In strutture con le caratteristiche descritte, sono numerose le procedure attuate per ridurre lo stress degli animali e vanno da lunghi periodi di ambientamento, all’arricchimento ambientale, alla manipolazione quotidiana per finire con i programmi di recupero e di reinserimento a fine sperimentazione. Noi ad esempio collaboriamo con l’associazione “La collina dei conigli” a cui affidiamo molti animali (topi e ratti) a fine sperimentazione affinchè possano essere dati in adozione. Durante le fasi sperimentali invece si fa ricorso a tutte le migliori pratiche di analgesia e anestesia disponibili poichè un animale sofferente NON E’ MAI un buon modello sperimentale. A costo di essere ripetitivo vorrei anche qui sottolineare il fatto che fare sperimentazione su animali maltrattati è eticamente sbagliato per diversi motivi: per prima cosa perché infligge una sofferenza inutile all’animale ma anche perché genera risultati non affidabili (quindi danneggia la ricerca e i malati) e causa uno spreco enorme di risorse (che molte volte derivano dalle donazioni delle famiglie degli ammalati).

Che animali si usano negli esperimenti?

test_animali--400x300In esperimenti bio medici si usano tantissime specie animali ma quelle incluse nelle norme internazionali sono solo i vertebrati; la nuova direttiva europea estende le normative anche ai cefalopodi. Per quanto riguarda i vertebrati, il numero più importante è rappresentato dai roditori (topi e ratti principalmente) che rappresentano più del 90% del totale; grande sviluppo stanno avendo nuovi modelli nei pesci mentre l’utilizzo di conigli, cani gatti e primati non umani è bassissimo e sempre in diminuzione. Numerosi studi però vengono effettuati ad esempio nelle zanzare (per combattere la diffusione della malaria) o nei famosissimi moscerini della frutta o nei cefalopodi. Il principio infatti è che la specie animale viene scelta in base a quello che si deve studiare quindi se il meccanismo di interesse è presente solo nella zanzara, si studierà in quell’animale; se poi il meccanismo di interesse è presente sia, ad esempio, nel cane che nel topo si studierà nel topo. Il virus dell’HIV purtroppo può essere studiato solo nelle scimmie quindi non si hanno alternative al loro utilizzo

Immaginiamo che da domani fosse proibito qualsiasi esperimento sugli animali, cosa succederebbe?

Visto che ancora non disponiamo di valide metodiche alternative alla sperimentazione in-vivo, succederebbe più o meno quello che circa 60 anni fa avveniva nei campi di concentramento nazisti: uomini considerati inferiori (per ragioni economiche o di razza) verrebbero utilizzati come cavie esponendoli a tutti quei rischi che ho descritto prima.

Lei ama gli animali?

Io amo molto gli animali e ne ho sempre ospitati molti in casa mia, cercando di lasciarli vivere nel rispetto delle loro caratteristiche senza cioè mai cercare di “umanizzarli” e trasformarli in qualche cosa che non sono e probabilmente non vogliono essere.

Cosa può dire a chi, amando gli animali, vive con sofferenza l’idea degli stessi nel ruolo di cavie?

Quello che voglio dire (e che dico sempre) è molto semplice: affiancateci in questo percorso e aiutateci ad individuare al più presto delle autentiche metodiche alternative. Entrate con noi nelle università e nei laboratori (solo nel 20% circa si fa sperimentazione animale quindi c’è molto spazio anche per chi non la vuole utilizzare) e impegnatevi nella ricerca! Una sera un attivista di un gruppo animalista mi ha detto che anni fa iniziò a studiare medicina veterinaria ma dopo poco abbandonò gli studi per dedicarsi al volontariato in un canile; io rispetto totalmente la sua scelta ma sono convinto che se avesse continuato gli studi e si fosse laureato oggi potrebbe essere molto più utile agli animali che ama. Tutti vogliamo smettere di servirci del modello animale ma prima dobbiamo trovare un modello migliore, altrimenti ne faranno le conseguenze i nostri ammalati e questo non è accettabile, almeno per me.
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Un doveroso ringraziamento al dott. Grignaschi per la sua disponibilità e chiarezza. Se dovesse seguirne un dibattito spero che si mantenga nei binari della civiltà e del rispetto, anche perché temi come la malattia e la ricerca non meritano di essere trattati con volgarità.

fonte: medbunker.blogspot.it

Bulldog

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Il suo nome, tradotto dall’inglese, significa “cane toro” ma il bulldog è in realtà un cane pacifico e tranquillo.

Dolce, sensibile, intelligente e molto equilibrato il bulldog ha una predilezione per i bambini e per le persone anziane.

bulldog3Nonostante possieda una straordinaria forza fisica, difficilmente perde le staffe e risponde alle provocazioni ma non bisogna approfittare della sua pazienza: è pur sempre un diretto discendente dei molossi, e i suoi antenati, nella metà dell’Ottocento, combattevano con i tori.

Ma il bulldog ha davvero solo virtù? In realtà qualche piccolo difetto ce l’ha pure lui. Un esempio? La sua proverbiale cocciutaggine che talvolta fa perdere la pazienza anche al più devoto dei padroni.
Il muso del bulldog è formato da molte rughe che vanno quotidianamente pulite per evitare l’insorgere di infezioni, anche gli occhi vanno controllati e puliti con frequenza.

Saltuariamente ispezionare che tra le dita delle zampe non si sia formata la dermatite
interdigitale.

Durante i mesi caldi, soprattutto nelle ore centrali della giornata, evitate di farlo uscire: il bulldog soffre molto il caldo e data la conformazione del muso, molto corto e rincagnato, respira con fatica.

Anche se il suo mantello è molto corto, sono indispensabili spazzolate frequenti per evitare di ritrovare il pelo sparso ovunque.
Corpo: tronco compatto con petto ampio; dorso corto, forte, più largo nella parte anteriore; basso sugli arti; collo forte e muscoloso, ben arcuato.

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Morfologia:

Testa: cranio largo, fronte ampia, piatta con pelle cascante, canna nasale molto corta; tartufo largo, di colore nero, con narici ben aperte e definite; mascella larga, massiccia, quadrata, la mascella inferiore deve sopravanzare su quella superiore;

Occhi: di forma tonda, di medie dimensioni, né prominenti né infossati; di colore molto scuro;
Orecchie: di piccole dimensioni, sottili, inserite alte sulla testa,

Zampe anteriori: molto vigorose, solide, muscolatura ben sviluppata; più corte di quelle posteriori, in perfetto appiombo; piedi corti e diritti;

Zampe posteriori: forti e muscolose, proporzionalmente più lunghe di quelle anteriori; garretti ben discesi, leggermente inclinati;

Coda: inserita bassa, diritta, piuttosto corta, spessa alla base si assottiglia all’estremità;

Mantello: sottile, corto, liscio, non ispido, compatto;

Colori: tigrato, bianco, bianco pezzato, marrone, fulvo.

 

Note:

regalo-cuccioli-di-bulldog-inglese_98785122226105177Le femmine hanno spesso problemi durante il parto a causa delle dimensioni della testa dei cuccioli: in quei casi si deve ricorrere al taglio cesareo. Molte femmine sono inoltre infeconde e per questa ragione il prezzo di un esemplare di questa razza può essere alto. La vita media si aggira intorno agli 8-9 anni. Il problema principale di questa razza è il caldo: viene sottoposto a innumerevoli sforzi respiratori per sopportarlo. Bisogna evitare di farlo muovere eccessivamente in condizioni climatiche calde ed evitare di farlo entrare in luoghi troppo afosi. I maggiori danni che il caldo gli arreca possono essere fatali. Difetti: orecchie non portate “a rosa”, tartufo sporgente, andatura irregolare, denti irregolari, misure e colori differenti da quelle sopra descritte, occhi chiari.

Vendere Cani e Gatti di razza ma senza pedigree è illegale

cani-con-pedigreeChi ha mai sentito parlare del Decreto Legislativo n. 529, del 30 dicembre 1992?
Probabilmente nessuno: eppure esiste, è attualmente in vigore e vent’anni fa è andato a sostituire la legge n. 30 del 15 gennaio 1991, che era riferita solo agli animali da reddito.
Il D.Lgs 529/92 recepisce invece la direttiva europea 91/174/CEE relativa alle condizioni zootecniche e genealogiche che disciplinano la commercializzazione degli animali di razza, estendo l’applicazione anche a tutte le specie e razze che non erano contemplate nella legge n. 30, quindi anche a cani e gatti.
Ma di cosa parla, questo misconosciuto decreto?
pedigree_fronteParla del concetto di “animale di razza pura” e stabilisce le regole per la sua commercializzazione, determinando una volta per tutte – e senza possibilità di equivoci – la definizione giuridica di “cane o gatto di razza”… e VIETANDO, di fatto, la vendita di animali sprovvisti di certificato genealogico.
Insomma, non solo il cane (o il gatto) senza pedigree non possono in alcun modo essere definiti “di razza” (come già sapevamo): ma non possono neppure essere ceduti in cambio di denaro!
Infatti, all”art. 5, il decreto stabilisce che “è consentita la commercializzazione di animali di razza di origine nazionale e comunitaria, nonché dello sperma, degli ovuli e degli embrioni dei medesimi, esclusivamente con riferimento a soggetti iscritti ai libri genealogici o registri anagrafici, di cui al precedente art. 1, comma 1, lettere a) e b), e che risultino accompagnati da apposita certificazione genealogica, rilasciata dall’associazione degli allevatori che detiene il relativo libro genealogico o il registro anagrafico.
É ammessa, altresì, la commercializzazione di animali di razza originari dei Paesi terzi, per i quali il Ministro dell’agricoltura e delle foreste abbia con proprio provvedimento accertato l’esistenza di una normativa almeno equivalente a quella nazionale.
Alle stesse condizioni è ammessa la commercializzazione dello sperma, degli ovuli e degli embrioni provenienti dai detti animali originari dei Paesi terzi. Non sono ammesse condizioni più favorevoli di quelle riservate agli animali di razza originari dei Paesi comunitari.
Salvo che il fatto costituisca reato, chiunque commercializza gli animali indicati nei commi 1 e 2 in violazione delle prescrizioni ivi contenute è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da L. 10.000.000 a L. 60.000.000 (essendo il decreto antecedente all’avvento dell’euro, le cifre sono ancora espresse in lire).

Insomma, la commercializzazione è riservata esclusivamente agli animali accompagnati da pedigree!
I  “senza pedigree” non dovrebbero neanche essere venduti, e sicuramente non venduti come cani o gatti “di razza”:  all’art. 3 dello stesso decreto risulta che non potrebbero neppure essere ammessi alla riproduzione!
Soprattutto nel mondo catofilo c’è grande subbuglio, in questi giorni: ora vedremo se anche il mondo cinofilo saprà muoversi e chiedere il rispetto di questo decreto che potrebbe mettere un definitivo freno alla vendita di cuccioli senza pedigree, ma spacciati per cani/gatti di razza pura.

A questo link (che è quello dell’ANFI, associazione nazionale felina italiana) potete trovare il testo integrale del decreto.

di VALERIA ROSSI

fonte: tipresentoilcane.com

Cervello da Animalisti

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Caro Maurizio Costanzo Show,
oggi non sopporto gli animalisti. Non ce l’ho con gli animali, sia bene inteso, che anzi gradisco vedere e riconoscere attorno a me nella più variegata gamma possibile. Chi non sopporto, poiché ragguardevolmente assurdi nella loro ossessione, sono gli animalisti convinti, gli estremisti animalisti. Ma ancor più fastidio mi danno gli animalisti moderati, che potremmo chiamare gli animalisti qualunquisti, che sottoposti a qualsiasi analisi logica palesano di essere ancor più assurdi, nella loro confusa posizione, degli animalisti estremisti. Tanto per iniziare, distinguiamo: Chi sono gli animalisti estremisti, e chi sono gli animalisti qualunquisti?
I perfetti animalisti estremisti si identificano visceralmente con tutti gli animali, dal visone al gatto, dalla foca monaca alla zanzara, dall’orso grizzly al totano. Cosa significa che si identificano con loro? Significa che attribuiscono a tutti gli animali i propri sentimenti. Non mi piace essere ucciso, dice l’animalista estremista, quindi non piace neanche all’animale. L’animalista estremista non si ciba mai di animali morti (né vivi), non uccide la zanzara che sta per pungerlo, ma si limita a scacciarla (se invece la uccide, è un animalista estremista imperfetto). latte_bambinoNon beve il latte di mucca, poiché così facendo lo sottrarrebbe al vitello, non mangia uova, cioè futuri pulcini (quando poi l’uovo, come spesso accade, è già fecondato, è a tutti gli effetti – tecnici e morali – un aborto di gallina), non indossa visoni, montoni, giacche scamosciate, calzature di cuoio, portafogli di pelle. L’animalista estremista si identifica con tutte le forme di vita animale, ma non con quelle vegetali, di cui si nutre senza rimorsi. Talvolta non s’identifica neanche con l’essere umano, soffrendo per la morte di un animale assai di più che per quella di un individuo umano.
L’animalista qualunquista, invece, si identifica visceralmente con tutti gli animali di aspetto conforme ai propri archetipi interiori. In altre parole: si identifica in un gatto, un visone, un coniglio, un cane, ma non in un ratto, una mosca, un serpente, un verme. Si identifica in quelle poche bestie che il caso e la selezione naturale hanno voluto morbide e di aspetto gradevole per l’occhio umano, ma non in tutti gli altri animali. L’animalista qualunquista è forse una delle massime espressioni d’ipocrisia che si possano descrivere, e completamente deliranti e contraddittorie sono tutte le sue argomentazioni. Una delle più tipiche manifestazioni è il suo avercela a morte con chi indossa pellicce di visone. “Animali vengono uccisi” recita il pio animalista “per poterne indossare la pelliccia! (Orrore!)”, e dice questo con il patetico fervore di chi ha appena scoperto che l’acqua calda è calda.
scarpe-cuoioSe volete punire un animalista qualunquista che abbia appena profferito tale sproloquio, cercate su di lui (o lei) i brandelli di cadavere d’animale che quasi certamente sta indossando senza neanche pensarci. Fategli notare come lui (o lei) cinicamente e senza verecondia calpesti con i propri piedi (puzzolenti?) il cuoio delle proprie scarpe, che fu la pellaccia di un animale che venne ammazzato affinché lui (o lei), adesso la usi per camminare sotto la pioggia, inciampare nei marciapiedi e calpestare le cacche di cane. Fategli notare quale fu l’identità del suo portafogli o borsetta di pelle, pelle che fu di un animale, ucciso affinché lui (o lei) mettesse i propri soldi in un involucro prestigioso che abbia odore di pelle anziché di plastica. Chiedetegli perché non s’infervora e non si scandalizza con uguale foga con chi indossi un giubbotto di pelle, un “chiodo”, un montone rovesciato. Chiedetegli se lui (o lei) possegga tali indumenti nel proprio armadio, e nel caso li abbia, se di ciò non si vergogni. E se non si vergogna, perché dovrebbe vergognarsi chi ha una pelliccia di visone? Ha certamente da vergognarsi chi abbia una pelliccia di leopardo, poiché il leopardo sta estinguendosi, e la cosiddetta “biodiversità” è un’innegabile ricchezza del mondo che andrebbe da noi salvaguardata anziché distrutta, come stiamo invece facendo. Ma il visone non rischia di estinguersi, viene allevato per farne pellicce, viene allevato come i buoi, i montoni, i polli vengono allevati per mangiarli e farne di tutto. Messo alle strette, l’animalista qualunquista, pur di non ammettere la propria ipocrisia, vi dirà: “Ma se gli animali cartellone_chi_mangi_oggi_cavengono allevati per mangiarli, non è immorale…” Siamo nella farneticazione totale. A parte il fatto che i vegetariani dimostrano che senza carni si può benissimo vivere, e che quindi chi mangia carne lo fa perché gli piace, e non perché ne ha bisogno (proprio come chi compra un visone lo fa perché gli piace, e non perché ne ha bisogno), non è quella di mangiarli, anziché un’attenuante, invece un’aggravante? Specialmente se si considera che mangiare carne è tutt’altro che obbligatorio, essendo l’essere umano onnivoro? Non è macabro assassinare un animale a sangue caldo, un animale che ha un cervello, una vita sessuale, allo scopo di cibarci dei suoi testicoli, della sua lingua, del suo cervello, del suo cuore, del suo fegato, dei suoi reni, del suo intestino, dei suoi muscoli, masticandoli lungamente in bocca per godere del sapore che quel cadavere ci da? Non è ciò anche più macabro di chi dell’animale morto ami indossare l’involucro, cioè la pelliccia? Non nego che indossare la pelle di mammifero morto possa essere un gesto di cattivo gusto, per uno spirito nobile. Ma divorarne lussuriosamente le interiora non lo può essere di meno.
Per demolire allora definitivamente l’incauto animalista qualunquista che della propria ipocrisia ha appena cercato di farne un vanto ai vostri e soprattutto ai propri occhi, trafiggetelo con una nozione banalissima che pochi sanno, perché a pochi interessa:
Dalle ginocchia dei buoi (morti e disossati) viene estratta una sostanza che viene utilizzata per fare l’emulsione delle pellicole fotografiche.
Il cappio della logica è ormai stretto al collo dell’animalista. Quante volte ha fotografato, quante volte ha consumato ossa di buoi assassinati anche per permettere a lui (o a lei) di fare delle fotografie? Quante fotografie ha sprecato, sbagliando la messa a fuoco? Quante ginocchia di buoi sacrificate invano, per il suo dilettantesco gratuito diletto?
Sembra ridicolo. E lo è, infatti. E’ ridicolo come è ridicolo che qualcuno si scandalizzi perché una fanciulla si abbellisca e riscaldi con una pelliccia. Se il vostro interlocutore animalista è intelligente, dopo quanto gli avrete fatto notare si renderà conto di quanto è ridicolo, e su di ciò mediterà. Se non è intelligente, farfuglierà incoerenti giaculatorie animaliste, che vi convinceranno, se voi siete intelligenti, di abbandonarlo al più presto al vacuo autoconforto dei suoi preconcetti.
Capisci, caro Maurizio Costanzo Show, qual è il nocciolo del problema dell’animalismo? Il nocciolo è che l’animalismo si fonda sulla discriminazione razzista. Gli animalisti si ergono a difesa delle razze “elette” tra le specie viventi, secondo criteri che assomigliano molto al credo razzista che fu dei nazisti.
donna-carotaUna delle discriminazioni: NON TUTTE LE SPECIE VIVENTI MERITANO LO STESSO RISPETTO. Gli animalisti estremisti “eleggono” le specie viventi appartenenti al solo mondo animale. I Vegetali vadano a farsi friggere, come infatti avviene nella cucina cinese. Solo perché gli animali sono più simili a noi dei vegetali, vanno salvaguardati a dispetto dei secondi. A tutti gli animalisti estremisti dico solo una cosa: fra 50 o 100 anni sulla terra non esisterà che qualche albero sparso, non più giungle, non più boschi. Sarà invece sempre più pieno di buoi, visoni, polli e montoni. Solo se mai vietassero, in tutto il mondo, la pelliccia di visone, il visone, non più allevato, si estinguerebbe in un battibaleno. Pensate al genocidio degli alberi, ogni volta che lacerate un foglio di carta, ogni volta che gettate via decine di chili di giornali appena sbirciati. Ma io so che mi illudo. Non ci penserete, perché siete animalisti.
Altra discriminazione: NON TUTTI GLI ANIMALI VANNO PRESERVATI: Gli insetti, per esempio, morissero tutti non sarebbe poi male. Nessuna emozione uccidendo una mosca. Grandissima pena per il gatto al quale il monello tira la coda. La discriminazione razzista è spietata. Gli animali sono “eletti” e meritano di vivere se per esempio casualmente presentano il maggior numero dei seguenti caratteri: Occhi grandi, testa grossa in rapporto al corpo, fronte arrotondata, morbida peluria, arti brevi, naso piccolo e all’insù, guance paffute, orecchie grandi, voce acuta.
Perché?
Perché tali caratteristiche, se ci pensate, sono quelle proprie di ogni bambino umano. Ci piacciono gli animali nei quali istintivamente riconosciamo i caratteri tipici dei bambini piccoli, nei quali ritroviamo tutte quelle caratteristiche che ci fanno piacere i bambini piccoli.
E quali sono gli animali che hanno il maggior numero di queste caratteristiche? Il gatto, il cane, l’orsacchiotto, il panda, ma anche il canarino e molti uccellini. Non il verme, non il serpente, non il pesce. In piena analogia ai criteri nazisti, gli animalisti approvano o tollerano la morte degli animali considerati di razza inferiore, ed eleggono a razza superiore e quindi degna di vivere gli animali che rispondono a determinati requisiti estetici.
rattoQualcuno obietta che si vuole tutelare gli animali dotati di maggior intelligenza, quindi più in grado di comprendere la morte che ad essi si infligge? Ipocriti! Uno dei più intelligenti tra tutti i mammiferi è il ratto, e cosa ha fatto l’animalista che per le mie parole s’indigna, contro gli umani stermini di ratti? Quale animalista ha chiesto pari diritti per ratti e visoni? Tra l’altro il ratto presenta tutte quelle caratteristiche estetiche che ne dovrebbero fare un beniamino di tutti. Si dice che è grosso, ma è più piccolo di un gatto. Si dice che è aggressivo, ma è una menzogna. I felini sono carnivori, aggressivi e crudeli, mentre topi e ratti sono onnivori e pacifici. Certo possono mordere se qualcuno cerca di ucciderli, ma come si può biasimarli? Il ratto ha tutte le caratteristiche per piacere, tanto è vero che cartoni animati e fumetti pullulano di eroi positivi a forma di topolini. Perché allora il ratto non piace?
Non piace perché non interpreta fino in fondo il ruolo del “bambino da coccolare”, perché non si assoggetta al dominio dell’Uomo. Tutti gli animali non domestici sono animali incapaci di assoggettarsi al dominio dell’Uomo, e per questo l’Uomo li stermina ed estingue. Il ratto è particolarmente odiato perché non si assoggetta e contemporaneamente non si lascia sterminare ed estinguere.
Chi s’è mai commosso per la morte di una formica? I formicai sono strutture misteriose ed organizzatissime, come potrebbero apparire le nostre città ad un gigantesco extraterrestre che ci osservasse dall’altro. Gli scienziati concordano che le società delle formiche e delle api sono organismi che funzionano in modo intelligente, ma sono così diverse da noi che non ci capiamo niente. E non assomigliano ad un piccolo bambino umano, e quindi non ce ne commuove la morte.
Caro Maurizio Costanzo Show, la vita è una manifestazione della materia che ci appare affascinantissima, poiché ne facciamo parte, ed al livello più alto, secondo quelle che sono le nostre conoscenze attuali. Ma tutti i valori che assegniamo sono proiezioni dei nostri archetipi, dei nostri preconcetti, del nostro pensare per categorie. E tutti i limiti della coscienza che abbiamo di ciò che esiste e di ciò che vive, sono proporzionali allo spazio mentale di cui disponiamo. I valori assoluti sono chimere, e chi li professa inganna sé e gli altri.
L’azione di proiettare i propri valori umani sul ciò che del mondo umano non è, ha un nome preciso: Antropomorfismo.
Gli animalisti sono i perfetti guerrieri dell’antropomorfismo. Non sono i soli, purtroppo. Oggi abbiamo parlato di loro. Chissà se si sono incazzati.

Roberto Quaglia

fonte: robertoquaglia.com